Pubblicato il 20/03/2015, 16:05 | Scritto da La Redazione

ROBERTO FARNESI: “LE ‘TRE ROSE DI EVA’ CONSERVA LO SPIRITO DELLE GRANDI SERIE DI UNA VOLTA. ‘CENTOVETRINE’? LA PREFERISCO A TANTE SOAP SPAGNOLE”

ROBERTO FARNESI: “LE ‘TRE ROSE DI EVA’ CONSERVA LO SPIRITO DELLE GRANDI SERIE DI UNA VOLTA. ‘CENTOVETRINE’? LA PREFERISCO A TANTE SOAP SPAGNOLE”
L’attore, che ritorna nel ruolo di protagonista nella terza stagione della serie in onda venerdì 20 marzo in prima serata su Canale 5, si è raccontato a TVZOOM. Dal suo personaggio nella fiction ai progetti per il futuro, non scordando un commento sulla chiusura di una delle soap più longeve d’Italia.meta name=”news_keywords” content=”roberto farnesi, le […]

L’attore, che ritorna nel ruolo di protagonista nella terza stagione della serie in onda venerdì 20 marzo in prima serata su Canale 5, si è raccontato a TVZOOM. Dal suo personaggio nella fiction ai progetti per il futuro, non scordando un commento sulla chiusura di una delle soap più longeve d’Italia.meta name=”news_keywords” content=”roberto farnesi, le tre rose di eva, alessandro monforte, anna safroncik

Il melò, l’elemento thriller, gli schizzi di un soprannaturale appena abbozzato, sufficienti a invischiare lo spettatore nella ragnatela dell’intreccio ben costruito. Niente che esuli dai canoni consolidati di una fiction generalista, beninteso. Eccezion fatta per una vispa capacità affabulatoria di pungolarli, quei canoni, garantendo sorprese. Le Tre Rose di Eva (leggi qui tutto quello che c’è da sapere sulle novità di quest’anno), riparte da venerdì 20 marzo, con la terza stagione. Roberto Farnesi veste ancora i panni di Alessandro Monforte, eroe maschile che torna a Villalba in un salto temporale di tre anni rispetto alla conclusione della precedente serie. Il suo scopo è riconquistare Aurora (Anna Safroncik)e raddrizzare un passato familiare torbido. Tra il dire e il fare, però, c’è di mezzo un mare nero come la pece.

Nella precedente stagione sono venute a galla le malefatte della madre del suo personaggio, Alessandro Monforte.

«La famiglia Monforte è un po’ una gabbia di matti. Soffermandomi però sui fatti di cronaca pubblicati dai quotidiani in questo periodo, mi sorprende come gli elementi di fantasia thriller raccontati nella fiction non si discostino molto da ciò che accade nella realtà. Una considerazione forse scontata, ma che non smette di accendere in me punti interrogativi».

La realtà supera la fantasia?

«Drammaticamente».

Di fantasia, gli sceneggiatori ne hanno spesa molta, per confezionare i colpi di scena di questa nuova stagione.

«C’è un salto temporale di tre anni rispetto alle vicende raccontate nella seconda stagione. Alessandro, il mio personaggio, riparte da zero: torna a Villalba deciso a riconquistare il cuore di Aurora. Vuole anche ricostruire la sua azienda. Insomma, si rifà una vita rimettendosi in gioco. La storia ha un “lieto inizio”, perché lui, Aurora, la riconquista eccome. Li vedremo finalmente assieme, decisi a lottare per delle cause comuni. Ma da lì, purtroppo, inizierà la discesa verso nuovi incubi, a cui il pubblico si appassionerà».

Ancora una volta, la contaminazione di generi è la chiave di volta della fiction.

«Credo che il successo della serie dipenda soprattutto da quello: puoi trovarci l’intreccio sentimentale, l’elemento giallo/thriller, quest’anno anche tanta azione, più del passato. È un prodotto destinato a una generalista, capace però di rinnovare meccanismi già consolidati. Non lo dico per promuoverla, ma credo che questa terza stagione sia più scoppiettante della seconda. Che, d’altra parte, mi è piaciuta di più della prima. Si va in crescendo».

I tempi di lavorazione sono stati lunghi?

«Abbiamo impiegato 5 mesi, a girarla. 14 puntate in tutto. Con ritmi serratissimi. Anche quest’anno ci siamo avvalsi di due regie in contemporanea, per ottimizzare i tempi e il budget. L’utilizzo di una telecamera/drone ha consentito panoramiche di grande respiro sulla campagna toscana. La scrittura è di ottimo livello, le novità virano verso colpi di scena tutt’altro che scontati. Il pubblico ha dovuto attendere un po’ di più, ma meglio attendere per ottenere un prodotto di qualità, piuttosto che per qualcosa di raffazzonato».

I ritmi serrati sono figli dei minori fondi a disposizione per le fiction generaliste italiane nel loro complesso.

«Le tre rose di Eva può essere annoverato tra i prodotti “low budget”, ma tra quelli riusciti meglio, con grande dignità produttiva. Certo, avendo il denaro e il tempo a disposizione degli americani, si possono realizzare cose inattaccabili. Proprio per questo io promuovo la fiction italiana: confeziona serie di buona fattura rapportate ai mezzi impiegati. Per noi attori è una sfida: si lavora tutto il giorno, poi alla sera si studia la parte per il giorno successivo. Occorrono concentrazione e professionalità».

La citazione delle serie americane impone la più classica delle riflessioni: loro hanno in mano ormai l’appalto del racconto della contemporaneità.

«Vero. Sia per la loro qualità, sia per la capacità penetrativa nelle case di tutti, con cadenza settimanale e fidelizzazione assicurata. I grandi attori hollywoodiani ormai fanno a gara per partecipare a serie tv che in passato snobbavano. Detto questo, io resto fedele, da spettatore televisivo, ai film e ai documentari. Mi appassionano di più».

Niente serie da spettatore per lei, allora?

«Nel mio immaginario, restano nel cuore i grandi prodotti italiani del passato. Sandokan, il Pinocchio di Comencini, con Nino Manfredi e il pisano Andrea Balestri. E poi, Il Segno del Comando, con Ugo Pagliai. Quella serie mi faceva paura, mi ca…o addosso già dalla sigla! Anzi, sai che ti dico? Le tre rose di Eva conserva un po’ del suo spirito».

Lo spirito capace di impaurire lo spettatore, toccando corde psicologiche.

«Esatto. Toccare le corde emozionali. Durante questa stagione, per esempio, non mancherà l’elemento soprannaturale. Gli spettatori, sulle prime, penseranno alla classica cazzata per giocare sulle paure di chi guarda. Poi, però, si scoprirà essere solo una suggestione, legata a un problema, per così dire, finanziario, che coinvolge i protagonisti. Qualcosa di molto terreno e materiale, ben architettato».

E quali corde tocca, il personaggio di Alessandro Monforte?

«Da attore, mi attira il suo lato oscuro. Il fatto che all’inizio sia uno stronzo pazzesco e che poi subisca un’evoluzione di personalità. Mi piace anche l’elemento mistery, con cui si trova a fare i conti».

Un altro personaggio che ha contribuito a forgiare la sua carriera è legato alla soap Centovetrine, che si appresta a chiudere.

«Dal 2001 al 2003, Centovetrine è stata una palestra eccezionale per me. San Giorgio Canavese, dove si girava, era un mondo incredibile. Toccammo il 35 per cento di share, il pubblico ci adorava. Oggi, con la chiusura della soap, viene a mancare il lavoro per tante persone di grande valore, dagli attori alle maestranze. Un evento che mi riempie di tristezza. Io mi chiedo: perché spingere così tanto i prodotti spagnoli, a mio parere non così qualitativi, anziché valorizzare un Made in Italy che ha ancora qualcosa da dire?».

Intende dire che Centovetrine non è stata sufficientemente valorizzata?

«Non mi permetto di dirlo perché il management non è il mio campo. Però lo spostamento di rete e di collocazione oraria di certo non ha giovato. Non conosco le dinamiche di promozione di un prodotto, ma forse un tentativo di rilancio, con qualche invenzione nuova, poteva essere fatto. Mi risulta ci sia ancora uno zoccolo duro di fan affezionati».

Dal punto di vista della carriera di Roberto Farnesi, che cosa bolle, nella pentola dell’immediato futuro?

«Sto vagliando alcuni progetti con Mediaset. Ne parleremo. Mi piacerebbe mettermi alla prova con la commedia brillante. Poi arriverà anche un film per le sale. Ma è presto per parlarne».

Gabriele Gambini

(Nella foto Roberto Farnesi)