Pubblicato il 17/01/2016, 12:01 | Scritto da La Redazione

Rassegna Stampa – L’ad Marco Patuano: «Tim non sarà preda di stranieri ma polo europeo»

Rassegna Stampa: Repubblica, pagina 26, di Giovanni Pons

 

 

Marco Patuano: “Tim non sarà preda di stranieri ma polo europeo”

 

Intervista all’amministratore delegato di Telecom che respinge le avances di Orange

 

Dottor Patuano, il mercato delle tlc europee ha iniziato il suo processo di consolidamento. In Francia si sta discutendo di un merger tra Orange e Bouygues, Vodafone e Telefonica si sono già rafforzate sul mercato tedesco, in Gran Bretagna Bt ha acquistato EE mentre H3G si è assicurata O2 e ora sta discutendo in Italia della fusione tra Wind e 3. La nuova Tim dove si colloca in questo scenario cosi in movimento?

«Vi sono diversi tipi di consolidamento in corso. Quello all’interno dei mercati nazionali è in effetti partito dal momento che presenta i vantaggi piu evidenti. Mercati da 40-50 milioni di abitanti oggi non possono piu reggere 4 diversi operatori di telefonia mobile. Nell’attuale configurazione non vi è un ritorno sugli investimenti sufficiente a giustificare quei servizi oggi richiesti dalla maggioranza degli utenti. L’esempio più evidente ce l’abbiamo sotto gli occhi, Wind e 3 da sole non riescono a implementare sufficienti investimenti. Mettendosi insieme, invece, dovrebbero ottenere importanti economie di scala».

E quali sono gli altri consolidamenti strategici del futuro?

«Le acquisizioni transfrontaliere sono più difficili da realizzare poiché le sinergie sono meno evidenti. E infatti gli operatori tradizionali nei diversi paesi europei sono piu cauti nel proporre operazioni. C’è poi la tipologia del consolidamento di mercati adiacenti, penso a telecomunicazioni e contenuti, con il quale si cerca di conquistare una clientela piu ampia o un nuovo canale distributivo attraverso cui proporre i propri servizi a valore aggiunto. Abbiamo visto i casi di At&t che compra Direct tv, Telefonica che acquisisce Digital Plus, Vodafone che in Spagna ingloba Ono, in Francia Numericable che conquista Sfr e in Italia Vivendi ha un partecipazione importante in Tim. Anche questo tipo di consolidamento può portare molto valore».

E dunque le capacità di sviluppo di Tim oggi sono condizionate dal suo azionista francese al 21,5% che vuole sviluppare contenuti da veicolare sulla rete italiana?

«Credo che la situazione di Tim oggi stia diventando sempre più attraente. Il mercato italiano del mobile si sta consolidando, c’è un buon ritorno sugli investimenti; nel fisso gli abbonamenti in fibra stanno crescendo, grazie anche a l fatto che il mercato della pay tv offre ancora grossi spazi di sviluppo poiché l’Italia ha un basso tasso di penetrazione. Siamo il primo operatore dell’ICT in Italia: il risultato è che oggi la redditività è tra le migliori d’Europa nonostante un debito ancora importante. Inoltre continuiamo a investire in Brasile, che rappresenta un’opportunità di crescita nel lungo periodo».

Oltre a Vivendi anche Niel e Orange vi stanno corteggiando. Essere attraente vuol dire che Tim sarà una preda e non una protagonista del futuro processo di consolidamento?

«Non proprio. Tim è sana è può essere vista in prospettiva come il centro di un polo aggregante di realtà di medie dimensioni in giro per l’Europa, dove al momento esistono un centinaio di operatori. Credo sia l’idea che ha in testa Xavier Niel. Oppure potrà agire da ago della bilancia di un processo di aggregazione europea che potrebbe veder protagonisti gli ex monopolisti. Ma con una differenza: Tim è interamente privata e non ha lo Stato tra gli azionisti che è invece presente nelle realtà francesi e tedesche. Che il proprietario di un asset infrastrutturale strategico possa sposarsi con un operatore controllato dallo Stato di un altro paese mi pare un passaggio difficile, anche in chiave geopolitica. E poi comunque bisognerebbe passare dal mercato, lanciando un’Opa, piuttosto costosa in questo periodo».

Vivendi è recentemente entrata nel cda di Tim con quattro suoi esponenti. Da dentro potrà mettere meglio in pratica la sua strategia di distribuzione?

«L’avvento di Netflix ha fatto capire che per produrre contenuti di qualità sempre più elevata occorre avere mercati di sbocco i più ampi possibile. Vivendi, che è un produttore di contenuti, al momento può distribuirli in Francia con Canal Plus, in Spagna attraverso gli accordi con Telefonica, in Polonia e in Italia, le mancano la Germania e la Gran Bretagna. Essere a contatto con un mercato, come quello italiano, a bassa penetrazione di pay tv, per loro è sicuramente interessante».

E poi da dentro il board, possono stoppare sul nascere operazioni che sono in contrasto con i loro interessi, come la conversione delle azioni di risparmio, bocciata da Vivendi e alleati il 15 dicembre scorso.

«E’ giusto che un azionista con più del 20% del capitale e tre miliardi di investimento sieda nel board. Vivendi ha detto che l’operazione di conversione è giusta ma che avevano bisogno di ulteriori “fairness opinion” da parte di esperti. Fossero già stati in consiglio, questa richiesta avrebbe potuto essere soddisfatta immediatamente. Così come il nuovo piano industriale, che presenteremo a febbraio, potrà essere condiviso fin da subito con i rappresentanti di Vivendi che sono esperti di tlc e media».

Con Vivendi in cda verranno accelerati gli investimenti nella banda larga, come ha promesso Vincent Bolloré al premier Matteo Renzi?

«Il piano di Tim è sempre stato ricco di investimenti, anche perché la fibra si sta vendendo meglio di quanto immaginassimo. Nelle città dove Tim è già presente, un terzo dei clienti che avevano l’abbonamento Adsl è passato alla fibra. Quindi si può accelerare ancora».

Con Metroweb o senza Metroweb? E’ un tema che ci tiene in sospeso da oltre un anno.

«Il business plan su 250-300 città è positivo, nel senso che il tasso di ritorno sul capitale è interessante, anche in presenza di un impegno finanziario importante. Ma è necessario fare delle verifiche pro-concorrenziali con le autorità competenti perché vogliamo mantenere un ambiente di pax regolatoria. Se l’accordo con Metroweb implicasse un ritorno a situazioni di contenziosi, allora preferiremmo lasciar perdere, visti tutti gli sforzi che abbiamo fatto per uscire da una situazione di conflitto con gli operatori concorrenti»..

Condividete la decisione del governo di adottare il modello di intervento diretto per la rete in fibra nelle aree a fallimento di mercato?

«Non è una novità, Infratel possiede già parti di rete in giro per l’Italia e il modello ha funzionato e funzionerà. L’unica cosa che diciamo è che se dobbiamo accendere la fibra investendo nella parte elettronica abbiamo bisogno di contratti di affitto lunghi, che ci assicurino il diritto d’uso per almeno vent’anni».

Che significato ha la strategia di unificazione del marchio che avete appena avviato?

«Per comunicare un concetto più ampio di qualità del servizio, per elevare la connessione a un sapere più grande, abbiamo bisogno di un unico marchio, giovane e moderno, che esprima fino in fondo la nostra missione. E’ qualcosa di più di un’operazione commerciale, è di fatto una nuova azienda e un modo di lavorare diverso, legato anche alla creazione di un ambiente che ti deve permettere di esprimere questa energia. Per lo stesso motivo abbiamo avviato anche la ristrutturazione delle sedi e degli immobili con un investimento di 400 milioni che ci porterà a razionalizzare tutti gli ambienti di lavoro».

Avevate promesso di assumere nuova forza lavoro con il Jobs Act ma il risultato a oggi è deludente. Come mai?

«E’ vero, però non abbiamo abbandonato l’obiettivo. Vogliamo tornare ad assumere nei prossimi tre anni, sempre con il Jobs Act. Presto diremo come».