Pubblicato il 06/04/2016, 16:32 | Scritto da Gabriele Gambini

Federico Russo: “Sono fuori forma, mi servirebbe un’app per riprendere a fare sport”

«Mi piacerebbe riprendere a giocare a calcetto, ma non ho tempo per farlo. Finisco di lavorare a sera inoltrata, avrei bisogno di un’app che mi mettesse in contatto con dei nottambuli incalliti. Però sono fuori forma, come potete notare», ridacchia Federico Russo che, assieme a Francesco Mandelli, è al timone di Start! – La vita a portata di app (prodotto da ZeroStories, realizzato e presentato da TIM, ogni mercoledì alle 24.15 su Rai2), programma dal valore divulgativo interessante. I due ex veejay e “ex gggiovani”, oggi incastonati nella terra di mezzo generazionale pre e post Millennials, viaggiano alla ricerca dei servizi digitali realizzati da startup italiane. Mica poco, considerato che “Startup” è un vocabolo divenuto quasi un’insegna dei nostri giorni. Lo stemma araldico dei creativi contemporanei alla caccia di idee da tramutare in progetti. Rischiando talvolta di essere confuso con uno stereotipo generico che riempie le bocche ma lascia indifferenti i cervelli. «Con questo programma facciamo chiarezza sulla questione», prosegue Russo. «Nicola Savino, scherzosamente, ha detto che il mercoledì sera di Rai2 è una Russo-Night perché mi esibisco nella doppietta The Voice e Start!. Lo confesso, sono soddisfatto di questa fase di carriera».

Startup significa un sacco di cose.

Circoscrive il campo delle nuove imprese digitali realizzate da giovani. Francesco e io non siamo grandi esperti di tecnologia. Per questo, suddividendo ogni puntata per tema e bilanciando siparietti surreali a descrizioni rigorose, ci siamo fatti raccontare come funzionano i progetti in Italia da chi li ha realizzati. Ci siamo messi dalla parte dello spettatore, intercettandone la curiosità potenziale. Abbiamo scoperto come un semplice click consenta di risolvere una valanga di problemi.

La prima puntata sul fai da te, la seconda sull’utilizzo delle materie prime. Questa sera, lo sport.

A volte mi chiedo perché alcuni progetti non li abbia pensati io. Poi parlo con i loro realizzatori e lo capisco: dietro una semplice app, c’è un universo creativo fatto di alta specializzazione tecnica e ingegneristica. La puntata sullo sport rende l’idea, pensiamo all’app Fubles.

Fubles?

Un network dedicato agli appassionati di sport, in particolare di calcio. Di solito, l’aspetto più complicato dell’organizzare una partita con gli amici sta nel trovarli, gli amici, e dirottarli tutti su un campo a un orario preciso di un giorno preciso. Fubles ti risolve il problema. Scarichi la app, fornisci i tuoi dati e le tue caratteristiche tecniche e incontri altri appassionati con cui metterti d’accordo per giocare. Partita dopo partita, i compagni di squadra ti danno un voto che determina il tuo rendimento e il tuo livello, consentendoti di confrontarti con dei pari grado.

Lei lo usa?

Mi piace moltissimo giocare a calcetto. Ma in questo periodo finisco di lavorare a sera inoltrata. Mi occorrerebbe un’app per nottambuli. Anche se non sono in gran forma fisica, come si può notare (ride, ndr).

Eppure lei provoca sdilinquimento in un vasto pubblico femminile, lo sa?

Davvero? Mi fido, ma non ci credo molto. Ecco, a proposito di fisico e muscolatura, però, Yukendu è un’app che consente di ritrovare la forma perduta attraverso dei passaggi chiave…

Prendo nota. Anche a lei la tecnologia digitale ha cambiato la vita?

Banalmente, ma neanche poi tanto, indico i social come spartiacque del mio fruire tecnologico. Mi hanno cambiato la vita sia nel raccontare le mie attività, sia nel consultare le notizie dal mondo. Non scordando la possibilità di entrare in contatto con persone molto distanti geograficamente da me. Anche se, sapere sempre dove si trova qualcuno tramite le geolocalizzazione, rimane un po’ inquietante.

I social hanno un grosso peso nello scandire anche la vitalità di un format tv. Penso a The Voice.

Ci stiamo divertendo molto, a The Voice, quest’anno. Abbiamo superato l’inquietudine iniziale dettata dalle novità.

Che cosa le piace di più, di quanto visto fino a oggi?

La difficoltà era trovare la coesione vincente tra i coach. Una squadra per tre quarti nuova, con caratteri e attitudini differenti, presentava incognite. Invece Emis Killa, Dolcenera e Max Pezzali sono riusciti a conquistarsi una connotazione precisa. Una riconoscibilità evidente. Raffaella Carrà, poi, è la ciliegina sulla torta, per esperienza e conoscenza del programma.

Resta la consueta spada di Damocle: si dice che The Voice costruisca spettacolo ma non plasmi talenti spendibili a lungo termine.

Tutto dipende dagli inediti. La chiave sta lì. Se un artista presenta un inedito forte, può emergere. Altrimenti è difficile. Ma anche altri elementi concorrono alla crescita di un cantante: il supporto esterno, le scelte di immagine, il dosare le proprie apparizioni con criterio, la capacità di gestirsi.

Lei fa il tifo per qualcuno, quest’anno?

Sì, ma non lo dico, per doveri di par condicio. Mi fa piacere però che si sia abbassata l’età media dei partecipanti: in quest’edizione è facile vedere esibirsi dei sedicenni, dei diciassettenni. Non è un particolare da poco, la musica pop deve intercettare il gusto delle nuove generazioni. Poi, ho visto molti cantautori. Non solo cantanti. Il formato cantautorale è un valore aggiunto per un’aspirante popstar e dà una dimensione musicalmente forte alle dinamiche televisive.

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto Federico Russo)