Pubblicato il 23/09/2014, 15:36 | Scritto da La Redazione

MARCO “BAZ” BAZZONI: “QUANDO QUALCOSA MI FA ARRABBIARE, NE PRENDO SPUNTO PER INVENTARE I PERSONAGGI MIGLIORI”

MARCO “BAZ” BAZZONI: “QUANDO QUALCOSA MI FA ARRABBIARE, NE PRENDO SPUNTO PER INVENTARE I PERSONAGGI MIGLIORI”
Il comico sarà di scena venerdì alle 21 su Comedy Central (124 Sky) con “Revolutions”, one man show in cui porterà sul palco i personaggi storici del suo repertorio, oltre a un nutrito insieme di novità, dai monologhi alle canzoni.meta name=”news_keywords” content=”marco baz bazzoni, revolutions, comedy central“ Rivoluzione! Guai a pronunciare la fatidica parola in […]

Il comico sarà di scena venerdì alle 21 su Comedy Central (124 Sky) con “Revolutions”, one man show in cui porterà sul palco i personaggi storici del suo repertorio, oltre a un nutrito insieme di novità, dai monologhi alle canzoni.meta name=”news_keywords” content=”marco baz bazzoni, revolutions, comedy central

Rivoluzione! Guai a pronunciare la fatidica parola in Italia. È un po’ come l’Araba Fenice (la creatura mitologica, non lo spettacolo con la meravigliosa Moana Pozzi). Che ci sia ciascun lo dice, dove sia…vabbè, avete capito. Marco Baz Bazzoni, le sue Revolutions, dopo averle portate con successo a teatro, le porta sul palco di Comedy Central (canale 124 Sky), venerdì 26 settembre alle 21 e domenica 28 settembre alle 14. Le vere rivoluzioni, in questo caso, sono le sfaccettature del comico sardo, volto noto di Colorado, alle prese con un one man show in cui interpreterà personaggi consolidati del suo repertorio, ma anche nuovi, suonerà e canterà.

Revolutions. Lo sai che è una parola grossa?
«Viviamo in un mondo in cui il Trota è stato ospite al Salone del Libro. Tutto è possibile».
Ecco. Che cosa sarà possibile nel tuo spettacolo?
«Dopo Sono caduto in Baz e Alice nel Paese delle meraviglie, credo che questo sia lo spettacolo che mi rappresenti al meglio, per come sono oggi. È proprio come lo volevo e io, su certi aspetti del lavoro, sono un gran ca**zzi. Ha mezzi tecnici considerevoli, la regia di Marco Beltrami, le luci di Vignarelli, la scenografa di Colorado. L’ho scritto e diretto assieme a Marzio Rossi, con la collaborazione di Lorenzo Beccati, del team di Antonio Ricci. Un one man show in cui proporrò personaggi inediti, farò monologhi, imitazioni, suonerò, canterò. Sarò costretto a farlo. Revolutions nasce per supplire a una mancanza…».
Una mancanza?
«Sì (ride, nda). Verrà raccontato come, sulle prime, io avrei dovuto mettere in scena l’ambizioso classico Riccardo III. Poi però la compagnia teatrale non si è presentata. Allora ho dovuto improvvisare. Partendo da un filo conduttore: la dittatura delle immagini nella società di oggi. La necessità di fingere, di indossare una maschera».
Svelaci qualcosa di poco noto dello spettacolo.
«Ci sarà un momento in cui racconterò la verità sui progetti discografici contemporanei. Svelerò segreti scottanti. Per esempio, Gigi D’Alessio in realtà non è napoletano, è nato al Nord ed è leghista. Oppure, il satanico Piero Pelù. Altro che cantare El Diablo! Nella vita fa il chierichetto».
La critica musicale in versione comica è uno dei tuoi cavalli di battaglia. Penso a Gianni Cyano, tuo storico personaggio.
«Gianni Cyano nasce dal mio odio per i musicisti poco dotati che salgono in cattedra e pretendono di spiegarti come va il mondo. Non li sopporto. Mi incazzo a morte quando li vedo. Dunque attingo da loro per raccontarli attraverso uno specchio deformante, ribaltando la realtà».
Fammi capire. Per il tuo repertorio attingi dalle arrabbiature?
«Anche. Certo. D’altra parte, i più riusciti momenti di commedia prendono spunto dalla tragedia. Io osservo tutto ciò che mi circonda. Poi rielaboro».
Era accaduto così anche per Baz, personaggio che più ti rappresenta.
«Baz è figlio del Maurizio Costanzo Show. Un giorno, mentre ne stavo guardando una puntata, mi sono accorto di come tutti gli ospiti seduti sul palco del Teatro Parioli, fossero comandati a bacchetta dal padrone della scena, Maurizio Costanzo. Era come se fossero artisti neutri, guidati. Così è nato Baz, l’artista neutro. Dall’improvvisazione del momento, ci abbiamo lavorato su. Impiegando tempo per rodare l’idea».
Tu sei un re dei social network. Hai festeggiato il milione di fans della tua pagina profilo di Facebook con un evento live. Ora sei arrivato a quota 2 milioni.
«Organizzerò un nuovo evento live per festeggiare. Ho sempre puntato sull’interazione con il pubblico tramite i social. Organizzavo concorsi fittizi, come i Baz Awards, premi per creativi e cretini. I migliori partecipanti, li invitavo con me sul palco».
Il web è diventato anche fucina di talenti comici emergenti.
«Vero. Ma non è detto che i comici nati sul web sappiano destreggiarsi anche in tv o a teatro. I linguaggi restano diversi. Un po’ come per gli attori di cinema e quelli teatrali. Alcuni talenti sanno fare tutto, declinando il repertorio su più fronti. Altri sono destinati a esprimersi con un solo mezzo».
Anche la tv, però, è cambiata. I contenitori di cabaret proliferano, quasi quanto i talk show politici. Il rischio appiattimento esiste?
«Esiste, eccome. Basti pensare alle reti generaliste. Zelig, col suo bacino di 60 comici. Poi Colorado, Made in Sud, Bulldozzer. Tanto per citarne alcuni. Vedi, un tempo ti esibivi con 5 minuti a Fantastico, su Rai 1, e il giorno dopo eri un dio. Oggi, no. Rischi di bruciarti, se non stai attento. La tv impone repertori brevi. Quelli che sopravvivono, sono quelli con tratti distintivi più marcati. O semplicemente sono i più bravi».
Che consiglio daresti agli esordienti?
«Di non rinunciare all’impianto classico: il laboratorio. Ognuno può partire con un proprio metodo, ma per sviluppare l’attitudine a confrontarsi col pubblico, saggiando l’efficacia della propria proposta, i laboratori restano indispensabili. Ho 35 anni, sono dell’età di mezzo. Ai ventenni, dico: aspettate a esordire in tv. Imparate prima a far ridere».
C’è una ricetta univoca, per far ridere?
«No. Ma imparare a confrontarsi col pubblico è fondamentale. Personalmente, stare sul palco mi diverte molto. Ecco, io mi diverto, col mio lavoro. Anche dinanzi ai potenziali imprevisti dei live».
Hai mai avuto dei modelli di riferimento?
«Sono un secchione. A casa ho un hard disk con le performances di tutti i comici mondiali. Nomi come George Carlin, uno dei miei preferiti di sempre. Ho iniziato come monologhista, un compito impegnativo, perché non ti fa indossare maschere. Poi ho costruito i personaggi».
Mi hai citato un esempio anglosassone. Lo stand up comedy sta tornando di moda anche da noi.
«Non è una novità, a onor del vero. Basti pensare al Beppe Grillo di una volta. O a Dario Cassini, molto bravo. La differenza tra noi e il mondo anglosassone sta nella libertà di satira: in Italia, la tv è molto più incline alla censura rispetto ad altre nazioni. E la gente ci è abituata, quasi fosse un po’ anestetizzata».
Hai qualche nuovo progetto all’orizzonte?
«Ora sono in fase di scrittura. Vediamo che succede. Magari un giorno farò la rockstar. O l’attore drammatico al cinema».
A proposito di rockstar. Se una tua passione è la musica, qualche riferimento da citare?
«Amo tutta la musica suonata bene e quella cantautorale vera. Queen, Led Zeppelin, Who. In Italia, Caparezza. Lui è la versione 2.0 di Guccini e di De Andrè».
E al cinema, come attore drammatico? Non dirmi che finirai a fare la parte del cattivo…
«Perché no? (ride, nda)».

 

Gabriele Gambini

(Nella foto Baz)