Pubblicato il 25/08/2016, 19:00 | Scritto da Tiziana Leone

Il terremoto, gli sguardi, le telecamere, il campanile e il vuoto

Nell’intera giornata davanti alla tv si srotola il racconto della tragedia che ha colpito il Centro-Italia, tra barelle, sguardi, lacrime e volti impassibili

 

Impassibile. Lo sguardo nel vuoto. Il vuoto di un paese, il suo, che non c’e più. Il vuoto di una famiglia, la sua, che non c’è più. Una figlia, una moglie. Il vuoto. E una parola sola: speriamo. Un uomo. E il suo sguardo fisso. Non una lacrima. Nessuna commozione. Il vuoto di un uomo che sta lì e aspetta. E spera. A vuoto. Diverso dagli altri che piangono. Scavano. Cercano. Si disperano. Corrono. Si muovono. Fanno. Telecamere che si infilano ovunque. In buchi neri che hanno inghiottito vite. Nelle crepe di case che restano li come pezzi di Lego che qualche bambino ha lasciato perché ha cambiato gioco. Negli occhi di quelli che piangono, che non credono, che distolgono lo sguardo per pudore. Giornalisti che domandano. Chiedono. Cosa prova? Chi ha perso? Com’è stata la prima scossa? E la seconda. E la terza? E stanotte dove dorme? Lei ha perso tutto? All’Aquila come ad Assisi. Stesse domande. Stesse risposte. Foto di famiglie distrutte. Termosifoni che penzolano nel vuoto. Il vuoto. Sempre lì. Immagini e immagini di macerie, sassi, pietre, sguardi, coperte e quel campanile fisso lì a guardarti anche se cambi canale. Il campanile. Dritto. Impalato. Mi piego, ma non mi spezzo. Sto lì. Voi scavate.

Il numero delle vittime, trenta, sessanta, novanta, centoventi. Si va avanti a multipli, dentro cui c’e il sottomultiplo dei bambini. I bambini. Quanti. Tanti. Troppi. Avranno capito mentre tutto crollava? Si saranno svegliati? Avranno cercato mamma? L’Inferno deve essere cosi. L’elenco di chi manca all’appello. All’hotel di turisti trenta persone. Alcuni vivi. Altri no. Un’intera famiglia in una sola casa. Cognati. Fratelli. Sorelle. Nipoti. Zii. Gradi di parentela che sgocciolano insieme al sudore di chi scava. Gli elicotteri volano, sotto, in mezzo al verde, il castello di sabbia rotto. Schiacciato. Sbriciolato. Il braccio di una signora anziana aspetta qualcuno che lo tiri fuori. Un uomo le parla. La rassicura. La tiene in vita. Il sindaco chiede aiuti. Non c’è più niente, non un supermercato, non un negozio. Abbiamo solo l’acqua. Uomini avvolti in coperte. Superstiti coperti dal tricolore. I soccorritori rifiatano. I cani cercano. Le barelle passano di mano in mano. Tende da allestire. Una vita da resettare. E di fronte il vuoto. Il vuoto di quell’uomo. Freddo. Impassibile. Sguardo perso in una sola parola: speriamo.

 

Tiziana Leone

 

(Nelle foto il prima e il dopo terremoto ad Amatrice)