Pubblicato il 05/12/2014, 18:35 | Scritto da La Redazione

“LAVORARE IN TV”, FABIO GUADAGNINI, FOX SPORTS: “PUNTIAMO A ESSERE LA ‘CANTERA’ DEL GIORNALISMO SPORTIVO”

“LAVORARE IN TV”, FABIO GUADAGNINI, FOX SPORTS: “PUNTIAMO A ESSERE LA ‘CANTERA’ DEL GIORNALISMO SPORTIVO”
Sesto appuntamento con il ciclo di interviste agli addetti ai lavori, coloro che ogni giorno fanno la televisione. TVZOOM ha incontrato il vicepresidente e direttore di FOX Sports, conversando con lui sui linguaggi della tv applicati allo sport.meta name=”news_keywords” content=”fox sports, fox sports 2, fabio guadagnini” Sesta puntata del nostro ciclo di interviste agli addetti […]

Sesto appuntamento con il ciclo di interviste agli addetti ai lavori, coloro che ogni giorno fanno la televisione. TVZOOM ha incontrato il vicepresidente e direttore di FOX Sports, conversando con lui sui linguaggi della tv applicati allo sport.meta name=”news_keywords” content=”fox sports, fox sports 2, fabio guadagnini”

Sesta puntata del nostro ciclo di interviste agli addetti ai lavori, coloro che ogni giorno fanno la televisione. Questa settimana scopriamo il mestiere di direttore di un canale sportivo. Abbiamo incontrato Fabio Guadagnini, vice presidente e direttore di Fox Sports (canale 382 e 383 di Mediaset Premium e in HD su Sky canali 206 213).

Incontro Fabio Guadagnini nel suo studio. Ha da poco terminato una telefonata con Londra, segno che il mestiere di direttore di canali sportivi dal marchio e dal respiro internazionale ha contorni che valicano i confini tricolori. Guadagnini ha un passato da agonista nel basket e nel volley. Una carriera da cronista, nata all’inizio degli anni ’90 alla corte di Rino Tommasi. Erano i tempi pionieristici di Telepiù. Si è occupato di sport a 360 gradi, dallo sci al tennis, non scordando il calcio. Ha intuito le potenzialità commerciali del wrestling americano nella tv italiana. Oggi è a capo dell’universo italiano di Fox Sports, che con i suoi due canali, Fox Sports e Fox Sports 2 HD, e le loro esclusive, contribuisce all’incremento dell’appeal del calcio internazionale in Italia e alla diffusione di sport alternativi, considerati di nicchia, ma supportati da un seguito leale e competente.

Fox Sports è una realtà giovane, nata nel 2013. Facendo un bilancio, come si conciliano le vostre aspettative iniziali con i risultati ottenuti fino a oggi?
«Il bilancio ci soddisfa. L’obiettivo di Fox Sports è diventare un canale cool dando ampio spazio al racconto del calcio internazionale. Proprio l’idea di diventare una “casa del calcio internazionale” ben si sposa con l’evoluzione subita da questo sport negli ultimi anni. Le nuove generazioni hanno una visione del calcio meno campanilista e più cosmopolita, che ne incrementa l’approccio tecnico-educativo. L’esasperazione del tifo militante è mitigata da una maggior attenzione verso la qualità del gioco, come testimonia il seguito ottenuto in Italia da campionati quali la Liga spagnola, la Premier inglese, la Bundesliga. Il baricentro del calcio si è spostato e un racconto efficace sposa un concetto fondamentale: tutto parte dallo schermo, se il tuo focus è lì, l’investimento nel contenuto è ben riposto. Gli inglesi sintetizzano in: “Put your money on the screen”».
Il vostro pubblico di riferimento. Lo conoscete, interagite con esso, e come si fa a conquistarlo?
«Puntiamo a un target giovane, prevalentemente maschile per quanto riguarda il calcio, più eterogeneo sugli altri sport. Il pubblico viene fidelizzato attraverso un linguaggio chiaro, una ricerca costante della notizia stando alla larga da facili sensazionalismi. Il linguaggio dei social ci appartiene: è giovane, sintetico, esaustivo».
A proposito di social: concorrono a sviluppare il vostro modello di business?
«Costantemente. Degli esempi di questo sono la novità di Fancave, la stanza multimediale che consente un interazione diretta con i nostri studi, un programma come Directors’ Box, un’area Twitter moderata e monitorata quotidianamente, con partecipazione propositiva degli utenti».
Un giorno lei ha detto, riferendosi ai linguaggi televisivi mutevoli applicati allo sport, della necessità di impostare un modo di fare tv “Senza cravatta”. Come si direziona questo aspetto nella scelta dei giornalisti che fanno parte delle vostre redazioni?
«L’età media dei nostri giornalisti è 31 anni, in linea con l’evoluzione generazionale dello sport. Cerchiamo una figura professionale multitasking, capace di raccontare una notizia ma di saperla anche declinare secondo diverse modalità. Oltre ai tratti distintivi del nostro linguaggio, il giornalista ideale della nostra redazione ha familiarità con i new media e si distingue per una competenza che esuli dal semplice racconto cronachistico, ma che sappia scavare in profondità, per accontentare una fetta di spettatori magari non numerosa, ma molto esigente».
A proposito di calcio, infatti, si dice che in Italia esistano 60 milioni di C.T.
«Questo per quanto riguarda la familiarità col calcio italiano. Quando si tratta di raccontare, per esempio, il campionato olandese, con volti meno noti al pubblico, occorrono una competenza e una specializzazione peculiari. Lo stesso vale per la cronaca di altri sport. Ci consideriamo una cantera del giornalismo sportivo: ci interessano talenti da cinture nere del giornalismo, già una cintura marrone sarebbe poco adatta».
Le scelte editoriali e le scelte dello staff partono da lei?
«Tutte le selezioni vengono condivise con i coordinatori editoriali e con un produttore esecutivo, assecondando i capisaldi editoriali dell’universo Fox».
Come avviene la scelta dei talent Fox Sports da affiancare ai cronisti durante i commenti? Penso a Fabio Capello, ma anche a Paolo Di Canio e Fabrizio Ravanelli.
«Secondo criteri di autorevolezza, abbinati alla capacità di schierarsi con chiarezza. Fabio Capello è stata una scelta istintiva, dettata dal suo modo di commentare, affine alla nostra linea editoriale. Riesce a essere “outspoken”, dice quello che pensa, ha una lettura delle partite da punto esclamativo, ogni sua affermazione è una sentenza. Lo stesso vale per Di Canio e Ravanelli. Non è sufficiente essere una stella riconosciuta dello sport per diventare opinionisti di valore. Occorre aggiornarsi costantemente e fornire letture mai banali ai propri interventi».
Non solo calcio. Fox Sports 2 racconta numerose altre discipline considerate di nicchia, ma che attraggono un pubblico esigente e competente. C’è, in Italia, un substrato culturale sufficiente per rendere mainstream gli sport affrancati dal pallone?
«Fox Sports 2 è un’alternativa complementare che punta su properties importanti come l’MLS, NFL, l’UFC, l’Eurolega di Basket, la CEV di volley, la Diamond League di atletica leggera, la Formula E e il rally. L’NFL, in particolare, ha margini di crescita consistenti, così come altri sport americani che stanno conquistando una fetta di spettatori. Stiamo investendo sulle MMA, le arti marziali miste, fenomeno di costume del momento. Abbiamo portato sul nostro canale i campionati di Darts, le freccette inglesi, che hanno ottenuto riscontri interessanti grazie a una forte componente di showtime, la spettacolarità collaterale all’esibizione. Mi piacerebbe costruire un’identità progressiva per il canale dando spazio all’italianità di alcuni sport, come il basket o come fatto con la coppa CEV di volley».
Guarda spesso allo share? Se sì, come concorre a impostare la sua idea di programmazione?
«L’auditel è un riferimento imprescindibile, specie a livello commerciale. Per quanto mi riguarda, parlando di numeri esigui, specie sugli sport di nicchia, diventa importante per inquadrare le tendenze del momento e aumentare il range di pubblico. Per esempio, abbiamo notato come un nome italiano come quello di Mario Balotelli abbia contribuito a portare le partite del Liverpool al secondo posto tra quelle più viste della nostra programmazione di Premier League su Fox Sports. Abbiamo anche verificato una leggera flessione negli ascolti della Liga spagnola rispetto alla stagione scorsa: questo perché il fenomeno Atletico Madrid è in calo e l’elemento di maggior appeal del Barcellona, Suarez, è rientrato da poco. Sono piccoli elementi che concorrono a indicare una tendenza e a darci riferimenti».
Come si svolge la vostra convivenza di collaborazione/concorrenza con Sky?
«Con Sky abbiamo un contratto di servizio per le facilities tecniche. Il nostro rapporto è su due livelli: Fox Sports è trasmesso su due piattaforme, dunque abbiamo potuto creare uno stile di riferimento peculiare e distintivo. Fox Sports 2 si avvale anche di giornalisti che provengono dalla realtà Sky, dunque abbiamo accettato compromessi maggiori, pur plasmando un’identità che si sta costruendo progressivamente».
Lei nasce come cronista sportivo. Quali sono stati i suoi maestri di riferimento?
«Sono molti. Aver lavorato in passato con un direttore come Rino Tommasi mi ha insegnato il rigore giornalistico in chiave anglosassone: vale a dire, correttezza, equilibrio nel fornire la notizia e grande attenzione alle statistiche. Ho lavorato tanti anni con Mario Cotelli nello sci: non aveva una formazione giornalistica, ma una grande competenza tecnica. Senza scordare Dan Peterson, col suo stile marcato e la straordinaria capacità di utilizzare al meglio il mezzo tv».
Una domanda collaterale a quanto detto fino a ora. Si è parlato di spostamento del baricentro calcistico in senso internazionale e di perdita di valori nel campionato italiano. È d’accordo con l’idea di limitare a 5 il numero di stranieri schierabili per stimolare una maggior attenzione ai vivai?
«Prendo a prestito un esempio legato all’hockey su ghiaccio. Durante una stagione, l’Alleghe, formazione bellunese, ingaggiò come allenatore il canadese Mike Kelly. Al momento di allestire la squadra, durante la campagna acquisti, Kelly pretese l’acquisto di un forte portiere finlandese, uno dei migliori del mondo nel suo ruolo. Quando gli chiesero perché puntare su uno straniero per la porta, anziché per un ruolo di maggior utilità, come quello offensivo, rispose: “Perché in questo modo, tutti i giorni, i giovani della squadra, durante gli allenamenti, dovranno provare a segnare a uno come lui. Allenandosi con il migliore, miglioreranno anche loro per forza”. L’esempio è emblematico: non occorre essere autarchici, ma puntare su un bilanciato mix di valorizzazione dei vivai e di acquisto di stranieri d’esperienza capaci di alzare il livello e fornire un esempio. Fermo restando che ogni decisione capace di incidere su questi aspetti deve essere presieduta da una volontà precisa in Lega Calcio».

Ultimo quesito: qual è il peggior nemico di un direttore di canale sportivo?
«L’autoreferenzialità. Per essere efficaci nel raccontare lo sport occorre focalizzarsi sulla notizia con chiarezza e partecipazione, evitando sensazionalismi e autocompiacimento retorico».

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto Fabio Guadagnini)