Pubblicato il 09/10/2014, 16:03 | Scritto da La Redazione

“MIXOLOGIST – LA SFIDA DEI COCKTAIL”: PARLANO I “COACH” FLAVIO ANGIOLILLO E LEONARDO LEUCI SU DMAX

“MIXOLOGIST – LA SFIDA DEI COCKTAIL”: PARLANO I “COACH” FLAVIO ANGIOLILLO E LEONARDO LEUCI SU DMAX
Da giovedì 9 ottobre alle 22.50, DMax lancia il talent italiano dedicato al mondo dei bartender: TVZOOM ha incontrato i due coach del programma, in un’intervista ad alta gradazione di alcool e informazioni.meta name=”news_keywords” content=”mixologist, dmax, flavio angiolillo, leonardo leuci“ Era ora. In un mondo di maniaci gastronomici che impone alla tv il detto “Franza […]

Da giovedì 9 ottobre alle 22.50, DMax lancia il talent italiano dedicato al mondo dei bartender: TVZOOM ha incontrato i due coach del programma, in un’intervista ad alta gradazione di alcool e informazioni.meta name=”news_keywords” content=”mixologist, dmax, flavio angiolillo, leonardo leuci

Era ora. In un mondo di maniaci gastronomici che impone alla tv il detto “Franza o Spagna purché se magna”, Mixologist-La sfida dei cocktail (prodotto da YAM112003 per Dmax, dal 9 ottobre ogni giovedì alle 22.50) suona come una benedizione. Il primo talent italiano per bartender ha delle carte da giocare: mangiare è una necessità animalesca, bere un drink di qualità è una prerogativa dell’uomo dotato di coscienza. Non la coscienza di Zeno, ma quella di Hemingway. O di Churchill. Gente che conosceva l’esperienza conviviale di un cocktail nell’ambiente giusto (si astenga chi crede che l’ambiente giusto sia la discotecaccia in cui servono tremende vodka-redbull). Ne sanno qualcosa i top bartender Flavio Angiolillo e Leonardo Leuci, coach dei concorrenti pescati nelle principali città italiane. In ogni puntata, corrispondente a uno scenario diverso, verranno selezionati 2 aspiranti, alle prese con diverse prove di abilità. Si sfideranno davanti a un giudice ospite che decreterà il vincitore di ogni episodio. Nella finalissima, i 6 migliori concorrenti si esibiranno davanti al guru della miscelazione mondiale Salvatore Calabrese, per aggiudicarsi il premio in palio: un percorso di formazione firmato Campari Academy.

Flavio Angiolillo e Leonardo Leuci, per voi la prima esperienza da coach in un talent sul mondo dei bartender. Inizia un nuovo trend simile a quello che ha consacrato gli chef?
Angiolillo: «La speranza è riuscire a sensibilizzare il pubblico a casa. Insegnare loro a riconoscere la qualità di un cocktail, capirne le modalità di creazione e la professionalità che c’è dietro».
Leuci: «Sono due mondi molto diversi. Gli chef sono assemblatori di piatti, professionisti saliti alla ribalta mediatica. Il barman parte da un presupposto diverso: il concetto di ospitalità a tutto tondo. Un buon barman deve conoscere le lingue, avere prerogative di intrattenitore nei confronti del cliente, saper creare qualcosa su misura delle esigenze del richiedente. In Italia è un mestiere poco noto, spesso sottovalutato. Dietro questo mestiere c’è una professionalità meticolosa».
E allora sottolineiamo le qualità che un buon barman deve possedere.
Angiolillo: «Voglia di studiare. Non smettere mai di informarsi e di aggiornarsi. Conoscere la storia dei drink, gli ingredienti. Sapersi rapportare con la clientela. Non essere mai troppo chiusi di carattere ma nemmeno sopra le righe o eccessivamente arroganti. Saper ascoltare».
Leuci: «Capire che lo standard di professionalità richiesto per lavorare bene è alto. Riappropriarsi di quel concetto di ospitalità tutta italiana degli anni ’60 e ’70. Al giorno d’oggi, l’Italia è rimasta indietro rispetto ad altri Paesi. Troppo spesso è stato promosso il concetto che il barman debba essere una sorta di Tom Cruise, selezionato per attirare la clientela con prerogative che non c’entrano nulla rispetto al mestiere. Ricordiamo una cosa: si può bere bene anche nel baretto sotto casa. L’importante è inculcare l’idea di come si crea qualcosa a regola d’arte, nel modo corretto».
Risulta difficile far passare questi aspetti nella dinamica televisiva?
Angiolillo: «Le prime puntate di girato sono state cruciali. Personalmente, era la prima esperienza televisiva, temevo che alcuni aspetti del mestiere, da noi dati per scontati, non apparissero chiari al pubblico. Mi sono focalizzato su questo: partire dalle cose semplici per favorire l’assimilazione del racconto agli spettatori».
Leuci: «Le dinamiche della tv sono interessanti. Ho puntato a spazzar via luoghi comuni e criticità che infestano il lavoro del barman in Italia. Cercando di mostrare al pubblico il meticoloso livello di preparazione necessario per diventare professionisti».
Parliamo dei concorrenti.
Angiolillo: «Mi sono concentrato sull’approccio umano. L’empatia è alla base per stabilire un rapporto con l’aspirante e lavorare sulle sue potenzialità».
Leuci: «Tutti i concorrenti avevano già un’infarinatura professionale o, comunque, erano appassionati dell’argomento. Come per tutto, la passione è alla base per forgiare l’imprinting professionale».
Sono un appassionato di Martini Cocktail, drink classico, essenziale, che racchiude l’essenza della professionalità applicata alla creazione.
Angiolillo: «La soggettività, il gusto del cliente, sono fondamentali. Per questo bisogna saper ascoltare. Fare le domande giuste: oliva o limone, secco o morbido, selezionare le diverse tipologie di gin o vodka…».
Leuci: «Dimenticatevi di James Bond. 007 è un personaggio di fantasia, il buon Martini ha delle regole reali che esulano dalla fantasia. L’equilibrio è fondamentale. Per me equilibrio significa parti uguali di dry francese e un classico london dry Gin. Non scordando un dash di orange bitter. Così come un ingegnere conosce le regole per costruire una casa sulle richieste del committente, allo stesso modo fa il barman».
Le prove che più vi hanno divertito, nel programma?
Angiolillo: «Quelle che stimolavano la creatività dei concorrenti. In particolare, ho trovato molto scenografica la parte sulla sperimentazione molecolare».
Leuci: «Concordo, la parte in cui i concorrenti avevano scelta libera è stata stimolante. Un mix di creatività e professionalità».
L’Italia mantiene delle specificità regionali marcate in fatto di drink?
Angiolillo: «La tradizione rimane. Padova si considera la città dello spritz. Ma anche Venezia. Firenze è la città del Negroni. Milano del Campari».
Leuci: «Tuttavia, credo si sia perso un po’ il gusto delle peculiarità territoriali. Oggi tutti i locali hanno più o meno gli stessi prodotti, siamo un po’ troppo esterofili e valorizziamo poco gli ingredienti italiani. Questo è un difetto che ho riscontrato nei concorrenti: non sapevano stupirci più di tanto con le connessioni territoriali».
Il cocktail storico che avreste voluto inventare voi.
Angiolillo: «Il mio drink della memoria è l’Americano. O il Negroni. Quelli legati al mood da aperitivo. Però mi piacerebbe essere stato l’inventore del Manhattan: è morbido, incontra il gusto di tante persone. E poi mi piace molto il whisky».
Leuci: «Dico Daiquiri. E’ semplice e afferma la storia di un Paese. Nel suo essere essenziale, è il mio drink preferito».
I trend che si stanno affermando?
Angiolillo: «Sta andando di moda il Moscow Mule, forse perché è molto estivo, ha poca personalità e abbraccia gusti trasversali. Sta tornando anche il gin tonic».
Leuci: «C’è l’egemonia dei cocktail di massa come il Mojito. Ma anche il Negroni si sta riaffermando».
In epoca di quote rosa, il mondo dei bartender è solo maschile?
Angiolillo: «Vedere una donna bartender è bellissimo. Ce ne sono tante, bravissime. Ne vedrete anche nel programma».
Leuci: «Le donne hanno una marcia in più. Il mondo dei bartender è forse ancora sessista, ma una donna dietro al bancone è un valore aggiunto: porta un gusto diverso, una sensibilità nuova. Devono essere messe nelle condizioni di affrontare questo mestiere, duro e specifico, al meglio».
Fermo restando che l’ambiente circostante gioca un ruolo decisivo.
Angiolillo: «L’accoglienza, la musica, l’atmosfera. Elementi che concorrono a creare l’esperienza sensoriale perfetta. Il drink arriva dopo. Non a caso, si vedono locali con barman bravissimi, che però restano vuoti».
Leuci: «Prima del cocktail, viene l’esperienza emozionale, il legame empatico che si crea col luogo che ti accoglie».

 

Gabriele Gambini

(Nella foto Flavio Angiolillo e Leonardo Leuci)