Pubblicato il 20/01/2015, 11:02 | Scritto da La Redazione

RASSEGNA STAMPA – “QUEL SERVIZIO È DIFFAMATORIO” LA CGIL FA CAUSA AL TG1 E PERDE

Assolta l’azienda, l’ex direttore Minzolini e il giornalista Monfredi. Il sindacato pretendeva 75mila euro dalla tv di Stato che aveva raccontato le azioni legali di diversi lavoratori.meta name=”news_keywords” content=”il giornale, paolo bracalini, cgil, tg1, augusto minzolini

Rassegna stampa: Il Giornale, pagina 12, di Paolo Bracalini.

“Quel servizio è diffamatorio” la Cgil fa causa al Tg1 e perde

Assolta l’azienda, l’ex direttore Minzolini e il giornalista Monfredi. Il sindacato pretendeva 75mila euro dalla tv di Stato che aveva raccontato le azioni legali di diversi lavoratori.

«È un fatto storico realmente accaduto e di indubbia rilevanza per l’opinione pubblica che nei confronti della Cgil siano state proposte diverse cause di lavoro in cui vengono contestate diverse violazioni da parte di lavoratori». È un fatto, ed è di «indubbia rilevanza» che la Cgil sia oggetto di «diverse cause di lavoro». A scriverlo è un giudice, Filomena Albano del Tribunale di Roma, in una sentenza che dà torto alla Cgil e conferma un diritto che sembrerebbe ovvio ma invece tocca difendere in un’aula giudiziaria: quello di raccontare (in un servizio di Tg, in un articolo di giornale) che la Cgil è accusata di violazioni da parte di diversi lavoratori in tutta Italia, dal momento che diversi lavoratori, in tutta l’Italia, hanno fatto causa alla Cgil. Per il sindacato guidato da Susanna Camusso, invece no, quell’informazione non deve circolare perché non è una notizia ma una diffamazione, per cui ha citato in giudizio il Tg1, per un servizio del 2011 (titolo: «Lavoratori contro la Cgil») che avrebbe «leso l’onore, la reputazione e l’immagine della Cgil», la quale, denunciando l’allora direttore Augusto Minzolini e l’autore del servizio, Luigi Monfredi, ha chiesto un risarcimento «minimo» di 75mila euro, «oltre agli interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data della domanda al saldo», più la rimozione del servizio da Internet e la pubblicazione della condanna sui giornali. Peccato che alla Cgil è andata male, malissimo: la sentenza appena emessa dal Tribunale di Roma condanna il sindacato al pagamento di 4.500 euro (spese legali), rigettando in toto l’accusa di diffamazione, ovvero facendo a pezzi la tesi del sindacato, che non vuole si scriva che i lavoratori fanno causa alla Cgil, perché «diffamatorio».

Ma quell’informazione rispetta il criterio di veridicità? Eccome se lo rispetta, spiegala sentenza. Nel processo è stata dimostrata «l’esistenza di un numero di cause, pari ad almeno 13, in diverse regioni d’Italia». Ma sono o non sono «tante», termine che la Cgil considera falso e diffamatorio? Scrive ancora il giudice: «L’affermazione va contestualizzata con riferimento sia ai toni sensazionalistici tipici della attività giornalistica, sia al fatto che il numero di cause assume maggiormente rilievo se riferito proprio alla Cgil che quotidianamente combatte contro le varie forme di sfruttamento del lavoro». Quindi sì, è corretto dire «tante». E insomma: «Quanto riferito dal cronista corrisponde alla realtà dei fatti», e non importa che le cause di lavoro siano, a detta della Cgil, infondate, «in quanto non è compito del giornalista entrare nel merito del contenzioso, ma solo riportare il dato storico della loro esistenza e della protesta dei lavoratori contro la Cgil». Sussiste quindi la «verità” della notizia”. Diritto di cronaca 1, Cgil 0, palla al centro. Esultano i lavoratori del sito «licenziati dalla Cgil». «A tutti quei giornalisti che hanno paura della grande mamma (la Cgil, ndr) diciamo: quando si dice la verità la sana informazione diventa libertà di stampa. Ha vinto la verità, la sana informazione e la libertà di stampa». Pare che «la grande mamma», invece, non sia di ottimo umore.