Pubblicato il 28/10/2015, 15:33 | Scritto da Tiziana Leone
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L’insulto e l’umiliazione: la cucina è come l’esercito e anche “Il più grande pasticciere” trasforma i concorrenti in reclute

L’insulto e l’umiliazione: la cucina è come l’esercito e anche “Il più grande pasticciere” trasforma i concorrenti in reclute
Partito ieri sera su Rai 2, il programma per aspiranti pasticcieri ha mostrato ancora una volta il gusto sadico dei talent culinari, dove i giudici alla dolcezza preferiscono il clima alla "Full Metal Jacket".

«Questa crema è molto consistente». «Grazie maestro». «Guarda che non era un complimento». Ecco, in questo botta e risposta io racchiuderei l’intera prima puntata di Il più grande pasticciere, partito ieri sera su Rai 2. Lo sguardo di terrore della povera disgraziata, che in un nano secondo passa della certezza di aver creato una perfetta crema al limone alla consapevolezza di aver dato in pasto al giudice una semplice poltiglia di pongo è l’emblema di una televisione che sforna, è il caso di dirlo, un popolo di repressi, qualunque mestiere essi facciano, che cantino, ballino, cucinino o preparino dolci. Ai giudici ormai viene chiesto di appendere i grembiuli al chiodo, indossare la divisa di Full Metal Jacket e insultare il primo povero Palla di lardo che gli capiti a tiro.

Nella puntata di ieri è toccato a un concorrente sardo, invitato a tiare fuori le palle, non quelle del profiterole, perché la sua terra è fatta di gente dura, ruvida, che non si fa mettere i piedi in testa. Se poi a gridartelo in faccia è un pasticciere che sembra Sandokan con gli occhiali rosa fucsia, capite che l’umiliazione assume dimensioni che nemmeno Rocco Siffredi dopo una notte nella casa del Grande Fratello. L’arte della cattiveria in cucina passa da MasterChef, si infila nella Cucine da incubo di mezzo mondo e piomba nel frullatore del Più grande pasticciere, dove i giudici hanno un che dell’impiegato del catasto a cui tocca uscire dalla posizione di Bartleby lo scrivano, quello che non ha altra risposta del “preferirei di no” e sottoporre i masochisti che sognano di diventare pasticcieri alle peggiori angherie. Da loro il pubblico, abituato a vedere ormai scorrere lacrime insieme all’olio, si aspetta cattiveria, cattiveria, cattiveria. E loro, pagati apposta, eseguono.

Così quando si avvicinano all’inutile Ratatouille incastrato dietro al banco da cucina, siamo tutti lì ad aspettare: a questo giro che tireranno fuori l’alabarda spaziale, il raggio fotonico o il maglio rotante? Vorremmo tutti vedere i concorrenti stramazzare a terra finita a colpi di Bimby, ma poi colpo di scena, basta una crema al cioccolato aromatizzata alla vaniglia e il giudice si umanizza, rientra in sé e dice che sì il ragazzo ha le potenzialità per andare avanti. E meno male visto che noi umani pronti a farci venire il cancro pur di non rinunciare al würstel, che cuoce in due minuti, abbiamo stipate in dispensa confezioni di panna cotta pronta in tre secondi netti, torte che si autoproducono nel microonde, mousse al cioccolato da gustare direttamente dal pacchetto. Tutti cibi che avevano già le sembianze del dolce perfetto, ovviamente prima che Sandokan ci smontasse la crema. E in tutto ciò già immagino Carlo Cracco, seduto sul divano di casa mentre si strafoga di patatine, che tanto gliele regalano, con la bambolina voodoo in mano indeciso se colpire o aspettare che i tre si eliminino da soli, tanto ormai è tornato l’Auditel.

 

Tiziana Leone

 

(Nella foto i giudici de Il più grande pasticciere)