Pubblicato il 18/07/2016, 19:31 | Scritto da Tiziana Leone
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Una docufiction racconta un Paolo Borsellino inedito, a 24 anni dalla morte

Paolo Borsellino – Essendo Stato è il film documentario in cui Ruggero Cappuccio ricostruisce la lunga audizione in cui il giudice denunciò al Csm l’inadeguatezza dello Stato di fronte alla mafia.

 

La realtà si intreccia con la fiction, in un racconto in cui l’unico protagonista è Paolo Borsellino, il giudice ucciso dalla mafia in via D’Amelio il 19 luglio 1992. Le tragiche immagini che abbiamo imparato a vedere centinaia di volte si mischiano al racconto che Ruggero Cappuccio ha intrecciato in Paolo Borsellino – Essendo Stato, in onda domani martedì 19 luglio in prima serata su Rai Storia e alle 23.15 su Rai 1. Un film documentario in cui il giudice compare in una veste diversa, mostrato e interpretato da un punto di vista inedito: l’audizione di quattro ore di fronte al Consiglio superiore della magistratura dove venne convocato il 31 luglio 1988 dopo alcune interviste in cui denunciava il preoccupante stato di smobilitazione del pool antimafia di Palermo. Per quattro lunghe ore il giudice parla, con la sua consueta lucidità e il suo intercalare siciliano condannando con forza l’inadeguatezza dei mezzi di contrasto attuati dallo Stato contro la mafia. Parole complesse, di denuncia, che fanno emergere quei tanti dubbi e segreti di cui solo alcuni nodi sono stati sciolti negli anni. «Borsellino aveva un carattere semplice ed estroverso – ricorda il Presidente del Senato Pietro Grasso -. Aveva uno spirito goliardico che lo portava spesso a fare scherzi ai colleghi più permalosi. Aveva un suo modo particolare di comunicare, non solo con la bocca, ma con lo sguardo, con i suoi occhi lanciava feroci battute sarcastiche. Aveva un rapporto frenetico con il lavoro, da cui riceveva una grande gratificazione, si relazionava con chiunque fosse pronto a raccogliere le sue battute. Soffriva per la sua vita blindata, una volta lo incontrai a supermercato, gli chiesi cosa ci facesse lì da solo, poteva essere molto pericoloso. Mi rispose che ogni tanto voleva dare un’occasione ai suoi assassini di ucciderlo senza i ragazzi della scorta».

Le immagini dei funerali, le parole in punta di disperazione della vedova di uno degli agenti saltati in aria in quella tragica domenica di luglio, i fischi contro le istituzioni: sono tutte scene che fanno ormai parte della storia. Ma il racconto in prima persona di un Paolo Borsellino interpretato da Cappuccio si snoda attraverso uno spaccato della vita del giudice palermitano sospeso tra realtà urbana e l’armonia perduta della Sicilia. Il tritolo e l’infanzia, il palazzo di giustizia e la spiaggia, il campo di calcio dove giocava da ragazzo con Giovanni Falcone: tutto rientra nel racconto per immagini di un Borsellino che dopo la sua stessa morte ricostruisce la sua vita di uomo e di magistrato sul confine tra la vita e l’aldilà. «La memoria deve diventare uno strumento di coscienza – sottolinea Silvia Calandrelli, direttore di Rai Cultura –. Cercavamo un punto di vista diverso per raccontare Borsellino, personalmente ho sempre guardato con diffidenza al lavoro della docu-fiction, ma in questo caso si tratta di qualcosa di davvero unico». Costruito sul testo teatrale che lo stesso Cappuccio ha portato in scena per anni, il documentario che si apre con l’introduzione del Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti, e va in onda in occasione del ventiquattresimo anniversario della strage di via D’Amelio. «Questo documentario è particolarmente importante non solo per il significato di servizio pubblico, ma per quello che sta accadendo in questi ultimi tempi, da Dacca allo scontro dei treni, da Nizza alla Turchia – conclude il direttore generale della Rai Antonio Campo Dall’Orto -. C’è una relazione diretta tra il dovere di raccontare e quanto ci accade intorno perché da questi momenti se ne esce solo se sappiamo chi siamo».

 

Tiziana Leone

 

(Nella foto Paolo Borsellino)