Pubblicato il 06/11/2014, 16:31 | Scritto da La Redazione

“LOMBROSO: IL LATO OSCURO”, SU DEASAPERE HD: COLLOQUIO CON L’AUTORE DELLA DOCUFICTION

Questa sera, giovedì 6 novembre alle 22.50, Deasapere HD regala agli appassionati di “crime” e di divulgazione scientifica un prodotto interessante: la docufiction “Lombroso: il lato oscuro”, che approfondisce aspetti controversi del padre dell’antropologia criminale. TVZOOM ha dialogato con l’autore, Alessandro Rocca.meta name=”cesare lombroso, deasapere, il lato oscuro, alessandro rocca”

C’è un lato, nomen omen, ombroso, di Cesare Lombroso, nella docufiction in onda su Deasapere HD (Sky, canale 415) giovedì 6 novembre alle 22.50. Non è difficile capire il perché. Il padre dell’antropologia criminale, sostenitore della teoria (rivelatasi fallace) secondo cui l’origine del comportamento delinquenziale sarebbe insita nelle caratteristiche anatomiche dell’individuo, è un personaggio che divide. Da sempre. Protagonista dei salotti e delle università in un’epoca, quella a cavallo tra l’ottocento il novecento, di grandi fermenti umanistici e scientifici, ammirato da molti, talvolta svillaneggiato post mortem, l’opera del medico antropologo, criminologo e psichiatra conserva un merito: mostra come la ricerca e l’avventura scientifica non siano mai asservite a dogmi, procedano per tentativi sperimentali, sistematici, aprendo strade e imparando dai propri errori. Il documentario, 55 minuti in tutto, nato da un’idea di Alessandro Rocca sviluppata assieme a Gianluca de Angelis per Tekla Produzioni, affianca al rigore divulgativo la spettacolarizzazione per immagini. Gli aspetti intimi e misteriosi dello studioso, dal suo rapporto con le donne alla passione in vecchiaia per l’esoterismo, sono sviscerati avvalendosi di contributi esclusivi, in collaborazione con il Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso dell’Università di Torino.
Alessandro Rocca, partiamo da un presupposto iniziale: che cosa l’ha spinta alla realizzazione di una docufiction su una figura importante e controversa come quella del Lombroso?
«L’idea era nel cassetto da diversi anni. Conoscevo il personaggio dai tempi degli studi liceali: ho imparato a comprendere la portata avveniristica dei suoi studi, che devono essere compresi e classificati all’interno dell’epoca in cui sono avvenuti. Un’epoca di teorie positiviste, di fisiognomica, di darwinismo sociale. In più, ho visitato con attenzione il museo a lui dedicato, imbattendomi negli oggetti a lui appartenuti, ripercorrendo i luoghi da lui visitati. Tutto questo ha costituito una spinta per approndirne la figura».
La docufiction punta a una ricostruzione della verità storica sul personaggio, analizzando anche aspetti intimi della sua biografia.
«Ci siamo mossi su un doppio binario. All’impianto narrativo legato alle sue teorie, abbiamo affiancato alcuni episodi della sua vita utili per ricostruire l’uomo Cesare Lombroso: l’infanzia, la giovinezza con gli incontri decisivi per la sua carriera, il suo rapporto con le donne, le controversie personali».
È opinione diffusa associare Lombroso solo alla teoria, rivelatasi infondata, della classificazione comportamentale dell’individuo in base alle sue caratteristiche anatomiche.
«Le sue teorie sono state smentite dai fatti e dagli studi successivi. Quel che ci premeva raccontare però, era il loro aspetto rivoluzionario per l’epoca in cui le ha elaborate. Lombroso ha posto le basi degli studi sulla criminologia moderna, è da considerarsi, in qualche modo, un antesignano di C.S.I. Soprattutto nelle università estere, ancora oggi, in ogni corso di antropologia criminale c’è un riferimento ai suoi studi».
Avete scritturato un attore a lui molto somigliante e, tramite una voce fuori campo, avete ricostruito il suo percorso, partendo dai suoi scritti. Ma quali sono gli aspetti meno noti che svelerete?
«Il suo rapporto con le donne. Tormentato. Specie quello con Eloisa della Zara, alla quale ha scritto numerose lettere mai consegnate. Un amore segreto, finito male quando lei si è sposata con un altro, avvenimento che lo ha spinto a partire per Vienna. Oppure, il suo rapporto con l’esoterismo, nel periodo della vecchiaia».
Esoterismo e scienza non vanno a braccetto.
«Oggi, no. Ma, ribadisco, per approcciarsi al personaggio, è fondamentale contestualizzarlo nell’epoca in cui ha vissuto. Un periodo di grandi scoperte scientifiche, come quella dei Raggi x, da cui scaturivano ipotesi e tesi tra le più diverse. Divenuto protagonista di tutti i salotti mondani e culturali della sua epoca, Lombroso ha frequentato la casa della medium napoletana Eusapia Paladino, presso la quale erano ospiti i più illustri esponenti della cultura italiana, tra i quali Gabriele D’Annunzio. La Paladino era nota per effettuare delle fantomatiche sedute spiritiche, nella docufiction mostreremo il contrasto tra l’uomo di scienza e quel contesto».
Fermo restando che l’aspetto cruciale sta nel momento in cui ha sviluppato le sue teorie.
«L’analisi del cranio del brigante Giuseppe Villella e delle sue anomalie congenite, momento cruciale per la direzione intrapresa dai suoi studi. L’episodio è oggetto di controversie. Ancora oggi, esiste un movimento neoborbonico che accusa il Lombroso di antimeridionalismo per aver associato i comportamenti criminali del Villella, di origini calabresi, alla sua conformazione anatomica, dunque alle sue origini. Si tratta di polemiche infondate, ovviamente. Ma che hanno condotto alcuni addirittura a chiedere la chiusura del Museo di Torino a lui dedicato».
Per il vostro lavoro, quel Museo ha giocato un ruolo importante.
«Nel museo sono raccolti oggetti straordinari. Le raccolte dei testi, catalogati dalla figlia di Lombroso. I reperti di omicidi efferati dell’epoca, come quelli compiuti dallo strangolatore di Bottanuco, su cui il luminare ha compiuto studi. Una particolarità: gli occhiali indossati dall’attore nel documentario, sono proprio quelli appartenuti allo scienziato».
Perché il vostro lavoro, che auspicate sia distribuito anche in Inghilterra e in Francia, dovrebbe attirare l’attenzione di un vasto pubblico?
«Perché c’è una coinvolgente ricostruzione documentaristica ben sorretta da un impianto narrativo, da una fotografia accurata, da un’enfasi musicale. E poi, perché oggi è molto diffuso, anche come entertainment, il crime in tutte le sue declinazioni: talk show, crime fiction etc. Gli studi di Lombroso hanno spianato la strada a tutto questo, cercando di darne una classificazione sistematica rivelatasi utile anche in branche come la psicologia. Anzi, voglio azzardare…».
Azzardi.
«La sua figura potrebbe essere un soggetto perfetto come protagonista di una fiction, a metà tra thriller investigativo e storia. Per il momento, però, mi accontento che questo documentario susciti curiosità nel pubblico, instillando interrogativi e fornendo spunti».
A proposito, se Lombroso fosse vivo oggi, secondo lei che farebbe?
«Secondo me frequenterebbe la tv come opinionista in talk show di genere, come Quarto Grado».

 

Gabriele Gambini

(Nella foto Cesare Lombroso)