Pubblicato il 13/03/2014, 18:03 | Scritto da La Redazione

GIUSEPPE ZENO: «IL MIO ISPETTORE BENEVENTO CONTRO LA ‘NDRANGHETA PER SENSO DELLO STATO E PER UN CONTO APERTO»


TVZOOM ha incontrato il protagonista maschile della fiction “Le mani dentro la città”, in onda domani in prima serata su Canale 5. Tra aneddoti, considerazioni e auspici per il futuro, ecco che cosa ci ha raccontato.meta name=”news_keywords” content=”<giuseppe zeno, simona cavallari, le mani dentro la città, canale 5>”

«L’ispettore Benevento, il mio personaggio in Le mani dentro la città, è consapevole che certi valori non sono in vendita, e decide di affrontare l’insidia della ‘ndrangheta anche per via di un conto aperto con un membro della famiglia Marruso», dice Giuseppe Zeno, protagonista a fianco di Simona Cavallari della crime fiction in onda domani sera su Canale 5.
«Benevento agisce secondo coscienza», sottolinea Zeno.
Per forza. Con un cognome così, è facile sottolinearlo. Quando si dice la coscienza di Zeno.

Giuseppe, da gangster ne Il clan dei camorristi a sbirro integerrimo in Le mani dentro la cittàCome ci si trova a passare dall’altra parte della barricata?

«Beh, fa parte del mestiere di attore. In passato ho interpretato il politico, il malavitoso, tanti altri ruoli. Quel che conta, è la coscienza che presiede il processo creativo. L’approccio è sempre lo stesso, declinato diversamente a seconda delle situazioni. Però, sai che ti dico?».
Dica.
«La caratteristica di stupirsi per i ruoli di un attore è tipicamente italiana. In America non ci si pongono interrogativi di questo tipo. Tanti attori interpretano parti differenti in contesti differenti, dal cinema alle serie tv, scardinando con facilità gli stereotipi».
Anche questa fiction potrebbe basarsi sullo stereotipo del crime movie. Ma lo scardina raccontando fatti ispirati alla cronaca recente.
«Credo sia importante, il messaggio dato dalla fiction, forte di una sceneggiatura articolata. Qui ci si occupa della ‘ndrangheta, non di camorra o di cosa nostra. In un tessuto sociale del nord. Personalmente, sono nato a Napoli ma trapiantato in un piccolo paese della Calabria. Certe dinamiche, le ho conosciute da vicino. Ero piccolo, vedevo le azioni di determinati soggetti ben noti alla comunità, chiedendomi: “Ma se tutti sanno come vivono questi, perché nessuno fa nulla?”. In questo senso, ho vissuto il mio ruolo con una responsabilità doppia».
Qual è il punto di forza della fiction?
«Non si accontenta. E offre al pubblico, oltre a valido entertainment, spunti di riflessione sulla contemporaneità. In modo lucido».
L’ispettore Michele Benevento conosce bene il nemico che sta andando a affrontare.
«Benevento è un ispettore di polizia che agisce nella periferia milanese. Si trova a operare in un tessuto sociale complesso, molto diverso da quello in cui siamo abituati a veder sguazzare le organizzazioni mafiose nei classici gangsta movie. Qui siamo nel nord produttivo, dove la ‘ndrangheta cerca di inflitrarsi seguendo la pista del denaro, della droga, degli appalti. E lo fa costruendosi un’aura di apparente rispettabilità».
Il suo ispettore agirà per senso delle istituzioni, ma anche per regolare un conto personale.
«Con il clan malavitoso dei Marruso ha un conto aperto personale. Qualcosa che riguarda il suo passato».
Nella fiction, non manca l’elemento action.
«Ho quasi sempre evitato le controfigure. Siamo stati istruiti su come girare le scene d’azione e ci abbiamo provato. Se mi vedete saltare da un palazzo all’altro, potete credere che sia stato abbastanza pazzo da averlo fatto in prima persona».
Una curiosità di ordine geografico. Lei è nato a Napoli, trapiantato in Calabria. Ora vive a Roma. Questa fiction è ambientata a Milano e spesso interpreta ruoli dalla connotazione fortemente territoriale…
«Mi stai chiedendo se sono in grado di recitare utilizzando diversi accenti territoriali? Mettimi alla prova. Parliamo con l’accento che vuoi. Milanese. Emiliano. Romano. Campano (nel frattempo li imita tutti, nda). Più di dieci anni di duro studio e di recitazione, sono serviti a qualcosa».

 

Gabriele Gambini

(Nella foto Giuseppe Zeno)