Pubblicato il 25/01/2014, 18:03 | Scritto da La Redazione

VANESSA GRAVINA: «”MADRE, AIUTAMI”, UNA FICTION CHE SCAVA NEL PROFONDO DELLE COSE»

TVZOOM ha incontrato la popolare attrice che nella fiction con Virna Lisi, in onda su Rai Uno, sarà Lucia Cimeca, magistrato impegnato in una difficile indagine a fianco della protagonista.meta name=”news_keywords” content=”<vanessa gravina, madre aiutami, lucia cimeca, rai uno>”

Fin dai suoi esordi al cinema, mi sono innamorato degli occhi di Vanessa Gravina tante di quelle volte, che parlare con lei dal vivo equivale a fare tombola.
«Colgo un accento milanese, nelle tue parole…», mi dice, affabile (anche se provo a mascherarmi, la parlata di chi vive all’ombra della Madonnina viene individuata subito).

«Ho tanti ricordi di Milano, è la città dove sono nata e cresciuta, dove ho iniziato a lavorare. Porta Ticinese, Corso Genova. Milano rimane nel cuore», prosegue Vanessa.
Oggi però lei vive a Roma.
«Roma l’ho scelta perché non lascia il tempo alla depressione di prendere il sopravvento (ride, nda). Milano l’ho scoperta appieno facendo quasi la turista. A Milano la vita costa più cara, tranne che nell’acquisto delle case. Gli immobili, a Roma, sono carissimi, quasi a livello di Londra».
Lei sa che sia a Roma, sia a Milano, in molti la guarderanno su Rai1 nella fiction Madre, Aiutami, con Virna Lisi? Prodotto che segna il suo ritorno in televisione.
«È un prodotto molto bello. Tratta argomenti densi di positività. Una galleria di personaggi umani, analizzati nelle loro sfaccettature. Il merito del regista Gianni Lepre è aver tirato fuori l’essenza umana di protagonisti che altrimenti sarebbero stati meri stereotipi: la suora buona, il magistrato, l’ex pugile finito in un brutto giro. Si riesce ad andare oltre, mostrando il volto umano degli eroi in campo».
Potremmo definirla una ficton…
«Una fiction iconoclasta. Ecco il termine giusto».
In cui lei farà la parte di un magistrato, Lucia Cimeca.
«Devo telefonare a un amico magistrato che mi ha consigliata, dandomi le dritte su come interpretare al meglio il ruolo sul set».
Come l’ha caratterizzata, la sua donna-magistrato?
«È una donna normale. Una donna perbene, a contatto con la quotidianità. È madre di due figli, vive una situazione familiare particolare. Si mette a indagare sull’attentato terroristico avvenuto nella missione in cui ha vissuto suor Germana perché vuole far luce sull’accaduto per amore di verità. Scoperchierà parecchie pentole. Scoprirà il male, quello con la “m” maiuscola, che si annida nell’ordinario della vita di tutti i giorni».
Ricordo la sua parte nella fiction Sospetti, andata in onda qualche anno fa. Anche in quel caso, il suo ruolo era quello di un magistrato.
«Era un ruolo diverso. In quel caso, si trattava di una donna con un’aura sinistra, che assecondava un meccanismo losco per salvare suo figlio. Lucia Cimeca è un altro tipo di personaggio. Una donna che vive le sue fragilità facendole convivere col suo mestiere e il suo senso del dovere».
Sa a che cosa sto pensando? A una delle fiction in cui lei ha esordito. Don Tonino, sulle allora reti Fininvest. Con Gigi e Andrea. Poi le dico perché mi è venuto in mente.
«Quelli sono ricordi tenerissimi. Girammo a Milano, in quella che poi sarebbe divenuta la sede dove è stato girato Vivere. Gigi e Andrea erano al top del successo, trattavano i loro contratti direttamente con Berlusconi. Era davvero un’altra epoca».
Il modo di produrre le fiction è cambiato, da allora?
«Sono cambiate molte cose. La politica è entrata nel sistema in maniera pesante. Oggi il potere è gestito da un’oligarchia che compie scelte senza considerare gli artisti. Un tempo c’era più rigore in ciascun settore. Ognuno faceva il suo mestiere senza interferenze. Girava più liquidità, c’erano maggiori opportunità professionali. Oggi, tra crisi e tagli alla cultura, viene a mancare una forza occupazionale significativa. Ma, beninteso, i prodotti buoni e i prodotti scadenti ci sono oggi così come c’erano allora».
Ho pensato a Don Tonino perché trattava, sotto forma di commedia, la figura del sacerdote. Un po’ come accade oggi. C’è Don Matteo, c’è la suora di Elena Sofia Ricci. C’è il gotico paranormale del Tredicesimo Apostolo. Adesso c’è la suora Virna Lisi in Madre, Aiutami.
«Al giorno d’oggi c’è grande bisogno di credere in qualcosa. Di avere riferimenti certi, che esulino e nel contempo accompagnino il quotidiano. La gente tende a rifugiarsi nella spiritualità e nella commedia. Di recente ho portato a teatro A piedi nudi nel parco. È stato un successo, il pubblico rideva in modo liberatorio, rivedendo sé stesso in situazioni grottesche. Ecco. Commedia e spiritualità».
Quindi c’è bisogno di fiction consolatorie? Madre, aiutami lo è?
«Più che consolatoria, Madre, aiutami tratta in maniera approfondità la materia umana. Gianni Lepre ha tentato di non far rimanere nulla in superficie. Questo diventa un espediente per veicolare dei messaggi importanti, non solo in senso cattolico, intendiamoci, soprattutto in senso laico. La presenza di sacerdoti come protagonisti non intende imporre la chiesa come arbitro delle situazioni. E’ un modo per veicolare un messaggio. Dando riferimenti, affrontando il tema della ricerca spirituale in senso non bieco e utilitaristico».
Come definirebbe il personaggio di Virna Lisi?
«Virna Lisi stessa ha trovato la definizione giusta: “Una sorta di Papa Francesco al femminile». Soprattutto, una donna vera, che ha vissuto nel mondo e lo ha conosciuto. E ha compiuto la sua scelta di farsi suora con consapevolezza».
A proposito di scelte. Parliamo un po’ di lei. Il suo ritorno alla fiction è un nuovo tassello su una carriera ricca di esperienze. Ripensa ogni tanto alle scelte fatte nel corso degli anni?
«Nella prossima vita ho deciso che sarò una veterinaria a Milano. Avrò il mio studio in zona Porta Ticinese, un’area che mi piace perché preferisco i bei quartieri un po’ defilati dal centro, che trovo troppo claustrofobico…(ride, nda)».
E in questa vita?
«In questa vita rifarei le stesse scelte. Forse con un po’ meno di impulsività. Ma se sono ciò che sono oggi, lo devo proprio a quelle scelte. Dunque va bene così. Mi sento libera, non condizionata e non condizionante. Essere battitori liberi, non appartenenti a clan particolari, comporta un prezzo. Ma dà molte soddisfazioni».
Un tempo si faceva condizionare?
«A 20 anni ero ostaggio della vita. Vivevo una situazione affettiva complicata. Ero vacillante, spesso dipendente dai giudizi esterni. Oggi è diverso. Sono davanti a un nuovo punto di partenza».
Professionalmente parlando, che direzione può intraprendere, da questo punto di partenza?
«Ci sono tanti auspici. Vorrei che questo ritorno in tv mi desse la possiblità di interpretare nuovi ruoli significativi, funzionali a un progetto narrativo ampio e coerente. Quando si sono presentate opportunità forti, con ruoli incisivi e popolari, ho portato a casa ottimi riscontri. Di questo ne vado fiera. Però, potendo scegliere…».
Potendo scegliere?
«Nella vita di tutti i giorni, sono totalmente autoironica, pure troppo. Mi piace demolirmi con l’autoironia. A volte mi dicono che me la tiro troppo poco. Ecco, mi piacerebbe cimentarmi nella commedia, come spesso ho fatto a teatro».
Le piace la tv odierna?
«Mi capita di guardarla, trovo alcune cose qualitative, altre meno».
Le nuove dimensioni dei format? Penso ai talent, per esempio.
«Non sono contraria a forme nuove per scoprire talenti. Mi fa però un po’ paura che ci sia qualcuno, due o tre persone al massimo, deputato a decidere che cosa tu debba diventare. Il rischio è fabbricare delle illusioni. Ma, del resto, quello è il banco della vita. L’essenziale è possedere davvero un talento specifico, non cercare solo la fama a tutti i costi. Si può vivere felici anche senza essere famosi. Soprattutto al giorno d’oggi, dove in tanti vogliono diventare popolari e poi, quando cerchi un idraulico o un elettricista, non lo trovi mai…».

Concordo appieno. E si tratta di un problema diffuso sia a Milano, sia a Roma.

 

Gabriele Gambini

(Nella foto Vanessa Gravina)