Pubblicato il 27/10/2015, 13:33 | Scritto da La Redazione
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La proposta di Franceschini: “I tg stiano fuori dal sistema Auditel” – Da Battisti a Fiorello tutti i segreti di Fatma Ruffini tra musica e tivù

Rassegna stampa: Corriere della sera, pagina 43, di S. Lan.

La proposta di Franceschini: “I tg stiano fuori dal sistema Auditel”

Fuori l’Auditel dai tg. «Perché non tutto può essere soggetto alle leggi di mercato, in particolare la qualità dell’informazione». Parole (convinte) del ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, che in un’intervista a Radio24 riapre in modo perentorio il dibattito sul futuro del sistema di rilevamento degli ascolti, travolto dal caso del baco nel software che svelando l’identità delle famiglie campione ha inquinato i dati, e per questo sospeso per due settimane. Le parole del Ministro fanno chiarezza sul ruolo che dovrà vestire la tv pubblica del futuro. «Col canone che ti garantisce si potrebbero sottrarre alcune cose all’Auditel, io non ho mai capito perché l’informazione deve essere soggetta a rilevazioni, perché un telegiornale va meglio o peggio non in base alla qualità delle notizie, ma in base al numero di ascoltatori» spiega Franceschini, approvando l’accantonamento del tema della privatizzazione della Rai. «Era un argomento insidiosissimo che ha attraversato il dibattito per anni: la Rai resta pubblica e mantiene la sua natura di servizio pubblico. Ora bisogna aggiungere contenuti senza consegnarsi alle logiche dello share».

Franceschini cerca così di allargare gli orizzonti dei palinsesti. «C’è un grande spazio che si potrebbe riempire con contenitori culturali» aggiunge. La posizione del ministro ha raccolto consensi bipartisan. Dal deputato Ncd Cicchitto («è necessario privilegiare la qualità dell’informazione») a Gea Schirò del Pd («la pressione di un soggetto quotato non favorisce la libertà di espressione»), al deputato verdiniano Francesco Saverio Romano, che dice: «Bisogna recuperare lo spirito professionale dell’azienda senza relegarlo a una mera misurazione di numeri».

 

Rassegna stampa: Il Giornale, pagina 1, di Bruno Giurato.

Da Battisti a Fiorello tuffi i segreti di Fatma Ruffini tra musica e tivù

Iniziò come discografica, poi il Cavaliere la portò dietro il piccolo schermo a creare trasmissioni tra le più amate. Ora nella sua autobiografia racconta la vita tra divi, casting e mega produzioni.

La signora di Mediaset non dice la sua età. Un po’ per vezzo, un po’ perché, racconta a Il Giornale: «Se proprio decido di dirla devo ricordarmi l’età che ho dato l’ultima volta che me l’hanno chiesta, quindi diventa una specie di lavoro», e sorride. La signora di Mediaset è Fatma Ruffini, suo il nome è in centinaia di programmi. Da Scherzi a parte a Superflash, a Viva le Donne, al Gioco delle coppie a Casa Vianello a Ok il prezzo e giusto al Karaoke di Fiorello, e potremmo andare avanti per pagine. L’intrattenimento sulla tv commerciale italiana è lei, Fatma, fama da lady di ferro eppure, oltre che tosta, creativa. La sua autobiografia è uscita in questi giorni, La signora di Mediaset. La mia vita con Berlusconi e i divi della Tv (Mondadori, euro 18,90) è il racconto di come dal nulla è nata la tv commerciale italiana. Tutto iniziò nella primavera del 1981, quando il Cav, convocata la Ruffini in via Rovani, le diede quasi un non-incarico. L’accolse con un sorrisone, parlarono qualche minuto e le disse: «veda, faccia». E lei andò (nella sede di quella che allora era Telemilano), vide, fece. E vinse.

Prima c’era stato qualche anno di lavoro alla Ricordi, ai rapporti con la tv. La Ruffini si occupava dei Queen, di Simon & Garfunkel, dei Led Zeppelin. Arrivò un ragazzino che faceva il road manager (leggi: guidava il pullmino) per i Dik Dik, e aveva già scritto 29 settembre per l’Equipe 84. Lucio Battisti. «Non mi ha mai offerto un pranzo né una cena» racconta la Ruffini «era di un’avarizia inimmaginabile. Gli trovavo gli spazi televisivi e lui, in qualche modo si sfilava sempre. Diceva che non gli serviva». E invece a lei la tv piaceva e serviva. Tanto che quando, più avanti, Berlusconi le diede il famoso non-incarico si chiuse negli studi e cominciò a inventare programmi, organizzare cast. Con Buongiorno Italia inventò la programmazione del mattino, fino ad allora sulla Rai la mattina andava il monoscopio. «Mi muovevo molto anche all’estero. Guardavo i format americani e inglesi, e li adattavo. Spesso erano grandi successi, come Ok il prezzo è giusto. A volte no» racconta. «Per esempio Non dimenticate lo spazzolino da denti, che andò in onda con Fiorello nel 1995, non funzionò. Era troppo crudele». Crudele? «In una puntata bruciammo l’abito da sposa di una ragazza. Grandi pianti. Il pubblico italiano non era pronto per un programma così aggressivo».

Però, il pubblico finì per gradire l’aggressività, per esempio, di Scherzi a parte. «Alcuni scherzi non sono andati in onda, perché i protagonisti non firmarono la liberatoria» racconta Fatma. «Giancarlo Giannini rimase offesissimo. L’abbiamo chiuso in macchina con una cicciona che cantava e urlava. Al “sei su Scherzi a parte” si è avventato sull’operatore e ha spaccato la telecamera. Carlo Rossella l’abbiamo rapito e portato in un campo rom. Ha avuto una reazione incredibile». A fare si sbaglia, anche, e ci sono personaggi che alla fine non hanno voluto diventare delle star tv, nonostante l’impegno produttivo. Uno di questi è Ambra Angiolini: «A Non è la Rai era perfetta: magrolina, bellina. Arrivò a fare Generazione X con dieci chili in più. Intrattabile, riottosa. Non faceva bene le interviste. Poteva fare una bella carriera tv e non l’ha fatta. Bisogna dire che poi il cinema le è riuscito magnificamente. Si vede che la tv non era per lei» spiega Fatma.

E poi (ma si sa è il gioco della tv) ci sono personaggi che hanno portato modelli trovati dalla Ruffini alla Rai, uno di questi è Daniele Luttazzi. Talk show alla Letterman con Barracuda (1999). «È una persona molto intelligente, preparata, con un ego enorme, però gestibile – racconta Fatma – in montaggio tagliavo tutto quello che non poteva andare in onda. La mattina dopo la prima puntata chiamò tutti, anche Giorgio Gori, che allora era il direttore di rete, urlando. Gori venne da me, visionò le parti tagliate e disse: “se non avessi tolto quelle battute saresti una pazza”». Poi Luttazzi replicò il modello con Satyricon, con tutte le polemiche più o meno bulgare che seguirono.

E infine l’accusa che storicamente gira intorno a Mediaset: aver abbassato il livello culturale degli italiani. Risponde Fatma: «Il compito di una tv commerciale è informare e intrattenere, non educare, e noi l’abbiamo assolto, credo, egregiamente. Forse è la Rai che avrebbe dovuto porsi il problema di educare il pubblico, invece di inseguire noi». La signora di Mediaset si conferma di ferro. E la tv commerciale forse ha abbassato il livello culturale, non degli italiani, ma, come diceva Flaiano, degli intellettuali.

 

(Nella foto Fatma Ruffini)