Pubblicato il 10/08/2014, 15:35 | Scritto da La Redazione

RASSEGNA STAMPA – LE SERIE TV CHE L’ITALIA (E LA RAI) NON VOGLIONO FARE

Carlo Tecce parte dal paragone delle serie tv americane con quelle di casa nostra, per arrivare a suggerire una rivoluzione all’interno di Rai 3.meta name=”news_keywords” content=”il fatto quotidiano, rai 3, serie tv, house of cards, massimo giannini, giovanni floris

Rassegna stampa: Il Fatto Quotidiano, pagina 17, di Carlo Tecce.

Le serie tv che l’Italia (e la Rai) non vogliono fare

Il Giovanni Floris in versione (tv) privata, il Massimo Giannini d’esordio o la caterva di programmi d’informazione su La7; politici, economisti, avventori e opinionisti sparsi ovunque; salotti, salottini, loggette, balconate, piazze in fermento: la prossima stagione, che comincia quando finiscono le vacanze, non sarà soltanto dibattiti, interviste e veraci o presunte inchieste. Il pubblico attende con trepidazione le serie tv, soprattutto americane, che in questi giorni sono in fase di ripresa o montaggio: poche verranno trasmesse in contemporanea, molte dovranno subire il percorso d’importazione e le vedremo in primavera. E anche questa liturgia, che può essere anticipata su Internet, sta per invecchiare. Certo, i seguaci di Don Matteo non sono una piccola comunità. Ma da Castle a Scandal, da House of Cards a Trono di Spade, l’offerta è talmente ampia e varia che, seppur spesso si tratta di nicchie (non per queste citate), il pubblico è numeroso e ghiotto per gli inserzionisti. Ormai il tema è usurato, e non vale neanche la pena, ma la domanda da porre non è mai inutile: perché in Italia non si producono serie tv di questo livello? Anche le risposte sono conosciute, e di frequenti sono scuse: le risorse sono scarse, i vincoli sono troppi, in Rai esistono due strutture (Fiction e Cinema, assurdo), Mediaset si concentra soltanto su antologie sentimentalistiche, Sky lo fa per gli eventi come Gomorra, eccetera, eccetera.

L’IMPORTANZA di poter fabbricare, includere nei palinsesti e poi vendere all’estero una propria serie tv chissà se interessa viale Mazzini e il governo che sta così ha ripetuto il sottosegretario Antonello Giacomelli al Fatto Quotidiano per presentare una riforma del servizio pubblico. Quel che manca in Rai oggi, e Giacomelli non l’ha nascosto nel colloquio, è un dirigente unico che sia responsabile (e dunque fautore) di una parte editoriale, che poi è la parte essenziale per un’azienda che vive per due-terzi di canone e gode di un mercato abbastanza protetto. Rai 3 ha reagito all’addio di Floris con l’ingresso di Giannini: sul contratto da oltre 400.000 euro s’è già detto, ma s’è detto poco sulla reale esigenza di ingaggiare l’ex vicedirettore di Repubblica e, soprattutto, di mandare in onda un Ballarò che di Ballarò avrà soltanto il nome. Per carità, potrà essere peggiore o migliore, ma Rai 3 adesso va ripensata. Non è più centrale per l’informazione, e il piano dei telegiornali del dg Luigi Gubitosi lo sancisce; non è centrale per il varietà né per le serie tv; i film sono antichi e i nuovi programmi vanno male. Superare il 5% in prima serata sembra un’impresa e, invece di sorprendere la concorrenza diretta (almeno per profilo del pubblico, dovrebbe essere La7), Rai 3 insiste con lo stesso menù da 10-15 anni. E mentre in Rai litigano su chi dovrà occupare la mega-poltrona e diventare il mega-direttore di un mega-telegiornale, Sky e Mediaset fanno accordi o trattano con le compagnie telefoniche (Telecom, ovvio) perché la prossima tv, non tra un secolo, sarà uno schermo da pc.