Pubblicato il 26/02/2014, 19:05 | Scritto da La Redazione

STEFANO CAPPELLINI: «LE OPERE, LE CURIOSITÀ, I TRATTI DISTINTIVI: VI RACCONTO LE GRANDI ICONE DELLA CULTURA ITALIANA»

Il giornalista ha raccontato a TVZOOM l’itinerario di “Icone”, format targato Stand By Me in onda dal 27 febbraio alle 22.10 su Rai 5, che si propone di analizzare i profili di grandi personaggi della cultura italiana del novecento attraverso filmati e documentazioni inedite.meta name=”news_keywords” content=”icone, stefano cappellini, carmelo bene, luciano pavarotti, andrea camilleri, alberto arbasino, rai5

Pensi a Carmelo Bene e non puoi evitare di soffermarti sul suo essere Carmelo Bene sempre e comunque, prescindendo dal contesto e dal contorno, sia esso un palco teatrale, sia una trasmissione tv trash. È stato un’icona e le icone portano con sé sempre un bagaglio di peculiarità private nel pubblico e pubbliche nel privato.
Resistono al tempo perché i fan ne possano possedere l’essenza, come un’abile moglie fedifraga possiede l’essenza del marito ignaro, nonostante o grazie a un tradimento perpetrato a suo discapito. Con la differenza che un’icona non ti tradisce mai.
«Bene è l’archetipo dell’icona, un personaggio polivalente, di alto profilo culturale, che non ha mai avuto paura di mischiarsi al “pop”», dice Stefano Cappellini, giornalista e autore ai blocchi di partenza col format Icone, prodotto da Stand by me, in onda dal 27 febbraio alle 22.10 su Rai5.
Grandi nomi della cultura del novecento, da Claudio Abbado a Riccardo Muti, da Umberto Eco a Alberto Arbasino, da Luca Ronconi a Giorgio Strehler, scandagliati (due per ogni puntata) nel loro armamentario universale: la gestualità, gli aspetti tecnici, il privato, le interviste, le apparizioni tv. Un filtro chiaroscuro per un itinerario sentimentale e analitico.

Stefano, ogni grande icona porta con sé un insieme di tratti distintivi che la rendono famosa nel mondo. Esistono delle caratteristiche ricorrenti che rendono un personaggio pubblico un’icona capace di resistere al tempo?
«Non c’è una ricetta universale. Anzi, se si vuole trovare una morale nelle storie che raccontiamo, sta proprio nell’unicità di ciascuna storia. Si va dall’irrequietezza artistica di Carmelo Bene alla metodicità di Giulio Einaudi o al rigore tecnico di Camilleri, che scrive i suoi romanzi con un canovaccio definito, lavorando quotidianamente come un artigiano».
Icone presenterà una carrellata di personaggi, divisi per coppie, lungo un corso di dieci puntate. Qualche personaggio l’ha colpita più degli altri?
«Ribadisco la mia simpatia per Carmelo Bene. Un personaggio straordinario, polivalente a tutto tondo. Lo racconteremo grazie a spunti particolari e interessanti. Per esempio, non tutti ricordano un momento spassosissimo, tratto da una sua partecipazione al Processo di Biscardi. Vederlo calato in quella situazione provoca un effetto straniante che aiuta a capire come, con lui, il contesto non fosse importante. Il contesto era lui, sia su un palco teatrale, sia nel bar sport».
Non si corre il rischio di un’eccessiva celebrazione dei personaggi?
«Niente affatto. Abbiamo evitato di creare dei santini ad hoc. Ci saranno molti chiaroscuri, sarà evidenziato il parere dei detrattori. Per esempio, nella puntata inaugurale, parleremo di Pavarotti, uno degli italiani più popolari al mondo, al quale, durante la sua carriera, sono giunte anche parecchie critiche sul piano tecnico. Specie dopo la sua svolta musicale “pop”. Oppure, penso a Franco Zeffirelli, regista di grande fama, riconoscibile per innumerevoli tratti distintivi, ma da molti non considerato come il più grande regista italiano».
Ogni puntata prevede una coppia di icone. Con che criterio sono state abbinate?
«Ogni accoppiamento non è casuale. Per esempio, una puntata racconterà la parabola di scrittori come Claudio Magris e Andrea Camilleri. Autori magari diversi sul piano tecnico, ma accomunati da una scrittura territoriale, intrisa di connotazioni geografiche».
Anche il privato di ciascun personaggio, in positivo e in negativo, concorre a caratterizzarne la popolarità.
«Il modo di gestire la comunicazione, di vestirsi, di parlare. Tutto concorre a forgiare una personalità definita. Un artista come Pavarotti sapeva bene come elaborare le proprie scelte in quest’ottica».
Nella carrellata di personaggi raccontati, non vedo nomi di politici.
«Vero, non ci sono politici. Una scelta in linea col profilo editoriale della rete, che privilegia un taglio culturale molto marcato. Ciò non significa che, in future edizioni, non si possano prendere in considerazione scelte diverse».
Ma io voglio fare l’avvocato del diavolo. In un periodo di sovresposizione mediatica della politica, oggetto di spettacolarizzazione televisiva anche grazie alla deriva pop dei talk show, c’è qualcuno che, in positivo e in negativo, sta catalizzando l’attenzione più di altri?
«Troppo facile, ora come ora. Viene spontaneo dire Renzi per ragioni di contingenza. Senza dare giudizi di merito, sembra possedere i connotati per porsi al centro dell’attenzione, come era capitato a leader nazionali come Berlusconi, D’Alema, Craxi. Personaggi carismatici, dal forte impatto comunicativo».
I personaggi raccontati appartengono, quasi tutti, al Novecento. Nell’era 2.0, con internet e i nuovi media, cambiano i meccanismi di creazione delle icone. Con rischi maggiori di dispersione, figli della voracità dei social network o di youtube e difficoltà di consolidamento.
«Sono d’accordo. Già ora, il rischio di dispersione è assai alto. Ci sono personaggi divenuti popolari senza sfruttare la leva dei teatri o degli studi televisivi. Credo che i due canali mediatici, la Rete e l’impianto tradizionale, siano destinati a coesistere per lungo tempo. Fermo restando che oggi c’è una facilità maggiore di accesso alla comunicazione. Il contraltare, è che tutto si frulla più rapidamente, con rischi conseguenti evidenti».
Confessi: c’è qualche personaggio che avrebbe voluto inserire in questa edizione e che, per ragioni di spazio, non ha trovato posto?
«Mi sarebbe piaciuto uno speciale su Raffaella Carrà, una vera e propria icona pop».
Soprattutto perché, a voler essere rompiscatole, questa edizione presenta nomi prevalentemente maschili.
«Vero, non abbiamo rispettato le quote rosa. Lo riconosco e mi autodenuncio. Ci siamo ritrovati ad avere più uomini che donne, in questa edizione. Cercare di pareggiare il conto a tutti i costi sarebbe risultato forzato. Ma, ribadisco, nelle prossime edizioni non è escluso che si possano compiere scelte differenti».

 

Gabriele Gambini

(Nella foto Stefano Cappellini)