Pubblicato il 04/07/2016, 15:34 | Scritto da Tiziana Leone
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Pablo Trincia: Le Iene scuola di vita, ma ora ballo da solo

Pablo Trincia: Le Iene scuola di vita, ma ora ballo da solo
Il giornalista-reporter protagonista sul canale Nove di "Lupi – Limited access Area", un ciclo di documentari internazionali al via il 17 luglio.

Prima sul canale Nove e poi su Rai 2 in autunno a parlare di bullismo.

Ha raccontato la guerra siriana a un passo dalle bombe e dai colpi di mortaio, ha intervistato narcotrafficanti, profughi afghani e disperati del Sahara, conosce il persiano come lo swahili, ha sulle spalle l’indelebile firma delle Iene, ma anche la non facile sigla di Michele Santoro e nella prossima stagione di Rai 2 proverà a entrare nel complicato fenomeno del bullismo in un programma tutto nuovo Mai più bullismo. Intanto domenica 17 luglio alle 23 debutta sul canale Nove grazie a un ciclo di documentari internazionali Lupi – limited access area, sei storie tra pedofili, corrieri della droga, jihadisti in cui finalmente si concede il salto della barricata: raccontare i documentari girati da altri, spiegando come si fa, come si seguono le piste del racconto, come si scovano i protagonisti, quali sono le difficoltà. Un progetto Discovery Italia realizzato da Pesci Combattenti. Il protagonista di tutto ciò? Pablo Trincia.

Pablo, ci racconti chi sono I Lupi?

«I lupi sono persone che noi crediamo vivano in luoghi lontani tipo le foreste amazzoniche o le miniere, ma in realtà sono tra di noi: li vediamo, ma non ce ne accorgiamo, sono i nostri vicini di casa».

Che tipo di documentari avete scelto per raccontarli?

«Abbiamo scelto documentari con temi molto forti, con un bel ritmo e un’ottima linea narrativa. Mi è stato chiesto non solo di presentarli, ma anche di raccontare la prospettiva di chi li fa. Essendomi occupato di tutto quello che c’è in quei racconti, posso spiegare come si fanno, quali sono le difficoltà, come ci si sente in determinate situazioni. Ma anche quello che il documentario non dice perché è stato tagliato per motivi di spazio, come le difficoltà per girare un certo tipo di scena, come si è arrivati a intervistare un personaggio. E’ in racconto da dentro di questa professione».

Fai il salto della barricata?

«Per una volta sì, sono sempre in giro, stavolta mi siedo».

Non ti pesa?

«No perché continuo a farlo, non ho appeso la telecamera al chiodo. Sto girando Cacciatori per Discovery. Però ogni tanto guardare il lavoro degli altri aiuta, serve a studiare nuovi linguaggi».

Quale di questi documentari ti ha colpito di più?

«Ognuno ha qualcosa di particolare, quello sui pedofili è molto claustrofobico, è tutto girato in una casa per rendere ancora di più l’angoscia del racconto. Da padre la pedofilia è una delle cose che più mi inquietano».

Dopo questa prima serie per Nove, ne arriverà un’altra?

«Non lo so, intanto con questa prima serie si mostra la voglia del canale di sperimentare su questi temi, di investire non solo nell’entertainment, ma anche nella narrazione giornalistica».

Hai realizzato tanti reportage in giro per il modo alcuni al limite del pericolo. C’è mai stata una volta che ti sei detto “chi me l’ha fatto fare”?

«Quando siamo andati in Siria con le Iene: sentire ogni tre minuti un colpo di mortaio, poi qualcuno che ci sparava accanto è stata tosta. Mi sono reso conto che ho rischiato pesante, sono andato parecchio oltre, era una partita a poker con il destino. Lì per lì neanche ci ho pensato troppo, mi sono spaventato di più quando abbiamo lasciato la Siria e quando ho rivisto la puntata in tv. Però ho la pellaccia, si diventa un po’ cinici a fare questo lavoro: vedi cose che ti dovrebbero colpire, le filmi e poi vai a mangiare un panino. E’ strano, ma è così, è un po’ come il lavoro di un medico, che magari prima vede un ragazzino squartato e poi va a pranzo con i colleghi».

Nella prossima stagione di Rai 2sarai protagonista con Mai più bullismo, che tipo di programma sarà?

«E’ un bellissimo lavoro: raccontiamo storie di bullismo andando a cercare una soluzione concreta. È davvero servizio pubblico: mi immagino un padre, una madre e un figlio davanti alla tv che guardano il programma e subito dopo ne discutono. La trasmissione non punta a colpevolizzare i bulli, ma a far capire loro, ai loro genitori, ai compagni di classe che prendere in giro e isolare può ferire molto persona. Dà un messaggio positivo».

Sarà un programma on the road, realizzato in giro per l’Italia?

«Sì è tutto on the road. Ogni puntata è una storia».

Il bullismo è un tragico fenomeno ancora da scoperchiare…

«Quando mi sono occupato per Servizio Pubblico di Michele Santoro del caso di Carolina Picchio, la ragazza di Novara suicida dopo atti di bullismo sono rimasto molto colpito da quanti ragazzini avevano nei loro cellulari le foto delle compagne di scuola dodicenni mezze nude o in atteggiamenti intimi. Erano le fidanzatine a cui i ragazzi chiedevano le foto per farle poi vedere agli amici. Mi ha spaventato moltissimo, il cyber bullismo è un fenomeno che rischia di fare molto male».

Hai parlato di Santoro, anche lui tornerà su Rai 2 nella prossima stagione…

«Sì, ci ritroviamo lì».

Magari tornate a lavorare insieme…

«Non lo so, con lui ho imparato un linguaggio nuovo e diverso da quello delle Iene da cui venivo, però sono anche pieno di idee e progetti. Ho preso la mia strada».

Le Iene cosa ti hanno insegnato?

«Tutto. Davide Parenti che considero uno dei miei padri professionali mi ha insegnato ad andare al nocciolo delle questioni, di non tornare a casa senza il pezzo, di riprendere una scena clou, di abbattere la distanza tra giornalisti e intervistati creando empatia e trasmettendo emozione. Se riesci la tua storia arriva al pubblico molto di più».

Mai pentito di aver lasciato Le iene?

«È stato un percorso molto bello, ma ora il mio sogno è di riuscire a portare in Italia un genere di narrazione un po’ più americana. Sono un grande fan dei documentari seriali, da free lance mi piace l’idea di sperimentare e ho il privilegio di poterlo fare».

Non hai contratti in esclusiva con nessuna rete?

«No. Su Nove faccio i Lupi, per Discovery a ottobre continuo con I Cacciatori. Ma giuro che quella tra i due titoli è solo una coincidenza».

Hai già parlato con qualche rete del tuo progetto di documentario seriale all’americana?

«C’era un progetto che si è interrotto, come spesso capita, ma non ho mollato. In Italia abbiamo un vuoto dal punto vista della narrazione giornalistica. Ci sono programmi storici, ma a me piace molto di più partire dalle storie delle singole persone, racconti scollegati dall’attualità. Basta parlarne a cena con un gruppo di amici per rendersi conto che dopo non si parla di altro».

In Italia non c’è questo tipo di racconto perché fino ad oggi lo spazio è sempre stato dato ai talk show politici…

«Ma piano piano questo tipo di programmi si sta levando dalle scatole, ci si sta rendendo conto che la gente si annoia e vuole altro».

 

Tiziana Leone

 

(Nella foto Pablo Trincia)