Pubblicato il 22/01/2015, 14:30 | Scritto da La Redazione

L’IMITATORE LEONARDO FIASCHI, DOPO IL GRANDE SUCCESSO DI ‘SCHERZI A PARTE’: “LA SFIDA SAREBBE UNO SCHERZO A FRANK MATANO”

L’IMITATORE LEONARDO FIASCHI, DOPO IL GRANDE SUCCESSO DI ‘SCHERZI A PARTE’: “LA SFIDA SAREBBE UNO SCHERZO A FRANK MATANO”
Ha ingannato Paolo Brosio e Pupo a “Le Iene presentano Scherzi a parte”. Ha organizzato scherzi e imitazioni in radio e in tv. TVZOOM incontra oggi Leonardo Fiaschi, imitatore livornese che non si pone né limiti né censure, puntando a realizzare l’imitazione delle rockstar internazionali.meta name=”news_keywords” content=”leonardo fiaschi, paolo brosio, pupo, scherzi a parte, frank […]

Ha ingannato Paolo Brosio e Pupo a “Le Iene presentano Scherzi a parte”. Ha organizzato scherzi e imitazioni in radio e in tv. TVZOOM incontra oggi Leonardo Fiaschi, imitatore livornese che non si pone né limiti né censure, puntando a realizzare l’imitazione delle rockstar internazionali.meta name=”news_keywords” content=”leonardo fiaschi, paolo brosio, pupo, scherzi a parte, frank matano

Tra gli scherzi più clamorosi di Le iene presentano Scherzi a parte spiccano quelli a un attonito Paolo Brosio convinto di parlare al telefono con Papa Francesco e quello a un tarantolato Pupo abbindolato da una riuscita imitazione di Christian De Sica. I due malcapitati ci sono cascati come pere cotte. Hanno preso fischi per fiaschi, dove Fiaschi risponde al nome di Leonardo, imitatore livornese classe ’85: forte di una lunga militanza radiofonica e televisiva, riesce a rendere incantevole il disincanto trasformando un’incursione dai tratti pagliacceschi in una sfida a se stesso e agli spettatori. «La sfida vera ora sarebbe organizzare uno scherzo a qualcuno che grazie agli scherzi è divenuto celebre, uno come Frank Matano, per intenderci», dichiara Leonardo a TVZOOM.

Un po’ si è pentito dello scherzo a Brosio, lo ammetta.

«Ma no, fa parte del gioco. Però mi dispiace quando qualcuno ci rimane male, arrivando a piangere. Sono contento che ci sia stato il lieto fine: noi ne abbiamo guadagnato in popolarità e Brosio ha avuto l’opportunità di promuovere ulteriormente la sua Fondazione. E poi, ti confesso, l’imitazione di Papa Francesco non mi è venuta neanche così bene».

Ai tempi di papa Woytila, gli imitatori trovavano terreno fertile nel suo marcato accento polacco.

«Con questo Papa è diverso. Sarà perché è argentino e secondo me gli argentini parlano un po’ tutti allo stesso modo. Per esempio, quando mi capita di ascoltare interviste a calciatori argentini come Crespo o Zanetti, faccio fatica a riconoscerli. Hanno tutti la stessa voce!».

In Italia scherza coi fanti, ma lascia stare santi e affini.

«La triade calcio, religione, politica, in Italia è intoccabile. Se fai scherzi sull’attualità o se fai satira, due aspetti distinti ma concatenati, devi mettere in conto di essere sottoposto a critiche e saperti regolare di conseguenza».

Pupo invece non è un santo, con lui si va sul sicuro.

«Pupo è simpaticissimo. Una persona positiva, sempre ottimista. Per organizzare lo scherzo a lui, abbiamo dovuto studiare e informarci su tutti i suoi spostamenti e sulle sue conoscenze. Soprattutto, dovevamo conoscere i suoi rapporti con De Sica. Se fossero stati stretti, ci avrebbe scoperti subito».

Come ha reagito, a scherzo svelato?

«Si è divertito. Gli ho chiesto di portarmi in Russia con lui. Da quelle parti è un idolo degli stadi. Già mi vedo, mentre faccio la sua imitazione davanti alla piazza del Cremlino».

Basta che non le salti in mente di imitare Putin. Non si sa mai come potrebbe prenderla.

«Mi hanno detto che Putin è piuttosto suscettibile. Ogni Paese, del resto, ha il suo punto debole. Specie sulla satira o sulla comicità».

In Italia come siamo messi, da questo punto di vista?

«Non c’è grandissima libertà, dal mio punto di vista. Dovremmo imparare la lezione dagli americani. Per esempio, io sono un grande fan di David Lettermann. Nel suo show non si risparmiano battute su qualsiasi argomento, non si pongono alcun limite o censure. Bisognerebbe fare uno scambio alla pari con il mondo anglosassone: noi impariamo dalla loro libertà e, in cambio, insegnamo loro a cucinare».

Da dove comincia, quando studia un personaggio da imitare?

«Non mi piacciono le battute troppo articolate o marcate. Punto all’essenza. L’imitazione nasce dalla semplicità, la semplicità dall’individuazione di un tratto distintivo del soggetto imitato, rielaborato poi con originalità. Tra la gente comune, ci sono tanti imitatori potenziali che non sanno di esserlo. Sono coloro i quali sanno individuare con precisione una peculiarità di un soggetto, fosse anche il macellaio sotto casa, e la sanno sottolineare. Non sono alla ricerca della perfezione della voce o della gestualità. Faccio mia la lezione di Max Tortora: lui è bravissimo perché non copia, rielabora, riattualizza con personalità».

Nella sua carriera, di scherzi e imitazioni ne ha realizzati a bizzeffe.

«Mi alleno con chiunque. Guarda che sono capace di imitare benissimo anche la risata di Andrea Amato, direttore di TVZOOM, con cui ho collaborato a Radio R101 durante la trasmissione La carica di 101».

Glielo riferirò. A proposito di Radio R101, il suo scherzo telefonico a Lele Mora, che lei contattò fingendo di essere Leonardo Pieraccioni, sul web spopola ancora oggi.

«L’ho pensato quando, una sera, per curiosità, ho accettato un invito a un party a casa di Mora. Era la sua epoca d’oro, tutti passavano dalla sua agenzia. Io mi sono ritrovato tra i fasti di una dimora con tratti talmente surreali da risultare fiabeschi. Tipo Alice nel Paese delle Meraviglie. Era tutto stranissimo, il bianco era il colore dominante, lui stesso era vestito di un bianco ieratico da capo a piedi. Ho organizzato lo scherzo qualche settimana dopo, fingendomi Pieraccioni alla ricerca di un’attrice per un film: gli ho chiesto di trovarmi una ragazza appariscente e che non sapesse far nulla, mi suggerì Francesca Cipriani».

Non le capita mai di essere smascherato?

«Certo, succede. Quando fai uno scherzo telefonico, la tensione è alta. Devi conoscere tutto della vittima, essere pronto ad aggirare eventuali domande trabocchetto, saper improvvisare evitando gli imprevisti del momento. L’atmosfera intorno a te deve essere compatta e serena, altrimenti si rischia di compromettere l’operazione».

Il suo primo destinatario di uno scherzo?

«Il mì babbo (lo dice con uno spiccato accento livornese, nda). Una notte gli ho sottratto le chiavi della macchina, gliel’ho aperta, poi le ho riportate in casa. Gli ho fatto credere di essere ancora a letto riempiendo le coperte di cuscini. Sono tornato vicino al box con una calza in testa. Mia sorella, mia complice, lo ha avvisato che qualcuno stava tendando di rubargli l’auto. Lui si è spaventato, mi ha riempito di insulti, prima di riconoscermi mi ha anche mollato uno sganassone. Poi ho continuato a scuola. Imitavo il preside e convocavo i genitori degli studenti in presidenza».

Il preside non sarà stato tenero con lei.

«Al contrario. L’ho imitato anche nella recita scolastica finale. Quando vieni imitato, diventi automaticamente celebre, è una forma di lusinga. Anzi, le mie imitazioni mi hanno consentito di ottenere un 6 benevolo in matematica, materia in cui avevo 4».

L’imitazione più ostica e quella che vorrebbe fare.

«Faccio fatica con i cliché: Berlusconi, Celentano. Forse sono inflazionati, non riesco a riproporli con la spontaneità necessaria. Il mio obiettivo, invece, è di puntare sui cantanti internazionali. Su tutti, Chris Martin dei Coldplay. Sarebbe una bella sfida. Imitare la sua voce giocando sul fatto che, in fondo, quelle tonalità le riesce a ottenere solo perché sul palco gli scappa la pipì e non gli permettono di farla. Però devo mettermi a studiare l’inglese seriamente. Sul palco, durante i miei spettacoli, mi capita di imitare in lingua inglese, francese, addirittura araba. Ma in realtà emetto soltanto suoni casuali. Le persone però si divertono».

Obiettivo dell’anno nuovo, dunque: imparare l’inglese.

«Come insegna Checco Zalone: per fare gli ignoranti sul palco, bisogna essere colti. Anche se poi, imparando bene l’inglese, potrei correre il rischio di non saper più sparare frasi a casaccio (ride, nda)».

Max Tortora, Zalone. Altri nomi che stima?

«Mi ha colpito una frase di Fiorello. Un giorno disse: “Io non sono un comico, non sono un imitatore, non faccio satira: ma sono Fiorello”. Ha sottolineato l’importanza di sapersi declinare su più fronti possibili in mille modi diversi. Questa è la lezione di mostri sacri come Robin Williams o Jim Carrey: sono partiti come imitatori, ma hanno dimostrato di sapersi elevare su corde molteplici, da attori straordinari. In Italia apprezzo molto la spontaneità di AngeloDuro. Lo stesso vale per l’immediatezza di Frank Matano o Paolo Ruffini. O per la capacità di immedesimazione di Dario Ballantini, uno che sviscera i personaggi calandosi nella parte all’americana».

Quando la fermano per strada e le chiedono un’imitazione, lei si rompe le scatole?

«Al contrario. Mi diverto un mondo. Spesso gli amici al bar sono il banco di prova per valutare l’efficacia delle mie idee. Mi capita invece di annoiarmi quando presenzio alle cene dei concorsi per imitatori. Sembra una gara a chi ce l’ha più lungo. Tutti alle prese con le imitazioni di Celentano o di altri a oltranza, indossando maschere come scudo per proteggersi da debolezze di personalità. La capacità di un comico è saper scindere se stesso dal proprio lavoro, conservando sempre la verve e il gusto per il divertimento, alla base di questo mestiere».

Youtube è uno strumento utile come banco di prova nei confronti del pubblico?

«Un tempo, quando esisteva la tv con pochi canali, emergere era più semplice. Oggi la rete ha alimentato la competizione, pur rivelandosi uno strumento utilissimo. Beninteso, non è detto che ciò che funziona sul web o a teatro, funzioni anche in tv. Però è un banco di prova indispensabile. Ricordo quando pubblicai su Youtube un mio sketch realizzato quasi per scherzo col telefonino di un amico. Ottenne un botto di visitatori. Poco dopo, mi organizzai e lo riproposi investendo denaro in apparecchiature di ripresa più sofisticate. Non funzionò. Anche in quel caso, spontaneità, immediatezza e capacità di cogliere l’essenza sono fondamentali, in rete e sui social».

Quale bersaglio le piacerebbe individuare, per organizzare un nuovo scherzo?

«La sfida vera sarebbe ingannare chi mi conosce già, oppure uno che con gli scherzi è diventato celebre. Uno come Frank Matano, per esempio, ben allenato a cogliere particolari di questo tipo. E poi organizzare uno scherzo nella mia Livorno, la patria degli scherzi. Magari pensando a qualcosa che ha a che fare con gli ufo. Ho un’idea che mi ronza in testa».

Sta anche per partire Sanremo…

«Credi che non lo sappia? Bisognerebbe pensare a qualcosa di forte…».

Magari gli UFO a Sanremo. Con la benedizione del CICAP.

 

Gabriele Gambini

(Nella foto Leonardo Fiaschi)