Pubblicato il 28/10/2014, 13:05 | Scritto da La Redazione

RASSEGNA STAMPA – GIOVANNI VERONESI: “C’ERA UNA VOLTA LA MAFIA E IO LA RACCONTO PER LA TV”

Il regista toscano gira una serie ambientata a New York nel primo ‘900: “Sarò attento a non creare fascino su personaggi criminali”.meta name=”news_keywords” content=”la stampa, giovanni veronesi, mafia

Rassegna stampa: La Stampa, pagina 31, di Fulvia Caprara.

Giovanni Veronesi: “C’era una volta la mafia e io la racconto per la tv”

Il regista gira una serie ambientata a New York nel primo ‘900: “Sarò attento a non creare fascino su personaggi criminali”.

Finalmente, ogni mattina, ai microfoni di Non è un Paese per giovani, su Radio2, può dire tutto quello che gli passa per la testa e per un «dadaista» come lui, fervido ammiratore di Picasso e Duchamp («nel 1910 avevano già capito tutto»), il gioco del lanciare battute e poi smentire, capovolgere i punti di vista, scassare tutto e ricomporre senza regole, è il massimo che si può desiderare: «Mi sto costruendo il futuro da vecchio, la radio potrò farla anche a 70 anni, da casa mia». L’unico neo che lievemente intacca il buonumore di Giovanni Veronesi è quella frase che i fan ripetono quando lo incontrano per strada: «Mi dicono “complimenti Veronesi, per la radio, eh”». Insomma, per un regista di fama, autore di commedie di successo, la precisazione è un colpo basso. Veronesi non si offende? «No, ricordo sempre una frase di mia madre, “quello che conta è essere un buon essere umano”. Io so di esserlo, ed è meglio essere un buon essere umano che un buon regista».

Il Festival di Roma è stato inaugurato e chiuso da due commedie popolari e l’anno scorso il film d’apertura era suo, L’ultima ruota del carro. Molti critici hanno storto il naso, lei che cosa ne pensa?

«Non conosco un critico con il naso dritto. Muller ha avuto coraggio. È stato un antesignano delle commedie ai festival, mi invitò a Venezia con Manuale d’amore 1, ci pensammo su, e poi rispondemmo no grazie. Però se quella di Roma dev’essere sempre più una Festa, è giusto che il film d’apertura sia popolare, o comunque parente del cinema commerciale».

Alla radio si diverte, però il suo vero mestiere è un altro, quando torna dietro la macchina da presa?

«Fino a febbraio sono impegnato con il programma, poi inizio C’era una volta la mafia, una serie tv prodotta da Valsecchi, ambientata nella New York di primo Novecento, basata su un soggetto di Pileggi. È la storia di una famiglia italiana che, una volta arrivata oltreoceano, si spacca, metà del nucleo rimane onesto, l’altra metà finisce nel circolo di estorsioni della “black hand”. Gireremo in inglese, anzi in “broccolino”, in Canada e in Bulgaria».

È un progetto lontano dai suoi temi abituali. Che cosa la ha attratta?

«Sono un esperto di Novecento, ma non ero affatto ferrato sull’argomento Cosa Nostra. Però mi attira l’idea di fare una cosa che non sia celebrativa, che non crei aloni di fascino intorno a personaggi criminali. E poi c’è un risvolto molto attuale».

Cioè?

«In Italia oggi viviamo il problema al contrario, bisogna far capire ai ragazzi che gli italiani sono andati lì come gli albanesi vengono oggi da noi. Tanti italiani si comportarono bene, altri crearono problemi, portarono mafia e criminalità. Insomma, bisogna stare attenti a giudicare».

Ha diretto tanti attori, spesso i più bravi, chi c’è in C’era una volta la mafia?

«Non li ho ancora scelti. Comunque sono un amante degli attori, anzi, li amo al 50%, l’altro 50% li odio. Mi ha salvato fare film a episodi, ce li avevo solo 2 settimane sul set e non facevo in tempo a odiarli. Li amo quando scendono dalla roulotte alle 8 di mattina, con gli occhi che luccicano, li odio quando ci risalgono e tornano loro stessi».

Le è successo anche con De Niro?

«Con lui non poteva andare meglio, forse ha capito quella cosa, che sono meglio umanamente che come regista… siamo diventati amici, ho conosciuto tutta la sua famiglia. Oggi, se lo chiamo, mi risponde molto più velocemente di Fabio Volo, lui magari mi manda una mail dopo 3 giorni».

E con Verdone come è andata?

«Con Verdone è una goduria, sul set è una fonte di divertimento inesauribile, nella vita è serissimo e riservato. Arriva con la sua borsa piena di medicinali e si trasforma, dirigerlo è come guidare una Ferrari, sai che puoi andare al massimo».

E Riccardo Scamarcio?

«Siamo molto amici, per avere intesa basta un’occhiata».

E Sergio Castellitto?

«È un attore-regista, gli dici quello che vuoi e lui esegue perfettamente, una macchina da guerra».

E una diva come Monica Bellucci?

«Se aprisse una scuola di marketing, correrei a iscrivermi, nessun’altro sa gestirsi bene come lei. Quando la chiamai per Manuale le dissi che avevo sognato di fare l’amore con lei nel modo in cui poi l’ha fatto con Scamarcio nel film. Mi rispose “che zozzone che sei”, poi l’ha fatto, e in quel modo ho messo in scena i miei sogni erotici».