Pubblicato il 16/01/2016, 13:01 | Scritto da Gabriele Gambini
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Fabrizio Biggio: “Torno con radio e cinema. L’epoca di Mtv? Quella era una televisione che sapeva rischiare”

Fabrizio Biggio entra a gamba tesa nel cast de I sociopatici su Rai Radio 2: dal lunedì al venerdì alle 15 affianca Andrea Delogu e Francesco Taddeucci commentando la quotidianità del web, dei social e le interazioni umane dietro al filtro della rete. I simmetrici funambolismi che separano l’utente di smartphone dalle notifiche su Twitter e Facebook sono sviscerati con taglio dissacrante, complici anche le incursioni comiche di Saverio Raimondo. Una doppia rinascita, per Biggio: da un lato perché si confronta con il mezzo radiofonico dopo la recente uscita del suo pamphlet a fumetti, Le Avventurine di Pene e Vagina (Magic Press) dall’altro perché «Fare questo programma mi ha costretto ad inaugurare i miei profili di Twitter e Facebook: fino a qualche mese fa, sapevo a malapena che cosa fossero».

Questionario di Proust alla mano, se dovesse indicare uno stato d’animo che la contraddistingue al momento, potrebbe dire: sociopatico.

Davvero (ride, ndr). La verità è che io parto svantaggiato nei confronti del mondo social. Sto imparando a utilizzarli soltanto adesso e sto diventando matto: Facebook, Twitter, Snapchat, Instagram. Ragazzi, io ho 40 anni, sono vecchio!

Lo consideri una sorta di corso d’aggiornamento, allora.

Non so che cosa scrivere, non so quanto una persona possa essere incuriosita da un mio status. Ma sto imparando. Fino a qualche mese fa, prediligevo i contatti diretti, a voce, con le persone che mi interessavano.

Come è stato accolto il suo arrivo in trasmissione dal tandem Delogu-Taddeucci?

Ci siamo amalgamati subito. Abbiamo fatto amcizia. Ci dividiamo tra interventi colloquiali e entrate a gamba tesa. Io cerco anche di rompere le scatole sui vari argomenti.

Quale argomento le piacerebbe trattare in trasmissione?

Un paradosso. Andare a recuperare tutto ciò che non è social e inserirlo nella conversazione come metro di confronto coi social. Andare per le strade a parlare con la gente. Il primo social network, per tutti, è il cortile di casa, oppure il bar. Non scordiamolo mai. Sarebbe un raffronto interessante nell’era di Facebook.

Come cambierà la sua vita ora che è diventato smanettone?

Sono una persona riservata, non vorrei trasformarmi in uno smanettone compulsivo (ride, ndr). Mi sono già cimentato nel raccontare fiabe rielaborate in chiave social: per esempio, Cappuccetto Rosso è diventato Coveretta Rossa in tributo alle cover degli smartphone, Pollicino si chiama così perché il pollice gli si è consumato schiacciando i tasti di continuo…

L’osservazione della realtà con il filtro del grottesco è un’operazione riuscita dai tempi de I soliti idioti.

I Soliti Idioti sono nati per rimarcare il lato comico del quotidiano e per attribuirgli un valore quasi apotropaico.

Non scordando che sono nati su Mtv, dove lei e Francesco Mandelli avete mosso i primi passi come veejay. Oggi quel canale è stato rimpiazzato da contenuti molto diversi rispetto a quei periodi.

Penso che nella tv contemporanea si rischi sempre meno. C’è minor voglia di osare. Ricordo il periodo pionieristico della prima Mtv Italia: si sperimentava, si prendevano ragazzini come eravamo noi e li si buttava nella mischia. Oggi quell’energia si è persa.

Che ricordi ha di quel periodo?

Tanti e variegati. Le dirette da Londra sono state un’esperienza fantastica. Ma più di ogni altra cosa mi è rimasto impresso il mio primo provino…

Come andò?

Sulle prime, andò bene. Mi dissero che mi avrebbero contattato loro per metterci d’accordo su quando cominciare come veejay. Attesi diverse settimane. Che diventarono un mese e oltre. Non ce la facevo più. Mi sentivo scoraggiato. Allora disegnai un fumetto in cui il protagonista ero io, sul divano di casa, con la vita distrutta per non essere stato richiamato. Lo inviai alla redazione. Mi contattarono e feci un colloquio col direttore artistico di Mtv. Mi propose di disegnare una striscia a fumetti, una puntata al mese, per il loro sito…

E lei?

Ci rimasi malissimo. Io volevo fare il veejay e glielo dissi chiaramente. Allora lui scoppiò in una sonora risata: “Ti sto prendendo in giro”, disse, “Da settimana prossima puoi cominciare come veejay”.

Lei è da sempre appassionato di fumetti.

Disegno da sempre. Il mio primo introito “vero”, da adolescente, è arrivato grazie a un mio fumetto, pubblicato su una rivista di caccia. Io non ho mai amato la caccia, ma ho accettato, facendo di necessità virtù. Da poco ho pubblicato l’edizione a fumetti de Le avventurine di Pene e Vagina e ne sono molto soddisfatto.

I suoi fumetti d’ispirazione?

Per la mia formazione, è stato fondamentale Andrea Pazienza. Poi Frigidaire, l’umorismo francese di Asterix. Lucky Luke. E Edika, un fumetto demenziale dalla comicità surreale.

Proprio l’avvento dei social e delle nuove tecnologie rende il fumetto un feticcio al pari del vinile, ma non più destinato a un consumo di massa.

L’epoca di Pazienza ha segnato un periodo d’oro per il fumetto italiano, che probabilmente non tornerà. In Francia, in questo campo, c’è una cultura migliore rispetto all’Italia. Le graphic novel godono di maggior esposizione.
L’avvento dei supporti tecnologici può cambiare il meccanismo di fruizione ma il cartaceo, per questo genere di editoria, resta fondamentale.

Quali sono i suoi altri progetti per il futuro?

Quest’estate ho preso parte alla lavorazione di un film americano. Si intitola Smitten!, lo sceneggiatore è Barry Morrow, lo stesso di Rain Man. Si tratta di un fantasy-comedy in cui, tra i protagonisti, figura Madalina Ghenea. Una bella esperienza. Mi ha fatto tornare la voglia di fare cinema.

Con l’ultima esperienza, Inferno – La solita commedia, l’aveva persa?

Alcune dinamiche commerciali ci avevano travolti. Inferno per me e per Francesco Mandelli era un ottimo esperimento, un film onesto, in linea con le idee che volevamo sviluppare. Il rammarico è averci lavorato e averlo fatto uscire dopo i due film su I soliti idioti.

Avreste preferito scelte temporali diverse?

Col senno di poi, sì. Sarebbe stato utile per diversificare la nostra proposta. Inferno, invece, non è andato bene perché quelli che ci odiavano per I soliti idioti ci hanno snobbato a priori e i molti fan che si aspettavano ancora il classico “Dai cazzo!” sono rimasti delusi.

Inferno, nel senso di Vita d’inferno, è un tema che avete esplorato anche a Sanremo.

Non sono un musicista, ma salire sul palco dell’Ariston è stata una figata. Anche coi Sociopatici mi piacerebbe proporre qualcosa nella modalità canzonettistica alla Cochi&Renato. Quello è un tratto distintivo che non vorrei abbandonare mai.

Gabriele Gambini
(nella foto, Fabrizio Biggio)