Pubblicato il 19/03/2014, 14:05 | Scritto da La Redazione

DIEGO ABATANTUONO: «”COLORADO” È UNA MACCHINA COLLAUDATA, IO TORNO ALLE ORIGINI, SENZA SNATURARNE I MECCANISMI»

L’attore torna, da venerdì 21 marzo in prima serata su Italia 1, a fare da conduttore nel laboratorio di comici da lui stesso lanciato dieci anni fa. Tra considerazioni sul cabaret e frecciate da tifoso milanista, ecco che cosa ha raccontato.meta name=”news_keywords” content=”diego abatantuono, colorado, italia 1, chiara francini

«Mio zio era solito tenere nel portafoglio una foto di Gianni Rivera e una di Padre Pio. Quando gli chiesi chiesi chi fossero, mi rispose: “Uno è un signore che fa miracoli, l’altro è un frate cappuccino…”», rompe il ghiaccio sorridendo sotto i baffi, anzi, sotto la barba da divinità dell’iconografia classica, Diego Abatantuono, e sa che se lo può permettere. Prima di tutto, perché è Diego Abatantuono, mica pizza e fichi. In secondo luogo, perché Colorado è una sua creatura che, battezzata sul nascere da alcuni come “parente povero di Zelig“, imperversa da dieci anni su Italia 1 con riscontri solidi.

Da venerdì 21 marzo in prima serata su Italia 1, inizia la quindicesima edizione di Colorado. Lei ha detto: “Zelig è Don Giovanni, Colorado è Sganarello”.
«A volte però i ruoli si possono anche cambiare. Colorado ha dimostrato, negli anni, di essersi guadagnato la posizione ottenuta in tv».
Colorado è considerato a tutti gli effetti una palestra per giovani comici. Con il suo ritorno, a fianco di Chiara Francini, il suo ruolo sarà quello di grande padre? Di traghettatore delle nuove leve?
«La carriera di un comico è lunga. Si parte da un talento di base, qualità imprescindibile. Poi, di solito, si comincia a essere popolari verso i 30 anni. Famosi, dopo i 40. Io ho avuto la fortuna, nella mia carriera di attore, di diventare famoso già a 20 anni. Così ora salgo sul palco con comici bravissimi, che hanno più o meno la mia età (ride, nda). Scherzi a parte, cercherò di inserirmi di nuovo nel dinamismo dello show, spezzando i ritmi, portando la mia cifra, accompagnato da Chiara Francini, che ha dimostrato di essere molto brava, sempre sul pezzo, oltre che esteticamente attraente. Una garanzia».
In conferenza stampa, Luca Tiraboschi ha definito Colorado un esempio di Turbocomicità.
«Questo perché la prerogativa del cabaret è avere un ritmo sostenuto. Permettendo anche al comico in difficoltà di non evidenziare i suoi limiti momentanei».
Quanto conta l’improvvisazione, in uno show di cabaret?
«Ha un suo peso specifico, a patto che ci sia un impianto ben collaudato. L’improvvisazione garantisce quel 10% in più per completare bene uno show, a fronte di un 90% di spettacolo pensato e studiato nei dettagli».
Colorado festeggia la quindicesima edizione. Una longevità che ricorda i successi di un Milan che oggi, però, non se la passa granché bene.
«Questo Milan è stato costruito sui parametri zero e a me, il termine “parametro zero”, terrorizza. Detto questo, il tifoso milanista è abituato ad avere certezze e spiegazioni chiare di determinate scelte. Quando sono stati ceduti pezzi da novanta per ripianare il bilancio, a fronte di una spiegazione circostanziata, nessuno ha avuto da ridire. Ma quando si cede Pirlo senza fornire una motivazione adeguata, quando fai scaldare Inzaghi per novanta minuti e non lo schieri, certe perplessità diventano legittime. Stessa cosa per la scelta dell’allenatore: Seedorf è frutto di un’intuizione del Presidente, ma per legittimare il suo ruolo, dovrebbe fare lo stesso percorso di Arrigo Sacchi a suo tempo. Detto questo, non sono mai stato favorevole alle contestazioni organizzate, alle forme di comunicazione sportiva fatte di slogan e basate sulla massa di persone».

 

Gabriele Gambini

(Nella foto Diego Abatantuono)