Pubblicato il 31/10/2016, 19:31 | Scritto da Gabriele Gambini
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Mothers – Mamme allo specchio: parla Stefania Filauro, una delle protagoniste

Mothers – Mamme allo specchio: parla Stefania Filauro, una delle protagoniste
Quattro madri lavoratrici confrontano le proprie vite mettendo a nudo difficoltà e punti in comune. Il format di origine israeliana, in onda su La5 ogni mercoledì in prima serata, indaga temi sociali col meccanismo del docu-talk.

Stefania Filauro: “L’ottimizzazione del tempo da dedicare al lavoro e da dedicare alla famiglia è la sfida dei nuclei familiari del futuro”

Alla prima gravidanza, l’azienda presso la quale era dipendente le ha dato il benservito. Prelibatezza sociale di un Paese, l’Italia, che in tema di parità nei diritti dei lavoratori non è la Scandinavia. Così si è reinventata come consulente, lavorando in un part-time di sei ore giornaliere «Che spesso, fatalmente, possono anche aumentare, perché Milano non perdona chi non sta al passo coi suoi ritmi». Oggi Stefania Filauro ha 49 anni, 4 figli, un marito, Gianluca, vive nel capolouogo lombardo, ed è tra le protagoniste di Mothers – Mamme allo specchio (prodotto da YAM112003, ogni mercoledì in prima serata su LA5). Tratto da un format israeliano, il docu-talk racconta la vita di quattro donne che si ritrovano in uno studio per rivedersi e confrontarsi sulle loro rispettive esperienze di madri e lavoratrici, dopo essere state filmate nel loro quotidiano domestico e professionale.

Perché ha scelto di partecipare ai casting del programma?

Abbino la mia professione di consulente a un ruolo nel campo del volontariato. Ho pensato fosse un modo utile di raccontare quest’esperienza, mostrandola nei suoi tratti essenziali. Molti mi dicono: “Beata te, che hai tempo per dedicarti anche ad attività di questo tipo”. In realtà, considerato il mio ruolo di madre lavoratrice, non ho tutto questo tempo. Per questo mi piaceva l’idea di raccontare le mie giornate.

Per diversi giorni, una troupe ha ripreso lei e la sua famiglia (Stefania ha quattro figli, Laura 22 anni, Niccolò 19, Paola 15, Fabio 8, ndr). Si è sentita influenzata dalla presenza delle telecamere?

Ero a mio agio, non c’è stata nessuna restrizione delle mie libertà. La presenza delle telecamere era pressoché impercettibile. Non ci sono stati artifici nel rivelare il mio privato domestico e le mie attività. In più, è stata un’occasione per mostrare ai miei figli i meccanismi di funzionamento di un docu-reality. Loro sono fruitori abbastanza assidui della tv.

C’è una formula che le permette di svolgere la sua attività di madre e di lavoratrice conciliandone tutti gli aspetti?

Credo che la formula sia mostrarsi per come si è. Io sono me stessa come persona in quanto mamma e mi sento rappresentata dall’attività professionale che svolgo. Non c’è molto da conciliare, ciò che sono si sovrappone a ciò che faccio con molta naturalezza.

La sua famiglia vive in modo – massima cautela nell’adoperare questo termine – “tradizionale”?

Non saprei. Ho una serie di valori e credo in essi. Non avevo un disegno originario o progetti precisi sulla mia vita dettati da qualche incombenza particolare. Era più tradizionalista mia madre, che si è dedicata alla cura dei suoi figli restando a casa. Io ho perso il lavoro con la mia prima gravidanza. Ma mi sono reinventata. E oggi chiedo la massima collaborazione a tutti i membri della mia famiglia per far quadrare tutti gli aspetti della nostra vita. Pur vivendo con qualche senso di colpa.

Che genere di sensi di colpa?

La sensazione che manchi ogni tanto un tassello del puzzle. Il credere di non fare mai abbastanza. Il pretendere da me stessa qualcosa di più. Credo siano sensazioni abbastanza comuni a chi vive la mia condizione.

Per questo Mothers sfrutta il meccanismo del confronto paritetico: quattro madri osservano vicendevolmente il proprio vissuto e tracciano dei bilanci.

Girando il programma, ho incontrato tre donne che non conoscevo. Erano diverse da me per esperienze e stili di vita. Tuttavia abbiamo sviluppato un rapporto di confidenza rapido. Pur provenendo da background differenti, ci accomunava il nostro prodigarci al massimo per i figli e una mancanza di sicurezza nel percepire il nostro rapporto con la realtà circostante.

E qui, in tema di solidità psicologica, può avere un certo peso il ruolo del marito. Per bilanciare la gestione del quotidiano.

Con mio marito sono sposata da oltre 20 anni. Periodicamente abbiamo l’esigenza di riequilibrarci. Soprattutto perché l’impegno di genitori muta con la crescita dei figli. L’adolescenza è un’età decisiva.

Momenti di difficoltà?

Certo. Ci sono stati. Ognuno mette in discussione il proprio ruolo nella coppia. Ma il rapporto è paritetico e la nostra forza sta nell’essere complementari.

Eravate tutti d’accordo nel partecipare al programma?

Mio marito sulle prime era contrario. Temeva fosse un’ingerenza morbosa nelle nostre vite, con troppo peso al sensazionalismo. Ne abbiamo parlato a tavola tutti assieme. Lui si è convinto parlando con la produzione. Quando abbiamo rivisto la puntata, le perplessità sono sparite.

Che ha provato, nel rivedersi sullo schermo?

Mi sono riconosciuta con una certa completezza. Ho rivisto alcuni miei atteggiamenti considerati decisionisti. L’abilità a celare le mie insicurezze personali.

Essere mamma significa saper celare le proprie insicurezze?

Significa saper fare ciò che ogni madre fa dalla notte dei tempi. Vivere ogni gravidanza al meglio, benché ogni volta presenti caratteristiche inedite. Impostare il rapporto coi figli, perché quando tu credi di plasmarli, ti accorgi che sono loro a plasmare te. E, nel mio caso, saper convivere con la realtà di Milano.

Che significa essere madri a Milano?

Milano è schizofrenica nei ritmi e impone una gestione del tempo particolare. A Milano non è facile fare la mamma se non lavori. È il terreno più fertile per sperimentare la vita di mamma-lavoratrice. Condizioni differenti, faticherebbero a integrarsi.

Milano incoraggia le donne a lavorare, affrancandole da vecchi stereotipi. Poi però le stritola non garantendo un adeguato bilanciamento tra ruolo di madre e professione?

C’è un passo che Milano dovrebbe ancora compiere per avvicinarsi al modello, quello scandinavo, che più di tutti viene incontro alle esigenze delle madri-lavoratrici. Ottimizzare i tempi dedicati al lavoro, senza costringerti a essere fagocitato da essi. Senza obbligarti a partecipare a tutte quelle attività extra professione ma collaterali alla professione, senza le quali, in un’azienda, sei considerato fuori dal giro. Vale per le donne. Ma vale anche per gli uomini, ai quali dovrebbe essere garantita la possibilità di avvicendarsi con le mogli nel momento in cui i figli sono in fase di crescita. L’ottimizzazione del tempo è la vera sfida dei nuclei familiari del futuro.

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto il cast di Mothers)