Pubblicato il 15/12/2014, 12:02 | Scritto da La Redazione

RASSEGNA STAMPA – ETTORE BERNABEI: “LA MIA RAI SEMPRE ATTUALE. LEGGEREZZA E VALORI, IERI COME OGGI”

Il giornalista del “QN”, Piero Degli Antoni, ha intervistato l’ex direttore generale della Rai, potente manager degli anni Sessanta, che propugnò la tv educativa e il varietà.meta name=”news_keywords” content=”qn, piero degli antoni, ettore bernabei, rai

Rassegna stampa: QN, pagina 25, di Piero Degli Antoni.

Bernabei: “La mia Rai sempre attuale. Leggerezza e valori, ieri come oggi”

Potente manager degli anni Sessanta, propugnò la tv educativa e il varietà.

Ettore Bernabei, 93 anni, è stato uno dei funzionari di Stato più potenti nell’Italia degli anni ’60, ’70 e ’80. Direttore generale della Rai dal 1960 al 1974, e poi direttore dell’Italstat dal 1974 al 1991.

La tv didattica ed educativa di cui lei è stato propugnatore alla Rai nell’Italia degli anni Sessanta-Settanta, ha ancora un senso oggi?

«Oggi più che mai. La tv è rimasta l’unico mezzo a disposizione dell’umanità per difendersi dagli aspetti più aggressivi e ingiusti della rete. Internet ha tante benemerenze però mette tutto sullo stesso piano: il falso e il vero, il bene e il male, il giusto e l’ingiusto. La tv invece è fatta da uomini e donne consapevoli di come le immagini del piccolo schermo entrino in contatto con persone reali che vivono, lavorano, istruiscono i figli nel mondo reale e non in quello virtuale. Anche la tv più banale e cinica propone modelli di comportamento. Oggi la tv è la vera e unica antagonista della rete. Anche in Italia occorre istituire un servizio pubblico come la Bbc, un organo di sicurezza nazionale che dipenda chiaramente dal Governo».

Lei è stato il padre della tv pedagogista, ma anche colui che mise i mutandoni alle Kessler e censurò Dario Fo.

«Per quanto riguarda le Kessler dovete ricordarvi che in quel periodo nei varietà di tutti i teatri le ballerine portavano delle gonne. Noi invece desiderammo sottolineare la bellezza naturale delle gambe delle Kessler, degne della Venere callipigia, e proprio per sottolineare questo aspetto scegliemmo le calze al posto della gonna. Insomma fu un passo avanti, certo non indietro. E non immagina quanti fastidi ebbi da ambienti tradizionalisti e puritani».

Disse anche che «le calze delle gemelle Kessler non generavano inquietudine, ma un desiderio tranquillo di vita normale».

«Verissimo. Mi convinsi che negli spettatori non avrebbero suscitato nessun desiderio di sessualità perversa semmai la convinzione che ognuno si dovesse contentare delle gambe della propria moglie o compagna, anche se magari con un po’ di cellulite, sproporzionate o storte».

È vero che spesso le proteste di alti dirigenti democristiani le rovinarono le feste di Natale? Ha citato un Rumor «con la bava alla bocca».

«A Natale invitavo i miei figlioli a sciare. Saragat mi fece chiamare e con una macchina dovetti tornare a Roma dove mi fece una solenne lavata di capo. Io rispondevo con fermezza ma anche con pazienza».

Fu lei a cacciare Dario Fo da Canzonissima, nel 1962.

«Ero stato io a chiamarlo. Prima di allora la satira politica non era ammessa in tv, noi la introducemmo e per di più fatta da un notorio comunista come Dario Fo. Il contratto prevedeva però che dovesse farci leggere preventivamente i testi degli sketch. Dopo uno sciopero con manifestazione degli operai edili Dario Fo decise di cambiare, e mise in scena lo sketch di un imprenditore edile che regalava un diamante all’amichetta ogni volta che un operaio cadeva da un’impalcatura. Non solo lo sketch era irrispettoso verso gli stessi operai, ma non faceva ridere. Gli dicemmo di cambiare, ma lui rispose che senza quello sketch non sarebbe andato in onda E allora non vada! risposi io. Non era lui il padrone della tv, erano i 12 milioni di famiglie che seguivano la Rai. Questa non è censura, è doveroso esercizio di responsabilità».

Lei ha detto anche che ai suoi tempi riceveva circo 18mila raccomandazioni all’anno, e aveva istituito un apposito ufficio di sei persone che le selezionava fino o ridurle a 7-800..

 «La raccomandazione viene vista come uno strumento perverso di corruzione, ma non è così. Dipende dal raccomandante e dal raccomandato. Se una persona brava e intelligente mi segnala qualcuno altrettanto bravo e intelligente perché non dovrei tenerne conto?».

Lei ha prospettato le teoria secondo la quale nel 1968 inizia una manovra per smantellare la struttura economica italiana, basata sulla convivenza tra pubblico e privato. Ma chi fu ad ardire una tale manovra?

 «A quei tempi il sistema produttivo di aziende pubbliche a partecipazione statale forniva a quelle private semilavorati come l’acciaio, e soprattutto energia, a basso prezzo, perché non doveva guadagnarci mantenendo il pieno impiego. Nel 1991 l’Italstat, dopo le privatizzazioni, a chiusura della liquidazione consegnò al Tesoro una sopravvenienza attiva di 11mila miliardi di lire. E poi pretesero di chiamarci boiardi di Stato! Da lì, e soprattutto dall’epoca della Thatcher in poi, è iniziata con le privatizzazioni e la finanziarizzazione dell’industria un’azione destabilizzante che ci ha portato alla crisi attuale. Le privatizzazioni hanno privato il popolo italiano delle sue più valide risorse. Pensi alla Telecom: quando era pubblica era la prima compagnia telefonica d’Europa e tecnologicamente all’avanguardia. Oggi è tra le più arretrate».

Che ne pensa dell’attuale tendenza dei Tg a indulgere nella cronaca nera più efferata?

«È una forma di comunicazione degenerativa. Siccome è venuto meno il duello verbale molto aggressivo tra politici, caratteristico della Seconda Repubblica, si cerca ora di sostituirlo con un’altra forma di comunicazione aggressiva. Sia per il cosiddetto femminicidio, sia per la mafia, i giornali si riempiono di ricostruzioni pseudo-giornalistiche gonfiate solo per riempire pagine e minuti di Tg».

Come le collocherebbe queste notizie?

«In sesta o settima pagina, 2 o 3 minuti in un Tg da un quarto d’ora così come è in tutto il mondo».

Do fiorentino a (quasi) fiorentino che pensa di Renzi?

«Renzi è del contado di Valdarno, uno dei contadi minori. Ma la madre era una lapiriana fervente che l’ha fatto studiare a Firenze. Lì è stato notato da Michele Gesualdi, il più bravo allievo di don Milani. È diventato prima consigliere provinciale, poi presidente della Provincia, poi sindaco… insomma ha fatto tutto il cursus honorum. Non è un improvvisato. Mi piace perché è coerente. Quando è diventato segretario del Pd ha fatto staccare le foto che c’erano nell’ufficio e ha fatto appendere quella di La Pira, rompendo un silenzio che durava da 34 anni».