Pubblicato il 11/09/2015, 16:35 | Scritto da Gabriele Gambini

Gianluigi Nuzzi: “Mi ha stupito la Sciarelli che ha pubblicizzato una fiction in concorrenza con ‘Quarto Grado'”

Gianluigi Nuzzi: “Mi ha stupito la Sciarelli che ha pubblicizzato una fiction in concorrenza con ‘Quarto Grado'”
Nella puntata di stasera, in onda alle 21.15 su Rete 4, rivelazioni inedite sui casi di Yara Gambirasio ed Eleonora Ceste. TvZoom ha intervistato il giornalista-conduttore, che non ha risparmiato un'analisi completa sulla situazione dell'approfondimento in tv.

«Penso che Vespa abbia fatto benissimo a intervistare i Casamonica nello studio di Porta a Porta: quei signori rappresentano una parte del Paese, ne sono il sottoscala nebuloso».  A parlare è Gianluigi Nuzzi, uno che le inchieste le conosce bene. Ci ha costruito sopra una brillante carriera giornalistica e televisiva partendo da un proposito concreto: il giornalismo d’approfondimento deve permettersi di arare territori mai esplorati prima. Su questa linea si è consolidato Quarto Grado (ogni venerdì alle 21.5 su Rete 4), settimanale curato da Siria Magri, che Nuzzi conduce assieme ad Alessandra Viero. Il riscontro di pubblico del format ha due ingredienti di base: una narrazione della cronaca nera partendo da dati fattuali capaci anche di modificare l’iter delle inchieste giudiziarie in corso e un’interazione costante con gli spettatori.

L’obiezione posta da chi critica la scelta di Vespa è quella di non aver invitato in studio anche le vittime dei Casamonica.

Ognuno è libero di fare a posteriori le considerazioni che ritiene opportune. Ma, nel merito, ribadisco: quei signori, i Casamonica, fanno parte di un sottobosco ben presente in Italia che la cronaca ha il dovere di illuminare e raccontare. Non ci vedo niente di scandaloso.

Sotto una forma ben distinta, mi vengono in mente alcune tipiche critiche mosse ai talk show come Quarto Grado. Nello specifico, a voi viene spesso rinfacciato di distillare, tramite i casi di nera, racconti su un altro tipo di sottobosco: quello delle viltà della provincia italiana un po’ gretta e morbosa.

Attenzione: il Paese vero, è la provincia. La realtà della metropoli esiste, ma non ne costituisce la dimensione portante. Un po’ come accade oltralpe: la Francia non è Parigi, è la sua dorsale agricola. Allo stesso modo, l’Italia vera è quella delle piccole imprese, delle famiglie, dei paesi, dei riferimenti quotidiani ben visibili. Quarto Grado, attraverso inchieste condotte con rigore fattuale, porta alla luce anche l’aspetto emotivo delle vicende narrate. È inevitabile. Le emozioni sono la punta del compasso che muove qualsiasi storia. Con una conseguenza neanche troppo sorprendente: si scopre un’Italia migliore di quella che viene raccontata di solito.

Come si scopre, quest’Italia migliore? Attraverso un’inchiesta su un omicidio?

Vede, il Paese non è rappresentato da qualche omicida, ma da chi interviene e cerca di sanare quelle situazioni delittuose e tragiche. Magari senza voler apparire. In ogni inchiesta che conduciamo, scopriamo storie di eroi normali, che vivono il quotidiano e si fanno carico di sostenerne il peso. Penso a un caso emblematico, quello di Elena Ceste. Il cognato della scomparsa Ceste è un piccolo ristoratore piemontese diventato eroe suo malgrado. Si è trovato da un giorno con l’altro la moglie dilaniata dal dolore per la scomparsa della sorella e si è fatto carico di crescere i propri figli e i quattro figli di Elena. Questi aspetti si affiancano con forza alla ricostruzione dei casi di giudiziaria.

Casi su cui, per garantire un approfondimento completo, non lesinate sull’interazione diretta col vostro pubblico.

Ci arrivano ogni giorno centinaia di email e segnalazioni da parte degli spettatori, molte delle quali confluiscono nei nostri servizi fornendo spunti propositivi. Prestare attenzione al pubblico è fondamentale. Quest’anno abbiamo potenziato il centralone telefonico e affinato ancor di più la parte social. Continueremo con l’esperimento di portare una telespettatrice in studio.

L’anno scorso avete puntato molto sulla sensibilizzazione sociale contro le forme di violenza. Penso alle scarpette rosse.

Quest’anno abbiamo lanciato l’hashtag #baciachiami per la valorizzazione in chiave social della battaglia contro ogni forma di violenza domestica. Funziona. Abbiamo ricevuto più di 1000 selfie in poche ore. Il pubblico diventa un testimone e un protagonista attivo. Si sente coinvolto.

Da dove partirete, nella puntata di questa sera?

Dal caso Yara Gambirasio e dalle accuse mosse a Bossetti. Per la procura è una partita chiusa ma c’è ancora un processo da portare avanti. Seguiremo l’udienza con i genitori di Yara. Porteremo documenti esclusivi, mai visti prima in diretta tv. Torneremo sul caso Elena Ceste. E sulla coppia dell’acido Levato-Boetcher.

Quarto Grado si inserisce nella mission editoriale della nuova Rete 4 di Sebastiano Lombardi, fortemente caratterizzata e capace di ritagliarsi un target di pubblico preciso e fidelizzato. Alcuni dicono populista.

VideoNews da una parte e Sebastiano Lombardi dall’altra hanno consolidato un polmone di notizie e di contenitori d’informazione molto importanti nello spettro Mediaset. Lombardi ha compiuto scelte editoriali precise che condivido in pieno. I risultati sono ottimi. E sono la dimostrazione che l’informazione in tv non è in crisi. Dipende da come la si fa. Le etichette lasciano il tempo che trovano. L’informazione vera deve basarsi sulla ricostruzione attenta e fattuale e deve tener fuori la fiction. Non succede dappertutto.

In alcune realtà d’informazione c’è invece spazio per la fiction?

Mi ha sorpreso la scelta di Federica Sciarelli di pubblicizzare all’interno del suo programma, Chi l’ha visto? una fiction Rai che, guarda caso, sarà nostra diretta concorrente al venerdì.

Una scelta inopportuna?

Questo lo dice lei. Io mi limito a considerarla singolare. E penso, divertito, a una vecchia abitudine del presidente Cossiga…

Che c’entra Cossiga?

Cossiga si divertiva un mondo a osservare gli aspetti curiosi della politica e dei suoi protagonisti. E si regolava di conseguenza, quando doveva fare dei regali in occasione di alcune ricorrenze. Se riteneva che qualche politico non avesse detto la verità, gli faceva recapitare un Pinocchio di legno. Una volta ricordo che a D’Alema regalò un cavallo a dondolo…

Che cosa regalerebbe Nuzzi alla Sciarelli?

Non saprei. Forse un po’ di fantasia in più.

I meccanismi per battagliare con la concorrenza possono essere multiformi. Segno che l’approfondimento giornalistico è un formato vivo.

Se si parla di talk show, questo sarà un autunno caldo e durissimo. Peserà sull’informazione l’assenza di Santoro, la sua capacità di gestire il palco in modo inimitabile. Lui e Gad Lerner, a cui devo il mio debutto televisivo, sono gli ultimi grandi maestri di una generazione.

Dopo di loro, che accadrà?

Per fortuna, esiste una coraggiosa pattuglia di giornalisti quarantenni non raccomandati, non figli di partiti, che presidiano la dimensione dei talk con ottime capacità. Formigli, Porro.

E Nuzzi?

Anch’io faccio parte di quella generazione.

E qui scatta una curiosità marzulliana: tra le sue collaborazioni giornalistiche degli esordi, c’è anche un riferimento a Topolino, personaggio che con le indagini e le inchieste ha molto a che fare. E’ da lì, che ha sviluppato la passione per la cronaca giudiziaria?

La passione è nata perché da giovane mi incuriosivano le azioni di polizia e carabinieri. Stimolavano in me il desiderio di saperne di più sul loro mestiere. Al liceo mi capitava di bigiare le lezioni, scegliendo due destinazioni alternative: o andavo alla Sormani di Milano a vedere Amici Miei, oppure, più spesso, finivo in tribunale per assistere ai processi più significativi della cronaca del tempo, come quello a Francesca Mambro del Nar. Poi, iniziando a lavorare, ho avuto la fortuna, da giovane cronista di una radio privata, di conoscere Enzo Tortora e di imparare da lui e dalla sua grande lezione morale.

Gabriele Gambini
(Nella foto Gianluigi Nuzzi)