Pubblicato il 26/04/2015, 13:02 | Scritto da La Redazione

ANDREA CAMERINI, PLURIPREMIATO A HOLLYWOOD: “QUANDO LE WEBSERIES HANNO LO SPIRITO DEL ‘VERNACOLIERE’”

ANDREA CAMERINI, PLURIPREMIATO A HOLLYWOOD: “QUANDO LE WEBSERIES HANNO LO SPIRITO DEL ‘VERNACOLIERE’”
TVZOOM ha incontato lo storico disegnatore della rivista satirica livornese, che è anche autore televisivo e, da molti anni, attivo sul fronte delle webseries. "Aglien", parodia di "Alien", lo ha portato a ottenere 5 premi speciali al Los Angeles Web Series Festival, gli Oscar della Rete. 

Ci sono due categorie di pazzi: quelli che credono di essere Napoleone e quelli che vogliono riformare le Ferrovie dello Stato. Lo diceva Giulio Andreotti, trascurando però la categoria più importante. Quella dei disegnatori di talento. Gente nata con la camicia. Di forza. Come Andrea Camerini, che, da “livornese doc” intriso di ribalderia progressista forse non apprezzerà la citazione di un notabile democristiano, ma che quella camicia la sa indossare con disinvoltura tutte le volte che disegna le avventure del Troio, leggendario erotomane protagonista delle strisce del Vernacoliere. Se ne sono accorti a Mediaset (Camerini ha disegnato e scritto testi per Striscia la Notizia e Mai dire Martedì), a La7 (ha collaborato con il programma di Crozza), a radio R101 e pure in California. Sì, perché il nostro, con la sua GrezzoFilm, dal 2000 confeziona parodie di film hollywoodiani sotto forma di web series chiamando a raccolta, di volta in volta, personaggi come Alvaro Vitali, Cristiano Militello, Carlo Monni, Leone di Lernia, Dario Ballantini. Nel 2013 ha ricevuto 5 premi al Los Angeles Web Series Festival con Aglien, parodia di Alien, innescando una reazione a catena che potrebbe condurlo a diventare profeta anche in patria.

Qualcosa non mi quadra. Come si passa dall’ essere disegnatori e autori a diventare registi di webseries?

«Mettiamola così: già di per sé, il mestiere di disegnatore e di autore è qualcosa di discutibile (ride, ndr). Però ti impone di rientrare in binari prestabiliti. Le parodie con la GrezzoFilm, iniziate ben 15 anni fa, quando ancora non c’erano i social, non c’era Youtube e i corti dovevano essere scaricati da un sito, nascono come gioco per sfondare quei binari, dando libero sfogo alla follia e a mie repressioni personali, tributando omaggio ai miei film preferiti».

Partiamo dalla fine. Parliamo di Aglien. Ho letto che c’è lo zampino di suo padre, dietro all’idea iniziale.

«Presupposto iniziale: Alien è un film che ha segnato la mia infanzia. Andai a vederlo nel 1977 con mio padre, che era fan di Guerre Stellari ed era convinto che Alien ne fosse il seguito. Prese la macchina e, da Livorno, mi portò in un cinema di Firenze molto grande, per godere al meglio degli effetti speciali. Sulla strada mi catechizzò: “Preparati, Andrea, sarà un film incredibile, con tanti mostriciattoli divertenti e buoni, la storia ti appassionerà”. Altro che mostriciattoli divertenti da Guerre Stellari! Ci trovammo di fronte a uno dei film più terrificanti e di impatto mai concepiti da Hollywood. Mi rimase impressa l’astronave. Ero sicuro che, in un modo o nell’altro, prima o poi l’avrei riprodotta davvero. Così è stato. Ho realizzato personalmente la scenografia di Aglien, che è stata allestita in una cantina di 100 mq, recuperando oggetti nelle discariche e vecchi mobili dell’Ikea».

Quanto tempo ha impiegato a realizzare il tutto?

«Con il mio gruppo di lavoro, tra ideazione e realizzazione, ci abbiamo messo circa un anno e mezzo, lavorando nei ritagli di tempo, come una sorta di hobby. Una sera, mentre stavamo girando, i vicini, messi in allarme dai rumori e dagli attori truccati e mascherati, hanno addirittura chiamato i carabinieri. Quando la pattuglia è giunta sul posto, ci ha squadrati, dicendo: “Ah, siete voi”. Come vedi, ci si sa far riconoscere».

Carabinieri contro Alien. Sarebbe stata una lotta impari. Dopo un anno e mezzo di lavoro, la serie è finita su Youtube in 12 brevi episodi che non lesinano sull’umorismo trash.

«Come tutte le parodie realizzate, da Draculo a Lezzzioni di Piano, da Shining a Breivart, ha goduto di una buona condivisione sui social italiani da parte dei fan, ma niente di più. Fino a quando non ho ricevuto l’invito per partecipare al Los Angeles Web Series Festival. Avevano selezionato Aglien colpiti anche dalla storia che c’era dietro la sua ideazione. Sulle prime ho pensato a uno scherzo. Invece mi sono ritrovato catapultato in un evento con filmaker provenienti da tutto il mondo. Allestito a due passi da Hollywood».

Nemo propheta in patria. Ma in America, sì.

«A Los Angeles ho parlato con talent scout e produttori della HBO che avevano visto tutte le puntate di Aglien. Erano in cerca di nuove idee e conoscevano persino alcune battute recitate in toscano. Il particolare mi ha colpito: da noi, in Italia, non sempre si presta attenzione agli short movies sperimentali con il dovuto occhio critico. In America sì. Erano stati selezionati corti da esordienti provenienti da tutto il mondo. Aglien ha ottenuto una menzione speciale e 5 premi che mi sono valsi il biglietto da visita per la Roma Web Fest. Senza quell’evento, difficilmente in Italia sarebbe successo qualcosa. Come GrezzoFilm siamo stati chiamati a Los Angeles anche quest’anno».

Qual è la sua ultima webserie realizzata?

«Visto che siamo in tema di Guerre Stellari, ho pensato alla storia di un cavaliere Jedi che somiglia molto a un cavaliere ben noto alla politica italiana. Accompagnato dal fido Dart Fener, divenuto per l’occasione Dart Fede. Cercatela sulla mia pagina Facebook».

Ora che le acque si muovono, possiamo venire allo scoperto: che obiettivi si prefigge coi suoi lavori sul web?

«Quando ho iniziato, nel 2000, la finalità era sfogarmi divertendomi e cercando consensi. Poi c’è stato un lungo periodo di pausa, coinciso con la mia esperienza a Radio 101 e col mio trasferimento a Milano. Terminata la collaborazione con la radio, come GrezzoFilm abbiamo deciso di ricominciare. Avvalendoci della tecnologia di oggi, che consente una qualità di lavoro molto elevata. Abbiamo constatato che una nicchia di appassionati non aveva smesso di seguirci. Oggi realizziamo serate a tema, a Livorno, che riempiono sale da 1000, anche 1500 posti. Quella che era una sorta di terapia psicanalitica di gruppo potrebbe diventare qualcosa di più importante. Ma tutto nasce per una ragione. Io sono un collezionista di momenti».

Un collezionista di momenti?

 «Sono appassionato di cinema. Adoro, per esempio, il famigerato “cinema espressionista tedesco” tanto odiato da Fantozzi. Sono un onnivoro di film e, giuro, pagherei per avere la macchina del tempo e essere presente sui set di tutte le mie scene preferite viste al cinema, collezionandone momenti e emozioni. Realizzare delle parodie, estremizzandone i contenuti, è un modo per poter fingere di fare ciò che nella realtà mi è inaccessibile».

Di cosa trattano le serate a tema realizzate dalle sue parti?

«Dipende. Da una rilettura dei capolavori del cinema alle parodie degli sketch pubblicitari. Un mio pallino è la contaminazione di generi: montare frammenti di film famosi all’interno delle parodie stesse, realizzate con la medesima scenografia e gli stessi costumi. In questo modo posso ricreare da casa mia l’aura del kolossal, con Brad Pitt che dialoga ipoteticamente con un mio attore».

La cifra dei suoi lavori deve molto all’umorismo trash, debitore a sua volta di una certa toscanità.

«Il dialetto toscano, così come quello romano o napoletano, può essere un valore aggiunto, a patto che non se ne abusi, altrimenti rischia di essere un’arma a doppio taglio. Il guizzo linguistico territoriale funziona se è la ciliegina sulla torta, se permette di tirar fuori la battuta spiazzante all’interno di un contesto più equilibrato. Se non viene dosato, stanca».

I tormentoni linguistici però sono il segreto del successo delle parodie. Penso, riferendomi al web, ai The Jackal. O agli esordi di Maccio Capatonda.

«Mi sono ritrovato a fare l’autore a Mai Dire Martedì proprio quando c’era Capatonda. Di lui apprezzo la capacità di inventare di volta in volta mondi e linguaggi. Sapendoli poi declinare su varie piattaforme, dal web al cinema. Dei The Jackal ho apprezzato molto Lost in Google. Gli altri loro lavori sono validi ma, in un certo senso, figli di una stretta contingenza con questo tempo e queste tecnologie».

A oggi il web è il miglior biglietto da visita per un filmaker?

«Oggi conta il prodotto finito e il web consente di presentarlo al meglio. Non è detto però che ciò che funziona in rete sia ripetibile su altre piattaforme, come la tv. Senza contare che le velocità di condivisione, con picchi e conseguenti discese, sono incredibili. Per evitare il collasso di proposte, occorre dosarsi con equilibrio».

Quali sono i suoi progetti in cantiere per il futuro, da questo punto di vista?

«Fino a oggi, lo sviluppo della parodie della GrezzoFilm non mi ha portato a monetizzare. Per fare quello, occorrono numeri su Youtube incredibili. Però ha consentito di far nascere sinergie lavorative interessanti. Sono finito su Blob, su Sky, ho sviluppato contatti. Ora mi sento pronto per un passo ulteriore. A novembre potrebbe vedere alla luce un progetto a metà tra il web e qualcosa di più. Ma è presto per parlarne».

Sempre con la stessa cifra satirica che ritroviamo anche nel Vernacoliere?

«Sempre. Far ridere la gente, in fondo, è un modo per sentirsi meno soli. E alimentare lo spirito pionieristico degli esordi con qualche ambizione è un modo per non accontentarsi. Ecco, ho trovato un motto alla Steve Jobs: “arrangiarsi ma non accontentarsi”».

 

Gabriele Gambini

(Nella foto Andrea Camerini)