Pubblicato il 05/04/2014, 15:01 | Scritto da La Redazione

ANTONIO PISU: «”LOW BUDGET”, TRA SOGNO E REALTA’, RACCONTA LA PASSIONE PER IL CINEMA DI OGNI EPOCA»

TVZOOM ha intervistato uno dei protagonisti di un interessante progetto, in onda ogni sabato in prima serata su Studio Universal (pacchetto cinema Mediaset Premium): una serie tv che rielabora con toni ironici i grandi classici della cinematografia, dando vita a un racconto surreale e imprevedibile.meta name=”news_keywords” content=”low budget, studio universal, antonio pisu, piero cardano, federico tolardo, francesco la mantia

Ecco la parola magica per definire la nostra era: crisi. È associabile alla mancanza di denaro, certo. Ma non solo. Anche alla mancanza di idee vincenti e originali. E che cosa succede, quando un progetto cinematografico è dato in mano a una masnada di vitelloni, perennemente disoccupati ma appassionati della settima arte? Ce lo raccontano i protagonisti di Low Budget, serie tv nuova di zecca in 12 episodi, in onda ogni sabato in prima serata su Studio Universal.

Densa di citazioni ma non citazionista, tragicomica, surreale, mai grottesca, Low Budget è una serie che condensa la passione per il cinema a un supporto caleidoscopico di idee che ridefiniscono il cliché del sogno hollywoodiano.
I quattro protagonisti, per compiacere un produttore pronto a credere in loro, si tuffano alla spasmodica ricerca di una soluzione narrativa che li consegni alla Storia. Ma ecco che scatta un problema. Tutto ciò che pensano, involontariamente, si materializza davanti ai loro occhi, in un gioco di specchi metafisico tra sogno e realtà. L’idea dunque non progredisce, nemmeno si arresta, ma si arrotola in una sequela di situazioni ispirate ai grandi film di ogni epoca, plasmando un continuum narrativo fresco, divertente, con la più inaspettata delle conclusioni.

Diretto da Matteo Giancaspro, scritto da Antonio Pisu e Federico Tolardo, a loro volta interpreti a fianco di Piero Cardano e Francesco La Mantia, Low Budget è un prodotto inizialmente pensato per il web che dimostra come Rete e tv siano mondi ormai sovrapponibili.

Antonio Pisu, niente è più terribile della crisi di idee e di budget, per aspiranti cineasti?
«Niente è più terribile della mancanza di soluzioni alla crisi. I nostri protagonisti, però, una soluzione provano a scovarla. Utilizzano grandi citazioni cinematografiche come mezzo per risolvere situazioni altrimenti inconcludenti. E danno vita a una storia in cui sono eroi inconsapevoli».
Prima osservazione: per apprezzare appieno Low Budget bisogna essere esperti di cinema? O meglio, bisogna conoscere le citazioni all’interno del racconto?
«Niente affatto. Le citazioni sono inserite nel racconto perché ne supportano la narrazione. Non sono forzate. Hanno un senso compiuto, sia che vengano riconosciute, sia che passino inosservate. Il senso è comprensibile anche per chi è a digiuno di film. Non intende essere una parodia».
Mi faccia un esempio.
«C’è un episodio che si chiama Rapina. I protagonisti, per ragioni che scoprirete guardando la serie, decidono di assaltare una banca. All’interno della puntata, alcuni dialoghi e alcune situazioni, saranno un evidente rimando a Le Iene, di Tarantino. Ma le scene saranno originali, gli spunti, freschi. La citazione diventa leva per raccontare qualcosa di totalmente nuovo, rielaborato».
Ogni puntata racconterà un genere cinematografico preciso.
«L’horror, il genere bellico ispirato a Platoon, la commedia, il pulp. In tutto, gli episodi sono 12. I primi sei hanno una fruizione verticale, autoconclusiva. I successivi sei, uno svolgimento orizzontale, con una continuità tra una puntata e l’altra».
Divertente appare la trovata del surreale. I protagonisti immaginano il loro film ideale, e le loro idee si materializzano davvero nella vita reale, obbligandoli a lottare tra immaginazione e quotidianità.
«I protagonisti non sono mai d’accordo su nulla. Si confrontano con idee diverse, che cozzano tra loro. Da lì nascono imprevedibili spunti comici. In una puntata, dovranno compiere una missione vera e propria, quasi impossibile. Alcune situazioni sono reali. Altre no. Lo si capirà dai dialoghi, dal ritmo delle battute a cui seguono fatti».
Vivono un sogno? O, prima o poi, scopriranno che quel sogno è tangibile?
«Nel loro fluire di idee, comparirà un personaggio in carne e ossa, qualcuno che non hanno inventato loro. Lì si insinuerà un dubbio. Vedere per credere».
Ogni episodio dura 15 minuti. La soluzione di continuità, rende il progetto simile a un film vero e proprio, spezzettato.
«Il progetto è nato per il web, poi è diventato televisivo. Per questo, abbiamo pensato, durante la realizzazione, di modellare il racconto su un’unica trama che leghi gli episodi tra loro, specie dal sesto in poi».
Voi quattro arrivate dal Centro Sperimentale di Cinematografia.
«Sì, ma non siamo critici cinematografici. Siamo appassionati di cinema. In modo molto naturale, come qualunque fruitore. Dunque non aspettatevi complicate osservazioni da cinefili. La serie è divertente, soprattutto molto fruibile. Abbiamo trovato divertente rielaborare i grandi classici che hanno fatto sognare un po’ tutti, nelle varie epoche».
Il titolo la dice lunga: Low Budget. Ironizzate anche sulla situazione televisivo/cinematografica italiana?
«In un certo senso, però precisiamo un aspetto: a essere “low budget”, sono le idee dei protagonisti, in perenne ricerca di una soluzione raffazzonata. La qualità del prodotto, invece, è molto alta, il livello è buonissimo, speriamo incontri il gusto del pubblico».
Il progetto era nato per il web. La Rete è fucina di nuove idee?
«La Rete è il futuro, questo è indubbio. Con dei pro e dei contro. Il lato positivo, sta nel suo essere vetrina di talenti. Quello negativo, nel suo notevole rischio di dispersione».
Suo padre è Raffaele Pisu. Inevitabile chiederle se essere figlio d’arte ha influenzato le sue scelte di vita professionale.
«Mio padre ha vissuto il suo periodo di grande successo negli anni ’60 e ’70. Poi, negli anni ’90, con il suo ritorno, grazie a Striscia la Notizia, a fianco di Ezio Greggio. Papà si è sempre diviso tra cinema e tv. Con lui ho un ottimo rapporto, inevitabilmente ho respirato in casa una particolare atmosfera».
Niente “piano B”, dunque. Lei, nella vita, ha sempre voluto fare l’attore.
«Sempre. Non saprei fare altro. E lo dico anche a fronte degli ostacoli che la vita dell’attore comporta. Come la precarietà. Durante alcuni mesi puoi lavorare molto, in quelli successivi sei alla ricerca di nuovi contratti. Da questo punto di vista, mi salva il teatro, che mi permette di confrontarmi spesso con progetti nuovi e interessanti».

 

Gabriele Gambini
(nella foto           )