Pubblicato il 19/07/2015, 12:00 | Scritto da La Redazione

Irene Ghergo: “In tivù nessuno ha più il coraggio d’inventare nulla”

Irene Ghergo: “In tivù nessuno ha più il coraggio d’inventare nulla”
L’autrice tv parla in una lunga intervista su Il Fatto Quotidiano: "Ho lavorato con Costanzo, Boncompagni, Freccero. Mi sento un po' iena".

 

Rassegna Stampa: Il Fatto Quotidiano, pagina 20 e 21, di Malcom Pagani

IRENE GHERGO

“In tivù nessuno ha più il coraggio d’inventare nulla”

L’INTERVISTA

IRENE GHERGO “Ho lavorato con Costanzo, Boncompagni, Freccero. Mi sento un po’ iena”

“Mi piace la tv brutale. Ma tanto oggi nessuno se la sente di rischiare”

Terrene concretezze in Via dell’Anima: “Berlusconi ci convocò di mattina. Sul tavolo ballavano l’addio alla Rai, un nuovo ricchissimo contratto con la concorrenza e più di 300 puntate l’anno. Io e Boncompagni ci presentammo in orario. Il padrone di casa, puntualmente, raccontò barzellette. Gianni è sordo, capiva a malapena la metà delle battute e rimaneva serissimo. Più Berlusconi si impegnava, più reprimeva gli sbadigli. Cominciai a prenderlo a calci sotto il tavolo. A incontro finito, al solo scopo di proseguire la gag, Bonco simulò sconcerto: ‘Hai esagerato, mi hai fatto male. Non è che non capissi, ma quello non è il mio umorismo’”. L’unica maniera di salvarsi, sostiene Irene Ghergo “è continuare a ridere”. Giura di non aver mai smesso: “Perché il divertimento è un potentissimo antidepressivo. Quando avverto noia, soprattutto con un uomo, scappo. Ad angosce e pene varie provvede già il nostro inconscio, ma la leggerezza non è uno scherzo. Bisogna applicarsi. Avere pazienza. Coltivarla quotidianamente”. Per farlo senza distrazioni, dice: “Vivo da sola con grande godimento”. Da molti anni, collaborando o inventando dal nulla programmi originali: “Oggi sperimentare non è più possibile, si compra un format, lo si infiocchetta e si prega il dio dell’Auditel nella straziante attesa dei dati delle 10 del mattino” Ghergo lavora per la televisione. “Continuerò. Di proiettarmi

in un domani indefinito non ho nessuna voglia. Quando mi chiedono dove mi vedo nel 2025 provo un sincero orrore”.

La turba lo scorrere del tempo?

Non me ne frega niente. Non ci penso. I figli invecchiano, ma i miei amici sono spesso più giovani di me. Istintivamente, per preservarmi credo, continuo a fare una vita da ragazza.

Per preservarsi dal logorio della tv?

La televisione è un po’ brutale. Devi essere forte e lasciare in un angolo i sentimenti. A

causa del mio mestiere, ho rotto molte amicizie. Rapporti profondi. Importanti. Anche se non completamente, la tv mi ha modificata. Dicono che sul lavoro lei sia una belva. Mi trasformo. Ho poca pazienza, spesso non mi piaccio e a volte addirittura non mi riconosco. Quando facevo Non è la Rai ero una kapò. Rispetto a qualche anno fa le cose vanno meglio, ma a chi ho incontrato allora sarò stata antipatica.

In un libro Luca Telese descrive il lavoro in comune con lei a tinte fosche.

Telese dovrebbe solo ringraziarmi. Lo arruolai io, quando il ragazzo tradiva una smania

di video pazzesca. Ne ho cooptati anche molti altri. Da Barbara Palombelli, oggi maestra del mezzo, ad Alfonso Signorini e Costantino della Gherardesca. Ho sulla coscienza più di un nome. Tornando al carattere, è vero.

È vero cosa?

Un mio lato ienesco esiste. Non belva dunque, ma iena?

Sono permalosa e mi offendo con facilità, ma essere rimasta senza mio padre a 12 anni ha avuto il suo peso. Di essere orfana mi sono un po’ vergognata. Mi ha colto un generalizzato moto di rivalsa. Mi sono scoperta aggressiva.

Suo padre Arturo, sommo fotografo, aveva messo sotto l’obbiettivo il Papa, De Gasperi e un’infinità di attori.

Era un padre innamorato e io, semplicemente, ero innamorata di lui. La sua morte dopo una lunga malattia mi ha segnata nel profondo. E ancor di più mi ha segnata capire che stava accadendo qualcosa di atroce che per proteggermi non mi veniva spiegato.

Lei andò in analisi molto presto.

Mi ero sposata giovanissima con un signore ricco e generoso. Avevo figli, case, impegni e qualche nevrosi di troppo. Mia madre, una donna intelligente e moderna, mi consigliò

l’analisi in un’epoca in cui di questa scienza importata, strana e inquietante, si parlava male a prescindere. A me è servita. Il mio medico, un bravo medico, mi spiegò che per placare il tormento avrei dovuto lavorare. Dubitavo. Mi credevo inabile. La prima vera occasione me la offrì Enrico Lucherini.

Come vi incontraste?

Non me lo ricordo ed essendo curiosa recentemente gliel’ho chiesto. Non se lo ricorda neanche lui. Una cosa però non l’ho dimenticata. A meno di una settimana dall’inizio del lavoro, firmammo insieme, con pari dignità, il lancio dei/cacciatore di Cimino.

Generoso suo marito, generoso Lucherini.

Con me scattano dei sodalizi. Per qualcuno evidentemente sono importante. Sono stata sempre scelta da persone che all’eccentricità univano creatività e gusto per il gioco.

Lei è stata anche molto corteggiata.

Ero poco meno che adolescente e fuori dal Visconti c’era sempre un ragazzo ad aspettarmi. Devoto e –pensavo innamoratissimo. Era spiritoso, ma era gay. Mi adeguai. Andavamo in vacanza insieme. Mio marito si lamentava: “Il matrimonio l’hai celebrato con lui”. Sono stata sempre gaiarola.

Gaiarola?

Piena di amici gay. Ho infrocito la tv italiana e ne vado fiera. Prima parlavamo di leggerezza. I froci sanno quanto sia preziosa.

Paolo Villaggio, Carmelo Bene, Luchino Visconti. Sceglieva i suoi amici in base alla cattiveria?

Visconti era cattivissimo, di una perfidia meravigliosa. Con lui, Moravia, Villaggio e gli altri, in un salotto non finalizzato all’attitudine salottiera ma solo al nostro crudele divertimento, tiravamo a far mattina. Qualche deliberato massacro nei confronti dell’arrampicatrice sociale di turno, non nego, fu compiuto. Certi compagni d’avventura non li tenevo. C’erano occasioni in cui Carmelo Bene aveva la stessa attitudine dello squalo con la preda: “Se mi metti in un contesto simile mi vedo costretto a scalare almeno 4 marce”. “Scalale” gli dicevo. E lui, spietato, accelerava investendo la vittima. Bene era amico di mia sorella Cristina. Facevamo le vacanze insieme. Maschilista, misogino, simpaticissimo e non sempre urbano. Una volta a Cortina ero all’ottavo mese di gravidanza si mise in testa che mi si voleva fare a tutti a costi.

Era in preda all’alcool?

Era in preda a tutto. Gridava tentando di buttar giù la porta: “Ti trovo molto erotica, non resisto”. Mi barricai. Desistette.

Altri esempi di “crudele divertimento”?

Inventavamo un titolo fasullo. Chiedevamo con aria distratta se qualcuno avesse letto l’ultimo libro di Bevilacqua e quando con voce garrula la bella di turno abboccava all’amo:

“Ioooo, l’ho divoratoooo”, tiravamo con forza: “E la parte sessuale come l’hai trovata?”. “Su-bli-me”. A quel punto, la poveretta era spacciata. Masolino D’Amico, Paolo Valmarana, Ruggero Guarini. Lucherini. Eravamo una bella banda.

Lucherini con la provocazione aveva riscritto il decalogo del proprio mestiere.

Lucherini era il profeta dello scherzo telefonico. Spulciava gli elenchi, trovava gruppi umani che abitavano nello stesso condominio e seminava zizzania. Li chiamava in piena notte: “Sa che quella del terzo piano dice in giro che lei è un gran cornuto?”.

Quando lei abbandona una cena – riporta Michele Masneri – ha l’abitudine di lasciare nell’aria una frase: “Devo andare, domani lavoro e sono costretta a svegliarmi a mezzogiorno”.

L’ho detta, certo. Ma è un plagio. La frase è di Boncompagni. Mi sono sicuramente svegliata a mezzogiorno tante volte, ma ho lavorato duro. La tv è faticosa. Per anni, d’inverno e d’estate, non ho mai goduto di un giorno di vacanza. La notte poi ha qualcosa di più calmo e rivela i propri segreti a chi è curioso di scoprirli. Della setta dei telefonisti notturni io e Chiambretti siamo soci onorari. Parliamo solo dopo mezzanotte.

Della collaborazione con Costanzo che memorie ha?

La sua esistenza coincide con la tv. È bulimico. Non esce dallo studio. Lui e Maria dell’altrove della vita sanno poco. Ma sono molto bravi. Lei è veloce, concentrata, appassionata. Maurizio è straordinariamente ironico. Osservarlo è stata un’università. Ha presente il panico del conduttore quando manca un ospite all’ultimo istante? Ho visto gente perdere la testa. Lui era serafico: “Richard Gere non può veni più? Tojete la sedia”.

Costanzo farà una buona Domenica In?

Anche lui dovrà adeguarsi a una realtà peggiorata. Un tempo c’era il privilegio di un potere contrattuale. Scegliere una squadra con cui collaborare è un lusso che oggi si può permettere soltanto Maria de Filippi.

Carlo Freccero dice che De Filippi è il suo Censis.

Le interpretazioni di Carlo bisogna lasciarle in un angolo. Freccero è fantastico e ha le sue visioni, ma appartengono soltanto a lui. Se fossi il Dg della Rai, comunque, gli darei ancora una rete da dirigere. Freccero sa intuire in anticipo e conosce l’invenzione.

L’invenzione in tv è tutto?

A volte l’invenzione è fallimentare e allora, in periodi di magra, si va sul sicuro o su quello che si ritiene tale. Oggi nessuno rischia e nessuno inventa. Per i costi, il calo delle pubblicità, per quello che vuole lei. Il risultato è che di idee che possano sopravvivere o interessare, programmazione sul satellite inclusa, la tv italiana non ne produce più.

Non è la Rai, Macao, Markette, Domenica In. Lei ha prestato idee ai contenitori più diversi.

Di Domenica In feci qualche lontana edizione piena di cose paradossali e cartomanti di tv private che invece di consultare tarocchi, navigavano tra il mistico e l’assurdo: “Hai magnato troppo abbacchio, core? Te senti appesantito?”. Io e Bonco avevamo messo Roberto D’Agostino a intervistare vecchissimi maestri musicali della Rai che fingevano di essere i figli segreti di Monica Vitti. Monica si incazzò. Piangendo, mi fece una telefonata feroce. Era uno scherzo innocente, ma se dici una cosa in tv, quella diventa immediatamente vera.

Lei e Boncompagni rendeste plausibile la prima Ambra.

Ambra era intelligente. Si presentò parlando un romanesco improponibile e in due settimane di dizione, passò a un italiano perfetto. Capiva dove si trovava e dell’auricolare, uno strumento difficilissimo da dominare, faceva un uso censorio. In Non è la Rai Boncompagni le dettava in cuffia cose irripetibili e lei sceglieva cosa dire e cosa cassare.

Che tv ama Irene Ghergo?

Più è trash e più mi piace. Lei mi cita Radio Belva, ma quella non è tv trash. È tv sbagliata. Quello di Cruciani e Parenzo avrebbe dovuto essere un numero zero, da tenere lì e migliorare. Invece andò in onda e la situazione sfuggì di mano ai conduttori. Sembrava un’educanda persino Villaggio che invece è un moltiplicatore di provocazioni e un deflagratore nato. C’era uno Sgarbi imbizzarrito. E sì che Vittorio l’ho conosciuto da vicino. Il suo “capra, capra, capra” lo tenni a battesimo in un mio programma.

Lei ha firmato per lui Ci tocca anche Vittorio Sgarbi chiuso in una settimana.

Esperienza indimenticabile. Sgarbi aveva messo in piedi una redazione folle. C’era gente

che invece di comunicare si tirava sedie e bottiglie. Di quel disastro rivendico un merito: ho convinto Vittorio a prestarsi alla televendita di un tè alla pesca. Ci vuole talento, ammettiamolo.

Sgarbi è matto o è soltanto prigioniero di se stesso?

Entrambe le cose. Sgarbi è collerico. Con la collera ti stende.

Qualcosa o qualcuno l’ha mai stesa in televisione?

Quando Biagio Agnes mi fece fuori senza motivo soffrii molto. Cercai invano di parlargli in ogni modo. Fu un episodio di misteriosa brutalità. Ma la Rai è un rompicapo inestricabile che risolvere qui e adesso sarebbe impossibile. Prima di emigrare a Mediaset, ebbi l’inatteso aiuto di Pippo Baudo. Mi ripescò. Naturalmente gli sono ancora molto grata.

A chi altri è grata?

A chi mi ha voluto bene. A uno dei miei maestri, Umberto Silva. Ai miei fratelli acquisiti. Ai miei simili. E a chi non mi ha detto di no nell’emergenza. È lì che si vede veramente chi è amico e chi solo conoscente. Come le dicevo, per anni una delle mia condanne è stata reperire gli ospiti. Oggi non c’è palinsesto che non si poggi sui nomi e ieri andava nello stesso modo. All’epoca di Pronto Raffaella, avevo un’invidiatissima agenda che mi venne rubata da una macchina. C’erano centinaia di numeri. Fu un lutto. E un danno. Perché proprio quel giorno avrei dovuto confermare gli ospiti in bilico. Mi vidi persa e mi precipitai a casa di Moravia: “Pronto Raffaella chi? Dove dobbiamo andare?”. “Non ti preoccupare, vedrai che ti diverti”. Attraversammo la città e una volta negli studi, gli diedi una spinta e lo buttai dentro.

Con Moravia conobbe un’altra cattiva, Laura Betti.

Ogni volta che Alberto mi diceva che avevo gli occhi belli, Laura protestava: “Mica ce l’ha solo lei gli occhietti blu. Ce l’ha anche Dacia”. Nessuno di noi dice mai veramente quel che pensa, ma cattiverie così manifeste non sono mai vere. La cattiveria che fa male è quella subdola propagata dal mediocre il mediocre può far danni perché è incattivito dal talento altrui. Ogni guizzo dell’altro rivela la sua mediocrità.

Dopo 40 anni di programmi che idea si è fatta della tv?

Vengo dalla scuola di Boncompagni. Lui dice che la tv va fatta e subito dimenticata. Il suo motto è “Presto e male” o anche “è soltanto robaccia”. Io sono meno assolutista, anche perché non ho mai visto nessuno più felice di Gianni nel distruggere il giocattolo. Partecipai al disastro di Crociera. Il programma non c’ era. Ma c’erano 2.000 comparse, la scenografia gigantista, la sensazione acre dell’occasione persa prima ancora di iniziare. Ero molto angosciata e vedevo Gianni e Freccero camminare su e giù per la nave di scena, del tutto indifferenti alle sorti della loro creatura. Uno diceva “Sono attratto dal baratro” e l’altro ebbro controcantava: “Che gioia il rischio, che bello il baratro”. E baratro fu. Con i risultati in mano, telefonai affranta a Gianni: “Hai visto che disastro?”. E lui, senza scomporsi: “Di che ti preoccupi? Un grande flop è ancora meglio di un grande successo”.