Pubblicato il 27/10/2015, 19:30 | Scritto da Gabriele Gambini

Giovanni Terzi: “Con ‘Insomnia’ racconto l’animo notturno della nostra società. Nostalgia della politica? Oggi sto bene così”

È imprudente, avventurarsi nei meandri del proprio io quando fa buio: si corre il rischio di dover fare i conti con se stessi senza le scappatoie della frenesia diurna. Gli insonni lo sanno bene. Giovanni Terzi è uno di questi e ha deciso di farne un privilegio mediatico. Oggi, alle 23.50 su LA3, torna l’appuntamento live con il suo Insomnia, giunto alla quarta puntata. Il programma ha l’apparente dimensione del talk: l’intervistatore, l’ospite, l’intervista. Ma del talk sfrutta le prerogative per scoprirne il punto di vista laterale, quello della confidenza notturna col sapore di confessione, non lesinando con la contaminazione social. Questa sera gli ospiti saranno lo scrittore noir Andrea G.Pinketts, la criminologa Flaminia Bolzan, in collegamento Skype, e Lucia Uva, sorella di Giuseppe Uva, morto 7 anni fa a Varese dopo essere stato fermato ubriaco dalle forze dell’ordine e portato in caserma. A far da trait d’union, l’inviato del programma, Ale Baldi, in viaggio in auto con i City Angels per le strade di Milano.

Il racconto della notte attraverso una rosa di personaggi. Non si rischia di scimmiottare Marzullo, che sulla notte ha un appalto pluridecennale?

Ma no (ride, nda). Marzullo spesso viene bersagliato e imitato nel suo intercalare: io lo trovo un professionista straordinario che fa questo mestiere da una vita e che ha saputo tirar fuori l’anima inedita di molti suoi intervistati. Detto questo, Insomnia è un programma diverso: il nostro è un tentativo di raccontare la società attraverso alcuni protagonisti, dai very normal people ai vip. Con il valore aggiunto di andare in diretta in un orario notturno, dove le confessioni si fanno più intime e peculiari. La notte diventa sfondo dominante.

Da dove nasce quest’esigenza?

Ricordo con piacere l’epoca in cui si ascoltava Radio Lupo Solitario. Allo stesso modo, ho nel cuore un film come La Leggenda del Re Pescatore, in cui la radio catalizzava voci e confessioni notturne. Il tentativo è ricercare quel sapore col linguaggio della televisione e la contemporaneità dei social, che ci vengono in aiuto per descrivere i personaggi intervistati.

Lei è un insonne?

Da molto tempo. Mi capita di andare a dormire alle 11 di sera e di svegliarmi alle 3 di notte.

E a quel punto che cosa fa?

Investo il tempo in cui resto sveglio lavorando. Oppure monitorando il web, azione un tempo impensabile. Poi recupero il sonno perduto nei weekend, quando coi miei figli vado nella nostra casa di Grazzano Visconti.

I pensieri notturni sono tanto differenti rispetto a quelli diurni?

La notte smuove pulsioni interne, è dominata da solitudini e grandi silenzi. Molte cose che non possono essere dette di giorno, di notte trovano asilo. In questo senso, la notte garantisce più verità.

Come la andrete a cercare, questa verità?

Di volta in volta, a seconda del tema delle puntate, invitiamo dei volti disposti a raccontarsi non scendendo a patti con la classica intervista da talk. Per esempio, questa sera tra gli ospiti avremo Lucia Uva: non ci focalizzeremo sulla ricostruzione del dramma vissuto da suo fratello Giuseppe, cercheremo di disegnare un ritratto del suo animo, quello “sliding doors” emotivo che fornisca prospettive inedite sul loro rapporto familiare.

Molta sarà la contaminazione social.

Twitter o Facebook danno uno spaccato immediato di quello che si prova o si sente in un determinato momento. L’hashtag, poi, è uno strumento meraviglioso perché crea un sentire comune. I social ci vengono in aiuto perché diventano complementari alle parole. Fornendoci spunti di contaminazione e sperimentazione.

Lei ha un passato da assessore al Comune di Milano. Quanto i social influenzano il linguaggio della politica, oggi?

Ne hanno semplificato il linguaggio. Hanno portato i politici a contatto diretto con la gente. Ma non sempre la semplificazione ha connotazioni positive. Esistono temi profondi che richiedono terminologie e tempi adeguati. Penso alla liturgia degli interventi parlamentari su tematiche delicate come la riforme costituzionali. Ecco, credo che non si possa spiegare la Costituzione con un tweet. La politica dovrebbe contenere una giusta commistione di linguaggi diversi.

Ma la politica invade anche la tv.

La formula talk raggiunge un ampio range di pubblico. La chiave per evitare la sovraesposizione sta nella differenziazione dei contenuti: offrire materiale diverso per evitare l’appiattimento. Siamo nell’era delle infinite possibilità mediatiche: con un semplice click possiamo collegarci con la CNN, oppure visualizzare Time Square tramite una webcam. Gli strumenti offerti dalla tecnologia sono straordinari. L’essenziale è considerarli un mezzo, non un fine.

Tra queste ampie possibilità, ha qualche preferenza televisiva?

Mi piace come è costruito Storie Vere su Rai1. Apprezzo molto il nuovo corso di Domenica In, con Salvo Sottile e Paola Perego. Per il resto, sono molto internettiano.

Nel disegnare il suo ruolo televisivo, c’è qualche ospite che le piacerebbe portare a Insomnia?

Il sogno impossibile, è avere il Papa. Mi intrigherebbe sapere a che cosa pensa durante la notte. Oppure, per passare dal sacro al profano, Heather Parisi. Incarna l’immaginario di una tv che amavo da bambino. Il passaggio all’età moderna del piccolo schermo. Lei era una professionista preparatissima.

Non le piacerebbe avere qualche politico?

Non sarebbero nel target. Preferisco il racconto della socialità non istituzionale.

O forse dice così perché teme di aver nostalgia del suo ruolo istituzionale del passato?

Ho nostalgia del mio periodo di assessore, lo ammetto. L’ho fatto con passione e di quegli anni conservo bei ricordi. Ma non sogno di tornare alla politica. Preferisco condurre Insomnia.

C’è una ragione dietro a questa presa di posizione?

La ragione è semplice: ho fatto politica a Milano per dare un contributo alla mia città. Il ruolo di assessore consente un rapporto diretto con il territorio ed è molto più stimolante rispetto a quello del parlamentare, a cui non ho mai aspirato. Esaurito il mandato, trovo sia giusto lasciare spazio a volti nuovi. Fare politica significa prestarsi a un ruolo per il bene pubblico per poi farsi da parte e tornare alla propria professione d’origine.

Quanto però è influenzata la propria professione d’origine da un passato in politica attiva?

Non so se la politica agevoli o meno la strada professionale. Da un lato, porta in dote molte relazioni altrimenti impensabili. Da un altro, chiude dei rapporti. Riprendere in mano la propria vita dopo un’esperienza istituzionale è faticoso ma appagante. Oggi, collaborando con Il Giornale e con La3, sono pienamente soddisfatto.

Gabriele Gambini
(nella foto, Giovanni Terzi)