Pubblicato il 05/05/2014, 17:03 | Scritto da La Redazione

SAVINO ZABA: «MI PIACEREBBE CONDURRE UN GAME SHOW, MA IL SOGNO RIMANE UN VARIETÀ CLASSICO»

Il suo “Ottovolante”, trasmissione radiofonica su Rai Radio 2, è sbarcato in Libano a fianco dei soldati italiani impegnati nella missione ONU. È stato in lizza fino all’ultimo per il ruolo di conduttore di “The Voice of Italy”. TVZOOM ha intervistato Savino Zaba, che ha raccontato i suoi esordi, i momenti salienti della carriera e i progetti per il futuro.meta name=”news_keywords” content=”ottovolante missione libano, savino zaba, the voice of italy, fiorello”

Intercetto Savino Zaba (lo Zaba, come amano chiamarlo gli amici, i familiari, persino il figlio) nell’unico giorno in cui ha deciso di riposarsi nella natìa Puglia. È uno di quelli che non dormono mai. C’è da capirlo. In un mestiere come il suo, se ti siedi, perdi l’autobus. E a lui, sull’autobus dello spettacolo, anzi, sull’Ottovolante (per parafrasare il titolo della trasmissione che conduce su Rai Radio 2) piace viaggiare in prima classe. Lo pensa fin dai tempi dei suoi esordi in radio. Correva l’anno 1987, quando Zaba debuttò in una radio locale «Nello stesso giorno in cui è nato Renzo Arbore», precisa.
Ama il teatro, frequenta con successo la tv (due stagioni di UnoMattina – Storie Vere, come conduttore). Era in lizza per il ruolo di conduttore di The Voice of Italy. Per il suo futuro, si immagina alla conduzione di un game-show e sogna un varietà vecchia maniera, capace di unire canto, recitazione, interviste, ballo, «Gli ingredienti che hanno contribuito alla mia formazione».

Ottovolante, è di recente sbarcato in Libano, con un team formato, oltre che da lui, da Barbara Foria, Antonio Covatta, Stefano Vigilante e dagli Stag, per intrattenere le truppe italiane di interposizione alla maniera degli artisti americani con i marines ed è diventato Missione Ottovolante in Libano.

Lei, classe 1971, ha iniziato in radio da giovanissimo.
«Erano tempi molto diversi. In radio mi portavo i miei vinili. 33 giri, 45 giri. A quel tempo, il progetto editoriale eri tu, che conducevi il programma. Il contatto visivo con l’ascoltatore era occasionale e mirato. Qualche fan ti aspettava fuori dalla radio per darti un volto. Avevo la voce già baritonale. Quando, chi mi vedeva, scopriva che avevo solo 16 anni, rimaneva quasi deluso (ride, nda)».
Oggi i tempi sono cambiati e Ottovolante, su Rai Radio 2, ne è un esempio.
«Oggi il mezzo si è evoluto. C’è quella che viene definita “convergenza mediatica”. La radio, la tv, il web. Puoi vedere gli speaker direttamente live. Ma l’approccio è immutato. La radio è un mezzo che sa conservarsi nel tempo».
Ottovolante è andato in missione in Libano, con una squadra che ha allietato la permanenza dei soldati italiani su un fronte delicato.
«Missione Ottovolante nasce da un’idea tutta mia. Ci ho impiegato 5 mesi per realizzarla. L’idea era replicare ciò che sono abituati a fare gli artisti americani con i propri soldati al fronte. Mi sono accordato con tre bravissimi comici – Barbara Foria, Stefano Vigilante e Antonio Covatta – e con la band degli Stag. Una troupe tv e un fotoreporter ci hanno accompagnati. Abbiamo organizzato un live show davanti ai soldati. Il progetto avrà anche uno speciale televisivo e una mostra fotografica allestita al Ministero della Difesa».
Situazioni come quelle dei soldati al fronte sono oggetto, spesso, di luoghi comuni. Sfatiamone qualcuno.
«Non voglio essere retorico. Però sono rimasto colpito nel conoscere l’umanità dei ragazzi impegnati in Libano. Stanno tutto il giorno sulla BlueLine, la linea di confine stabilita dall’ONU per impedire che le due fazioni, libanesi e israeliana, combattano. Dalla loro permanenza, dipende la stabilità di quell’area e, di conseguenza, del mondo. Immagini i soldati come supereroi senza paura. Invece no. Il loro modo di fare, le loro aspirazioni, coincidono con quelle di ragazzi della loro età».
Ottovolante, in radio, arriva dopo lunghi trascorsi in altre emittenti. Un po’ come il suo curriculum tv, che parte da molto lontano.
«La mia formazione, oltre alla radio, nasce dal palco teatrale. Quella è la forma che mi dà più emozioni. Consente il contatto diretto col pubblico. La tv, però, è un mezzo potentissimo. Ricordo i primi anni a Telenorba, con la trasmissione Battiti. Una palestra pazzesca, si lavorava 365 giorni l’anno, con chicche da ricordare».
Me ne dica una.
«Quando abbiamo ospitato una giovanissima Carmen Consoli. Era la sua prima esibizione tv. Ricordo che sbagliai la pronuncia del suo cognome. Lessi Consòli».
L’esperienza di Battiti, l’ha un po’ trasferita su Music@.
«Tre anni che ricordo con piacere. Poi è arrivata l’occasione più importante, con UnoMattina. Quelle edizioni andarono benissimo, con numeri migliori delle successive».
Quest’anno è stato accreditato come potenziale conduttore di The Voice, ruolo che poi è andato a Federico Russo.
«Vero. Sono arrivato al fotofinish. Sarebbe stata una bella esperienza. Anche Federico è perfetto per il ruolo, credo sia stato scelto per intercettare un target di giovani».
La dinamica di un conduttore di talent sullo stile di The Voice, segue linee guida precise. Possono costituire un limite creativo?
«Condurre The Voice significa sapersi orientare in quelle linee. Non c’è spazio per l’improvvisazione creativa. In questo senso, forse non è il massimo dell’esperienza formativa, per un conduttore. Ma dipende anche dall’impronta che si vuol dare al programma. Per esempio, alcune versioni internazionali del format hanno conduttori anagraficamente più adulti, con un bagaglio professionale maggiore e più inclini a imporre con forza la propria personalità».
Questa edizione le piace?
«Lo show è spettacolare. Lo sto seguendo. Mi diverto a commentarlo anche sui social».
Condurre un talent rimane nelle sue ambizioni.
«Mi piacerebbe condurre un game-show, a dirla tutta. Un bel format fresco, dinamico. Ho qualche idea in mente da discutere con i miei autori. Anche se il sogno vero è un altro…».
Dica.
«Un bel varietà. Su modello classico. Per unire i vari aspetti che hanno contribuito alla mia formazione: il canto, la forma canzone, le interviste ai personaggi. Sul ballo sono meno ferrato, dovrei applicarmi di più. Ma la mia compagna è appassionata del ballo, dunque conto di migliorare (ride, nda)».
Il varietà sarebbe uno show ancora attuale?
«Certo, lo è. Dipende da come viene impostato. Mi piacciono i conduttori che sanno diversificare. Eclettici, completi. Come Walter Chiari un tempo e, oggi, come Fiorello».
A questo punto, voglio qualche nome al quale si ispira.
«Due li ho detti. Walter Chiari e Fiorello. Fiorello incarna la figura del conduttore moderno, a tutto tondo. La sua personalità è straripante. Se conducesse il Festival di Sanremo, non verrebbe ricordato come “ennesima edizione del Festival”, ma come “Il Festival di Fiorello”. E’ un catalizzatore. Poi, dico anche Corrado Mantoni e Renzo Arbore».
Per quanto riguarda il versante femminile?
«Se devo citare un mito, dico Raffaella Carrà. Poi mi è capitato di condividere il palco con donne molto brave. Laura Barriales, Rossella Brescia, Valeria Marini. Un talento che credo meriti maggior valorizzazione è quello di Miriam Leone».
Ci sono personaggi tv che raggiungono la ribalta in un attimo, altri che costruiscono la loro carriera passo dopo passo.
«Esistono programmi che ti consentono di apparire sotto le luci della ribalta prima degli altri. Poi, certo, non capita sempre che un talento venga valorizzato come merita. Per quanto riguarda me, ho iniziato la gavetta molto presto. Teatro, doppiaggio, tv, radio. Il percorso fatto fino a oggi mi soddisfa in tutto e per tutto. Molte cose stanno arrivando oggi, al momento della maturità. E va bene così. Rifarei tutto quanto ho fatto, allo stesso modo».
Il segreto per costruirsi un percorso, qual è?
«Lavorare e studiare. Anche 14, 15 ore al giorno. Non fermarsi. Se ciò che fai ti piace, perché fermarsi, del resto?».
In sincerità: la tv, è un ambiente meritocratico?
«Il merito, prima o poi, paga. Certo, esistono anche i meccanismi di segnalazione o di raccomandazione, come in qualsiasi ambiente. Ma per rimanere, talento e applicazioni sono imprescindibili».
Altrimenti si corre il rischio di andare a fare altro, nella vita. A proposito, le è mai capitato di pensare a un ipotetico piano B?
«Un giorno mi piacerebbe aprire un agriturismo. Ma non è una strada alternativa, una cosa non esclude l’altra. C’è stato un tempo in cui ho anche accarezzato l’idea di fare l’insegnante. Tuttavia conservo una foto che, in qualche modo, ha segnato il mio destino».
Una foto dell’infanzia?
«Avevo 9 anni. Feci una foto a un televisore di un amico. Di quelli ancora a tubo catodico. Poi presi una mia foto in primo piano e la incollai su quella del televisore, realizzando un improvvisato fotomontaggio. Sotto, scrissi: “RAI 1”. Il desiderio, insomma, era da sempre indirizzato lì».

 

Gabriele Gambini

(Nella foto Savino Zaba)