Pubblicato il 01/02/2016, 13:31 | Scritto da La Redazione

Antonino Cannavacciuolo: “Cucinare è roba da uomini ma tra dieci anni mollo tutto” – Auditel, Sassoli in pole position per il dopo Malgara

Antonino Cannavacciuolo: “Cucinare è roba da uomini ma tra dieci anni mollo tutto” – Auditel, Sassoli in pole position per il dopo Malgara
Il giudice di ‘MasterChef’: “Lavorare ai fornelli è stressante e bisogna fare molte rinunce: per le donne è una sofferenza, io vorrei finalmente godermi la vita. Ho moglie e figlio vegani”. E poi giovedì 4 febbraio le prime elezioni del presidente dal 1984 ad oggi.

Rassegna stampa: Libero, pagina 18, di Alessandra Menzani.

“Cucinare è roba da uomini ma tra dieci anni mollo tutto”

“Lavorare ai fornelli è stressante e bisogna fare molte rinunce: per le donne è una sofferenza, io vorrei finalmente godermi la vita. Ho moglie e figlio vegani”.

Cucina da quando ha 13 anni. A 14 inizia la gavetta in Francia, in Alsazia, poi al Quisisana di Capri. Come il collega Carlo Cracco, il suo maestro è stato Gualtiero Marchesi. Oggi Antonino Cannavacciulo, il Bud Spencer della ristorazione italiana, napoletano, 41 anni ad aprile, è lo chef e capo di Villa Crespi sul Lago d’Orta e ha aperto un altro ristorante, più abbordabile, a Novara. Due stelle Michelin, 3 forchette della guida Gambero Rosso, una moglie, due figli, 4 macchine, per lui la grande popolarità arriva con la tv. Il piccolo schermo ormai trasforma i cuochi nelle nuove rockstar. Lui a colpi di “manate” e di frasi come «sai cosa vuol dire cucinare, mettere la mano dentro una bestia?» si è guadagnato la fama dello chef temuto, ma simpatico, prima nell’inferno di Cucine da Incubo (che a primavera torna su Fox) e poi, da questa stagione, come quarto giudice di MasterChef, su Sky Uno. Eppure il suo sogno nel cassetto è quello di mollare tutto…

MasterChef le ha cambiato la vita?

«Un po’ sì. La tv rende più popolari, ho diverse aziende, un locale diverso dall’altro, per essere alla portata di tutti».

Come si trova con gli altri giudici?

«Sul set ci siamo fatti molte risate, c’è un aria positiva e sui social ho visto che si è notato. A Bruno Barbieri do più ceffoni di tutti, mi istiga. C’è un clima goliardico».

Lei è il giudice simpatico?

«Sicuramente il più giovane. Gli altri hanno tutti 50 anni, sono vecchietti. Scherzo, naturalmente. Porto in tv il mio modo di essere, nessuno è un attore, non fingiamo».

Tra i concorrenti ha trovato qualche disastro come in Cucine da incubo?

«Chi arriva a superare le selezioni significa che è già piuttosto bravo. Il livello di preparazione è buono. Il casting è molto impegnativo, MasterChef è una macchina pazzesca, dopotutto la vittoria è notevole, 100mila euro in gettoni d’oro, se arrivi alla fine puoi fare le serate, è un bel business».

Lei quando ha capito di volere fare il cuoco?

«Sono nato in una famiglia in cui il cibo è sempre venuto al primo posto. Mio padre insegnava cucina e faceva lo chef, mia madre si è dedicata ai figli e alla casa. La prima ricetta di cui ho memoria è il ragù. Per me non era domenica se non avevo il profumo di ragù nelle narici. Eppure i miei genitori non volevano: “Tutto tranne che il cuoco”, mi dicevano. Volevano che facessi il dentista. Lo chef è un mestiere durissimo».

Perché?

«La competizione è massima. Oggi sei il migliore, domani sei incapace di cucinare. Come i calciatori. È un mestiere che ha una parte bella e una brutta. Altro esempio: ho 41 anni e non ho mai festeggiato un Capodanno, ho sempre lavorato. Non mi sono mai seduto a tavola con la famiglia a Natale. La Pasqua non so cosa sia. I giorni rossi nel calendario, che per tutti sono i festivi, per me significano giorni di fuoco».

Però avrà un guadagno notevole.

«È vero. Perché non spendi (ride). Credo che farò questo lavoro, a questo ritmo, fino circa ai 50 anni. Poi mi voglio godere la vita. Stare quindici giorni sotto una palma e il resto tornare a controllare le mie attività».

Ha fatto MasterChef con questo obbiettivo?

«Per fortuna le aziende andavano già bene. Più che il compenso vero e proprio della tv sono importanti le sponsorizzazioni. Se Cracco è il volto di Scavolini, io faccio lo spot del gorgonzola e sto chiudendo con due marchi belli. Il mondo è degli sponsor, sono loro che fanno girare i quattrini, come accade anche nello sport».

Quali sono le sue passioni?

«Il calcio, tifo ovviamente Napoli. Le macchine, ma da quando c’è il limite in autostrada mi è un po’ passata. Vado in pista, ma l’ultima volta nemmeno sono riuscito a entrare: ho distrutto l’auto ancora prima. E la pesca. Il mio sogno è prendere una barca bella grande che mi permetta di pescare. Mi piace ingegnarmi, costruire oggetti per la pesca. Ho trasformato un lampadario in un aggeggio per questo scopo. Dopo una giornata di pesca sono un uomo sereno, mi passano tutti i pensieri».

E dopo una giornata in cucina?

«Anche, pur essendo il mio lavoro. Amo cucinare, lo stress arriva nel momento del servizio, quando il piatto è pronto e devi servirlo».

C’è qualcosa che non cucina?

«Non uso e non mangio il wasabi. È decisamente troppo aggressivo per i miei gusti. Non lo voglio nemmeno vedere».

L’alimento che ama, invece?

«L’olio. Per un cuoco l’olio sono come le note per un musicista. E parlo dell’extra vergine di oliva, gli altri non li conosco».

Sua moglie è vegana. Discussioni a tavola?

«Quando ci sediamo a tavola e cucina lei ci sono solo cose vegetali. Rispetto molto le sue convinzioni, conduce una vita sana. Andrea, mio figlio di 3 anni, è lo specchio della mamma: mangia solo insalate, verdure, pasta coi piselli, fagioli, ha deciso tutto lui. A Lisa, che ha otto anni, invece piace tutto».

Cosa ne pensa di Carlo Cracco che dice di aver svezzato i figli con carne di fagiano e salame di Mantova?

«Coi miei sarebbe impossibile. Una volta, per fare stare tranquilla mia figlia mentre guardavo un Napoli-Inter le ho dato un piatto di melanzane alla parmigiana. Non le dico. Dopo due ore ho dovuto portarla in ospedale».

Cosa ha cucinato a sua moglie la prima sera in cui siete usciti?

«Lavoravamo già insieme. Le ho fatto una cenetta di mezzanotte molto semplice. Io e Cinzia ci conosciamo dal 1997, lei cura più l’aspetto manageriale, siamo molto affiatati, una bella macchina».

Puntate alla terza stella Michelin?

«Puntare è una parola brutta. Lavoriamo sempre bene per migliorare, facendo così i risultati arrivano. Ho letto un’intervista a Roberto Restelli, per 33 anni responsabile dell’Italia della Guida Michelin, e ha dichiarato che a Villa Crespi manca la terza stella perché nel 2009/2010 si trovava testa a testa con Vittorio di Bergamo e non si potevano dare tre stelle a due italiani nella stessa edizione. Questo già è un riconoscimento importante».

Come mai ci sono più uomini stellati che donne stellate?

«Se si fa una proporzione, non è vero: le donne chef professioniste sul campo sono numericamente meno. Però ce ne sono: all’Enoteca Pinchiorri c’è Annie Féolde, c’è Anna Santini del Pescatore, Valeria Piccini di Caino, in Toscana. Il motivo glielo ho spiegato prima: è un mondo in cui devi fare molte rinunce e scelte drastiche, coi figli è più difficile. Il lavoro è tosto, l’uomo è più forte, lavora più ore, recupera maggiormente. La donna sotto stress tiene dentro, l’uomo si scarica, si sfoga».

La potrebbero accusare di maschilismo…

«Purtroppo il mondo dell’alta cucina sì, è maschilista. Nella mia cucina non ci sono donne. Ma non perché non le ami. Anzi, mi affascina vedere una donna all’opera. Ma le proteggo. Ho avuto in cucina qualche donna e vedevo che soffriva. Non le voglio sfruttare».

 

Rassegna stampa: Corriere Economia, pagina 12, di Massimo Sideri.

Auditel, Sassoli in pole position per il dopo Malgara

Il termometro del gradimento tv deve affrontare nuove sfide e chiudere l’incidente della privacy violata per le famiglie campione. Giovedì 4 febbraio le prime elezioni del presidente dal 1984 ad oggi. Favorito il patron della Valsoia.

Non è eccessivo definire quello che si consumerà giovedì 4 febbraio, in seno all’Auditel, un evento storico: è la prima volta di fatto che si procede all’elezione del presidente, se si esclude la votazione di 32 anni addietro che portò Giulio Malgara a occuparne la poltrona fino alle dimissioni. Come fondatore dell’Auditel nel 1984 il suo risultato elettorale era scontato. D’altra parte allora c’era Bettino Craxi al governo, Giovanni Paolo II era solo al sesto anno dei suoi 27 di Pontificato, ed Edwin Moses vinceva i 400 metri ostacoli alle Olimpiadi di Los Angeles. Piccolo particolare ulteriore: mancavano ancora cinque anni all’invenzione da parte di Tim Berners Lee, allora sconosciuto ricercatore del Cern, del world vide web. Dunque, dicevamo, un evento storico. Anche se potrebbe essere non meno scontato: dopo lo scandalo dell’Audigate dello scorso ottobre, rivelato dal Corriere, e l’inquinamento del panel delle famiglie da cui dipende lo share dei programmi tv e, dunque, a cascata, gli investimenti pubblicitari, il soggetto forte è lupa, presieduta da Lorenzo Sassoli de Bianchi.

E proprio il patron della Valsoia sembra in pole position per occupare anche la casella Auditel. C’è un precedente, l’Unico possibile: anche Malgara nel 1984 guidava l’Upa. In ogni caso manca poco per scoprirlo: il presidente deve essere votato da Upa, Assocom e Unicom, ma è chiaro che in questo momento di crollo della credibilità dell’audience c’è bisogno anche di un nome gradito un po’ a tutti. «Largamente condiviso», come si dice nel diplomalese di questi casi. L’Auditel è un piccolo impero, il cui valore economico (per le rilevazioni del 2015 le emittenti televisive hanno sborsalo 18 milioni di euro alla società) non rispecchia minimamente il potere che in realtà ha, nascosto com’è nelle pieghe della governance ancor più che nel totem audience. Per come è nata, negli anni in cui la tv privata, al tempo sostanzialmente la Fininvest di Silvio Berlusconi, si contrapponeva all’ex monopolista mamma Rai, l’Auditel è sempre stata la stanza di compensazione dello scontro fino a diventare una diarchia contro i nuovi entranti (non è di certo un caso che negli ultimi anni lo scontro più agguerrito sia avvenuto con Sky). E lì dentro, negli uffici di via Larga a due passi dalla Madonnina milanese, che sono stati lavati i panni sporchi in questi 32 anni.

Non è un caso che Malgara fosse da sempre considerato un imprenditore vicino a Berlusconi (rischiò anche di diventare presidente Rai). E forse la sua più grande vittoria del 1984 fu quella di ottenere una sede a Milano, vicino a Fininvest e lontano dalla sede Rai di Roma. Anche se, come detto, ormai la battaglia si consuma su altre direttrici ed è più di difesa condivisa che di sgambetti tra i due super soggetti. La prima patata bollente del nuovo presidente sarà quella di chiudere la questione dell’Audigate. E in corso, a spese della Nielsen, la sostituzione del panel principale che era stato inquinalo (per chi non lo ricordasse un invio di email aveva permesso a blocchi di mille persone di sapere quali fossero le altre famiglie del panel, laddove la segretezza è un elemento inscindibile dall’attendibilità del campione, anche per evitare pressioni). Il risanamento completo è stato promesso per prima dell’estate. E la clessidra si sta svuotando velocemente.

 

(Nella foto Antonino Cannavacciuolo)