Pubblicato il 08/09/2014, 09:02 | Scritto da La Redazione

RASSEGNA STAMPA – AL JAZEERA, IL NUOVO ANTI-MURDOCH DAL QATAR ALLA CONQUISTA DELL’EUROPA

Il network arabo, che dal 2006 ha una forte sede a Londra e uffici di corrispondenza in tutto il mondo, sbaragliala concorrenza del “re” dei media sui diritti del calcio francese e ora l’attacca sul terreno di casa della Premier League.meta name=”news_keywords” content=”affari&finanza, alberto floris d’arcais, al jazeera, rupert murdoch

Rassegna stampa: Affari&Finanza, pagina 12, di Alberto Floris D’Arcais

Al Jazeera, il nuovo anti-Murdoch dal Qatar alla conquista dell’Europa

Il network arabo, che dal 2006 ha una forte sede a Londra e uffici di corrispondenza in tutto il mondo, sbaragliala concorrenza del “re” dei media sui diritti del calcio francese e ora l’attacca sul terreno di casa della Premier League.

All’inizio furono 147 milioni di dollari, un generoso “prestito” dell’emiro del Qatar che avrebbe garantito i primi cinque anni di vita. Milioni che nel corso di quasi tre decenni sono diventati miliardi (quanti con certezza nessuno lo sa), seguendo l’incredibile trasformazione del più grande fenomeno televisivo di questo nuovo secolo: Al Jazeera, parola che significa “la penisola” in arabo. I primi tempi (anche economicamente) non furono facili, come non lo furono i programmi, fin troppo spesso boicottati dai regimi arabi di allora. Ora, 18 anni dopo il via alle trasmissioni (1 novembre 1996), la televisione in lingua araba partita dal Qatar, è diventato uno dei più grandi imperi dell’informazione (e non solo) mondiale. Decine di canali visibili in ogni parte del mondo, tv che trasmettono in inglese, turco, serbo-croato, uffici in ottanta Paesi del mondo, migliaia di impiegati. E da qualche anno un network per lo sport (beIN) che sta rendendo la vita difficile anche a un gigante come Rupert Murdoch. Il tutto grazie al polmone finanziario di uno dei fondi sovrani del piccolo emirato del Golfo che ha asset per oltre 100 miliardi di dollari. Che ha finanziato via via la creazione di un mega-staff di 3000 dipendenti di cui 400 giornalisti, degli 80 uffici di corrispondenza, di una faraonica sede a Londra con 1000 persone, di infrastrutture di rete di primissimo piano. E a questo punto, almeno a giudicare da quello che si può vedere sullo schermo, anche di un apparato di pubblicità tutt’altro che indifferente. Una pubblicità internazionale, riservata a un pubblico colto, di quella che di solito viene pagata molto bene dagli inserzionisti. Con questo fondo di dotazione, Al Jazeera ha potuto dormire sonni tranquilli quando le cose non andavano bene e può guardare (senza troppi fastidi) anche a qualche piccolo problema che forse avrebbe voluto evitare. Come la causa che gli ha intentato l’ex vice-presidente degli Stati Uniti e co-fondatore di Current Tv Al Gore, che nel 2013 aveva venduto il suo canale ad Al Jazeera per la bella somma di 500 milioni di dollari. E che ora accusa senza troppi giri di parole il network del Qatar: «Usa tattiche subdole per utilizzare depositi in garanzia come riserva da cui prelevare denaro per pagare favori ai suoi distributori e renderli felici senza spendere un centesimo del proprio denaro».

In effetti, in base all’accordo di vendita, 85 milioni di dollari dovevano fungere da depositi in garanzia fino al 2 luglio 2014, quando Gore e gli altri proprietari di Current avrebbero dovuto ricevere il saldo. Che, stando alla denuncia, non avrebbero avuto. La cosa si risolverà presto, quei milioni sono pochi spiccioli se messi a confronto con le spese complessive (un miliardo di dollari solo per il canale in lingua inglese) di Al Jazeera e del suo Media Network, spese di cui si fa carico l’Emiro Hamad bin Thàmer Al Thani, che dal 2011 è anche presidente del network. Tutto ebbe inizio quasi vent’anni fa. Era il 1996 e (per ironia della sorte) furono due atti di censura a segnare la nascita della più famosa televisione satellitare araba. Il primo un misterioso black-out che fece saltare in Arabia Saudita una trasmissione della Bbc in lingua araba, proprio mentre veniva intervistato un noto dissidente. Cosa che segnò di fatto la fine della joint venture tra la Bbc e la Orbit (la compagnia di telecomunicazione dei sauditi). Il secondo episodio avvenne quando un canale francese, che aveva un prezioso slot su ArabSat, mandò in onda (per errore o per il dispetto di un tecnico, la verità non si è mai saputa) un film pornografico al posto di un programma per i bambini arabi. Uno scandalo che costò ai francesi la presenza sulla piattaforma satellitare inter-araba e aprì una porta inaspettata alla appena creata tv del Qatar: che ne prese il posto e poté iniziare a diffondere i suoi programmi a milioni di teleutenti del mondo arabo. Quella dell’Emiro del Qatar fu una mossa da grande businessman. Prese in consegna la tecnologia, la manodopera e soprattutto l’idea centrale del defunto canale Bbc-Arabic, il cui staff non solo era ben addestrato ma praticava un giornalismo di stampo anglosassone, grazie ai lunghi soggiorni a Londra e agli anni di servizio alla Bbc (la casa-madre) dei suoi reporter arabi. Per il mondo islamico l’arrivo di Al Jazeera fu un vero e proprio shock. Anche se all’inizio i suoi programmi andavano in onda solo sei ore al giorno ci fu la corsa ad abbonarsi a quel canale satellitare (in alcuni Paesi via cavo) che non iniziava i suoi telegiornali con le attività del sovrano che lo aveva finanziato e che guardava all’intero mondo arabo anche se la sua redazione si trovava a poche centinaia di metri dal palazzo reale. Fu chiaro fin dall’inizio che il nuovo canale era aperto alle voci di dissenso, in precedenza rigidamente vietate: oppositori politici dei regimi arabi, i gruppi sempre e comunque discriminati che si occupavano dei diritti civili (donne comprese), Stati come l’Iraq e la Libia e perfino gruppi dichiaratamente terroristici come al Qaeda, tutti ebbero in qualche modo diritto di parola. Per la prima volta argomenti incendiari nei paesi dell’Islam venivano messi sul tavolo e portati nelle case di tutti per una discussione senza tabù nei talk show in diretta. Dai microfoni di Al Jazeera politici, religiosi, professori, dissidenti, cittadini comuni e donne (la novità più dirompente) avevano il diritto di parola e potevano sfogarsi contro regimi e governanti oppressori. E come in qualsiasi tv occidentale ai telespettatori, alle persone comuni di ogni ceto, veniva data la parola con un filo diretto via telefono. Il resto è cosa più nota. Il successo planetario arriva dopo l’11 settembre 2001, con le guerre in Iraq e in Afghanistan, la consacrazione definitiva grazie alla primavera araba in cui Al Jazeera divenne protagonista fin dalle prime proteste in Tunisia nel dicembre 2010. Successo amplificato dai grandi investimenti per dare il via ad Al Jazeera English (con l’assunzione di noti e preparati giornalisti del mondo anglosassone) e agli altri successivi doni. Successo tra molte polemiche e la rottura brutale con Arabia Saudita, con le accuse alla tv di istigare alla violenza e con la repressione diretta nei confronti dei suoi giornalisti. Mercoledì tre settembre, per la terza volta in pochi mesi, un tribunale egiziano ha deciso l’oscuramento di al Jazeera. Motivo? Essere schierata “troppo a favore dei Fratelli Musulmani”, “incitare gli studenti alla rivolta”, “destabilizzare il governo”. Accuse pesanti, come pesanti sono state le pene (dai sette ai dieci anni di carcere) inflitti a tre giornalisti del network.