Pubblicato il 21/06/2016, 14:32 | Scritto da La Redazione

Riccardo Tozzi: Per una buona fiction bisogna rimanere incatenati alla realtà

La fabbrica della serialità: “La fiction perfetta è figlia della realtà”

Rassegna stampa: La Repubblica, pagina 56, di Silvia Fumarola.

La durezza di “Gomorra”, il family made in Usa trasferito in Italia con “Tutto può succedere”. Riccardo Tozzi spiega come il genere salva la tv. “Il segreto? Scrivere senza accontentarsi mai”.

La fabbrica della serialità è ospitata in un edificio post industriale a due passi dal Verano: «Quando siamo venuti qui all’inizio ero un po’ perplesso per la vicinanza col cimitero, poi mi sono ricreduto» spiega con ironia tutta romana il fondatore di Cattleya Riccardo Tozzi, che da Romanzo criminale a Gomorra a Tutto può succedere (versione italiana di Parenthood) al prossimo progetto con i francesi, Zero zero zero dal libro di Roberto Saviano, partendo dal cinema si è specializzato in lunga serialità. Mattoncini rossi, vetrate, studio arredato con sobri tocchi personali, sembra un loft del Greenwich Village a New York. Con Tozzi, fondatore della factory, ci sono Marco Chimenz e Giovanni Stabilini, che curano i rapporti con l’estero (legali e con gli artisti) e la parte finanziaria. «Il cinema italiano si è sviluppato col genere conquistando l’estero, così quando Sky ha cominciato a produrre abbiamo fatto Romanzo criminale», racconta Tozzi «il primo esperimento seriale, inaugurando un modo di lavorare diverso dagli americani che girano tutto in studio. Per loro contano solo il testo e gli attori, invece la nostra tradizione è fare cinema della realtà, siamo figli di Roma città aperta. Lavoriamo sul testo ma essendo immersi nella realtà già nella fase iniziale inseriamo l’apparato visivo, i costumi. Gli sceneggiatori scrivono con i luoghi davanti agli occhi: per la serie da Zero zero zero Leonardo Fasoli è andato in Louisiana, in Africa e in Messico.

Partiamo dal soggetto, il concept», continua Tozzi «che sono venti pagine al massimo, quindi sceneggiamo la puntata pilota. Si va dritti al soggetto, poi le sceneggiature man mano vengono tutte riviste. Stefano Sollima le legge e se qualcosa non gli piace usa la formula magica: “Non la so girare”». Regole ferree: non tradire la verità dei personaggi, non cercare scorciatoie. «Leggono le editor, le cape editor, io faccio le note, le storie vengono bene se non ti accontenti mai. Se un’azione è coerente coi personaggi si gira, anche la più atroce. Se è gratuita non passa neanche uno schiaffetto». Nessun dubbio sulla violenza di Gomorra? «Nella prima serie ero contrario all’uccisione di donna Imma, invece aveva ragione Gina Gardini, la nostra produttrice. Ce lo potevamo permettere: Imma è presente come memoria e paragone».

Newyorchese, 14 anni alla Miramax («Weinstein mi ha insegnato a non mollare mai ), Gardini per girare ha vissuto a Scampia e ha le idee chiarissime: «Giriamo in 40 location per 45 minuti di episodio, tutto dal vero. Gomorra è un’emozione difficile da descrivere, non hai la distanza di Romanzo criminale, vivi la realtà sulla tua pelle, senti la responsabilità, metti sullo schermo mostri veri senza dare giudizi. Non facciamo compromessi, quella realtà esiste. Sono poche le serie che hanno questa profondità e questa ricerca, forse solo The wire si avvicina, persino in Soprano c’è un certo romanticismo». Francesca Longardi, dal 1999 in Cattleya, ha iniziato seguendo i film tratti dai romanzi (Io non ho paura, Non ti muovere) «perché per un periodo è stato difficile trovare soggetti originali. Romanzo criminale-la serie ha fatto da apripista e porteremo in tv gli spaghetti western da Django, il film di Sergio Corbucci e l’horror con Suspiria de profundis di Thomas De Quincey, che ha ispirato il film di Dario Argento. Per noi curerà la supervisione artistica e girerà alcuni episodi».

Una vita in Rai, Claudia Aloisi nella factory segue i progetti per la tv generalista: Tutto può succedere e Il regno, dal libro di Emmanuel Carrère sul mistero della fede. «Avendo lavorato per tanti anni come dirigente a RaiFiction conosco le esigenze della tv generalista, l’importanza di raggiungere un pubblico trasversale. Per adattare Parenthood abbiamo fatto un adattamento culturale perché c’erano temi molto americani, il nonno è un reduce del Vietnam. Ma abbiamo mantenuto la complessità dei rapporti. Il lavoro accurato sui dialoghi restituisce la verità e la regia di Lucio Pellegrini fa montare la panna». Cosa hanno gli americani che manca a noi? «Fanno il dramma contemporaneo» risponde Tozzi «e la loro contemporaneità è tale in tutto il mondo. Noi esprimiamo l’internazionalità col genere e col costume: penso alle serie europee come Downton Abbey e Les revenants. Però poi non riusciamo ancora a raccontare il cambiamento della società come fa per esempio Transparent. Forse siamo ancora provinciali. Ma non dispero».

(Nella foto Riccardo Tozzi)