Pubblicato il 25/01/2015, 15:01 | Scritto da La Redazione

MARIANO SABATINI: “SPERO CHE LA TV DIVENTI MENO MORBOSA SUI FATTI DI CRONACA, PROMUOVO CARLO CONTI: È IL NUOVO BAUDO”

 

Il critico televisivo analizza con TVZOOM la stagione televisiva che verrà partendo da quella appena trascorsa: dai talent show ai talk, dall’imminente Sanremo alla galassia delle pay tv. Non perdetevi questa intervista esclusiva.meta name=”news_keywords” content=”mariano sabatini, carlo conti, sanremo, talk show, x factor, raffaella carrà

Autore, giornalista e critico, Mariano Sabatini ha iniziato a frequentare attivamente la televisione più di vent’anni fa alla corte di Luciano Rispoli, di cui si considera “umile allievo”, scrivendo poi programmi per Tmc, per la Rai e altri network nazionali. Oggi si è collocato dall’altra parte della barricata, quella dei commentatori che conoscono bene il mezzo tv e sanno sviscerarlo attraverso incursioni sulla carta stampata, sul web (ha una rubrica sul portale Tiscali Notizie) e negli studi (come a In Famiglia e a Storie vere di Eleonora Daniele su Rai1) nelle vesti di opinionisti qualificati. Lo potete ascoltare su Rtr99 Radio Ti Ricordi nelle rubriche ATuXTv e Techetechemé, il cui titolo, preso a prestito dalla nota trasmissione Rai e rielaborato alla bisogna, è la leva per intervistare personaggi che la tv hanno contribuito a viverla e a farla, aprendo una finestra sullo stato dell’arte catodico (il suo ultimo libro, in ordine di tempo, È la tv, bellezza! edito da Lupetti) e preservandolo dal rischio della frenesia odierna: quello dell’oblio sistematico, di una mancanza di raccordo tra passato, presente e futuro che mina dall’interno l’efficacia degli orizzonti progettuali autorali.

Alla luce dell’anno 2014 appena trascorso, quali debolezze strutturali si possono individuare nella stagione televisiva recente?

«Il 2014, innanzitutto, ha gettato le basi della crisi di idee nei talk politici nazionali, per i quali è arrivato il momento del redde rationem. L’offerta è sovrabbondante e pleonastica, a ogni ora del giorno, i format si somigliano tutti, si differenziano solo per i nomi dei conduttori e, talvolta, per la linea ideologica: si passa da un populismo di sinistra a uno di destra attraverso forme autoreferenziali distillate con il copia/incolla e gettate in pasto agli spettatori».

Due riferimenti, in questo senso, potrebbero essere Formigli per la sinistra e Del Debbio per la destra, ammesso che le due categorie contengano almeno una piccola parte del loro significato originario.

«Sono due nomi emblematici. Da questo punto di vista, c’è da constatare come la formula individuata da Del Debbio sia forte, capace di attirare una platea fidelizzata».

Un nome che potrebbe distinguersi da questa sovraesposizione pletorica è quello di Michele Santoro?

«Santoro merita un discorso a parte. Un tempo, quel tipo di tv sapeva farla soltanto lui. Ne ha enucleato i tratti distintivi, arrivando a costruire prima degli altri dei format originali ed efficaci. Oggi però anche Santoro vive una stagione difficile, proprio a causa dell’offerta sovrabbondante e di un certo masochismo di chi cura i palinsesti che sta raggiungendo il parossismo nel procedere col pilota automatico».

Si dice che il motivo sia soprattutto uno: i talk politici costano poco e offrono ancora qualche garanzia di tenuta.

«Costano poco e non richiedono sforzi ideativi particolari. Ma non si tratta solo di questo. La verità è che la politica è un terreno di scambio allettante e coltivare amicizia con personalità politiche da invitare in studio può sempre tornare utile».

Il fatto che non richiedano sforzi ideativi particolari indica un deficit nella capacità di rinnovamento nelle produzioni?

«Indica la vera sfida della tv del futuro: farsi carico con originalità e etica del nuovo bacino di utenza parcellizzato e diffuso su innumerevoli canali e piattaforme, ripensando ai target di riferimento e stando al passo con le nuove richieste di mercato».

A proposito di etica. Ha ancora senso affiancarla al mezzo tv?

«La tv non deve essere pedagogica nelle intenzioni, ma coloro che ci lavorano e contribuiscono a farla dovrebbero riferirsi a una propria etica personale e a una propria coscienza nel rapportarsi al pubblico. Questo aspetto riguarda qualunque tipologia di format, compresi i talent, anch’essi molto diffusi. Sarebbe bene, come mi piace dire spesso, evitare la professionalizzazione delle incompetenze, quella che ci fa credere che un formato apparentemente vincente possa garantire a chi vi partecipa la permanenza nello showbiz. La tv è un mezzo straordinario, con cui si possono fare tantissime cose, a patto di saperne cogliere le istanze di rinnovamento e di rielaborazione giorno per giorno».

Visto che ha parlato di talent, parliamone. Ha guardato Forte-Forte-Forte?

«Mi sembra un programma forte-forte-forte nelle intenzioni, ma debole-debole-debole nella pratica. A proclami di originalità e di alto impatto narrativo, non sono seguiti i fatti. Il risultato è un format che non ha saputo rinnovarsi neanche sul piano scenografico, pescando qua e là da programmi già visti, dalla collocazione delle poltrone dei giudici allo svolgimento delle prove, non scordando l’estetica dello studio. Un’occasione mancata, soprattutto perché Raffaella Carrà è un personaggio dalla notevole efficacia televisiva, la vedrei molto bene se utilizzata in altri contesti, per esempio in un programma diurno con altra formula, a mezzogiorno, magari, come già accaduto».

Sul piano del rinnovamento delle idee, si dice che Sky abbia dato un grosso contributo alla causa, dando una scossa al sistema, alle generaliste in primis.

«Sky ha fornito una notevole carica, ha dato una scossa iniziale, poi ha finito con l’adeguarsi un po’ al sistema acquisendo format dalle generaliste e rielaborandoli, penso a X Factor o all’imminente Italia’s got talent, sostuituito da Mediaset con Tu sì que vales, che nei fatti è qualcosa di molto simile. C’è stato un adeguamento delle sue intenzioni, declinate però su un target più danaroso ed elitario, che può permettersi l’abbonamento. Sky, ma anche Premium, ha contribuito a un’ulteriore novità: la quasi scomparsa del grande cinema e delle nuove serie tv sulla generalista, sostituiti dall’orrenda fiction nostrana».

La generalista, in questo, senso, a sua volta ha tentato di seguire le novità Sky. Penso al tentativo di rinnovamento anagrafico del proprio target da parte di Rai2, forse il canale più incline alla sperimentazione nell’universo Rai.

«Concordo, Rai 2 ha tentato di ricollocarsi, puntando a un target più giovane grazie a esperimenti in parte coraggiosi, in parte disperati. Con alterne vicende di share. Il problema sta nel capire appieno le abitudini dei giovani nei confronti della tv: oggi la percepiscono come una sorta di proiettore, utilizzano tanto lo streaming, l’on demand, guardano i dvd, attuano inediti meccanismi di fruizione».

E qui subentra il discorso web. Fucina di nuovi talenti da un lato, occasione di interscambio con la tv, ai limiti di una sua potenziale sovrapposizione con essa, dall’altro.

«Se, eccezion fatta per qualche caso sporadico, lo scambio virtuoso web-televisione non mi pare ancora realizzato appieno, almeno in Italia, il discorso è valido al viceversa. Io stesso vado a cercarmi sul web programmi e particolarità della tv e dei palinsesti. Lo utilizzo come un grande contenitore in cui scovare cose affrancandomi dal palinsesto tradizionale».

Quali auspici coltiva per il 2015 televisivo?

«Attendo con ansia la fine della morbosità intorno ai casi di cronaca nera. Non amo l’attenzione eccessiva che si crea su di essi, specie se finalizzata a una spettacolarizzazione che, nei fatti, punta a un mero ritorno auditel, alimentando addirittura storture come il turismo macabro sui luoghi dei crimini, la classificazione tra casi di “serie a” (meritevoli di grande focus mediatico) e casi di serie b, il rischio di influenza nei confronti di inquirenti e giurie».

Da questo punto di vista, il “giallo” televisivo è un altro esempio di sovraesposizione?

«Esistono trasmissioni “al sangue” per ogni palato. Dai cold case di Sky ai contenitori pomeridiani sulle generaliste. In questo senso, è giusto attribuire responsabilità della sovraesposizione anche al pubblico, che al morboso fatica a rinunciare».

Lei però è un appassionato di romanzi gialli.

«Io nasco con la narrativa. Il mio amore per i libri è precedente a quello per la tv, poi negli anni Ottanta presi a leggere tutti i libri consigliati a Parola mia da Rispoli e dal professor Beccaria. Fino all’anno scorso ho curato in radio una rubrica di consigli di lettura. Inoltre, sto per terminare la stesura di un romanzo giallo di prossima pubblicazione. Diciamo che amo il giallo quando è fiction, non quando è cronaca televisiva».

Ma in tv, attualmente, che cosa le piace guardare?

«Uno spettatore educato e informato, può trovare delle autentiche chicche. Rai 5 offre programmi di altissima qualità. Anche Rai4, specie con Freccero. Sky Arte è un canale meraviglioso, sto seguendo con interesse Bonus Track, che racconta le passioni altenative dei grandi cantautori. L’arte nelle sue diverse forme è un modo per veicolare passione e conoscenza».

Guarderà Sanremo?

«Col mestiere che faccio, lo guarderò per forza. Lo seguirò anche nella mia rubrica Atuxtv, su Rtr 99 Radio ti ricordi. Sanremo è un po’ come i Mondiali di calcio, solo che avviene ogni anno. E’ l’unico grande evento tv rimasto, capace di bloccare i palinsesti. Il nazionalpopolare nel senso più alto del termine. Le aspettative sono considerevoli, Carlo Conti è uno che sa fare bene tv, è un personaggio discreto, che non ama proclami, è anche autore, oltre che presentatore. Insomma, l’erede naturale di Pippo Baudo. Se la caverà bene, anche se ho qualche perplessità sul cast».

Che genere di perplessità?

«Più che un Festival “pop” mi sembra “poppante”. Faccio l’esempio di Lorenzo Fragola: come ha fatto a finire tra i “big” così velocemente, dopo poche ore dalla vittoria di X Factor, poco prima della chiusura dei nomi per il Festival? Questo sarebbe un nodo da sciogliere. Ma, ribadisco, Conti farà un prodotto buono, coniugando spinta musicale e necessità televisiva».

Un prodotto forse più nazionalpopolare, meno radical chic rispetto a quanto si diceva essere il Festival di Fazio?

«Fazio è un altro grandissimo professionista. Il suo primo Festival ha funzionato bene per il suo schema di rottura. Il secondo, invece, ha riproposto un po’ gli stessi ingredienti del primo e la portata dirompente, fatalmente, si è affievolita».

Conti erede di Baudo, d’accordo. Ma Baudo è stato messo definitivamente da parte?

«Questo è un fatto vergognoso. L’esperienza di Baudo potrebbe e dovrebbe essere messa al servizio della tv di oggi. Ha vissuto per la televisione, ne ha fatto la storia, ha dimostrato in tempi recenti di sapersi rimodulare e declinare su programmi diversi dalla prima serata. Un suo contributo, magari inserito in orari diversi di palinsesto, sarebbe fondamentale. Il fatto che sia ai margini è scandaloso. Era accaduto anche a Rispoli».

Oggi non la stuzzica l’idea di tornare a fare l’autore, oltre che il giornalista?

«Oggi sono soddisfatto così. È una scelta precisa. L’ambiente televisivo, che continuo a frequentare come ospite, in passato mi ha dato anche delle delusioni. Ho fatto l’autore con Rispoli, cosa potevo augurarmi di meglio? Mi piace ora raccontare i fatti, intervistando i personaggi, come nella rubrica Techetechemé. Di recente, abbiamo avuto in studio Magalli, Platinette, Bonaccorti, il bravissimo Max Tortora. Con Tiziana Lupi, autrice della sua biografia, abbiamo analizzato il modo con cui papa Francesco utilizza il mezzo tv, sviscerato le novità comunicative. Anche questi sono aspetti che possono contribuire al dibattito sul rinnovamento dei linguaggi».

 

Gabriele Gambini
(nella foto, Mariano Sabatini)