Pubblicato il 16/01/2014, 17:05 | Scritto da La Redazione

RENATO RAIMO: «”DON MATTEO”, UN’ESPERIENZA EMOZIONANTE, MA QUESTA VOLTA NON SARÒ UN BASTARDO»

A colloquio con l’attore pisano che in “Centovetrine” interpreta il ruolo del losco Mauro Zanasi: la nuova esperienza a fianco di Terence Hill, le riflessioni sugli sviluppi di carriera, gli auspici per il futuro.meta name=”news_keywords” content=”<renato raimo, don matteo 9, terence hill, mauro zanasi, centovetrine>”

Ce lo ricordiamo in Centovetrine nel ruolo di Mauro Zanasi, elegante incantatore di serpenti capace di distribuire sorrisi ammalianti e coltellate nella schiena come un cattivo delle fiabe distribuirebbe caramelle avvelenate ai bambini.
Nella vita, però, l’attore pisano Renato Raimo, non dispensa caramelle. Pillole invece sì. Di saggezza, di emozione, di vita vissuta sul set, nel susseguirsi di istantanee che plasmano ai suoi personaggi.
E, all’occorrenza, anche pillole in senso letterale: vanta una laurea in chimica farmaceutica e alla carriera artistica ha sempre affiancato quella borghese di un mestiere a contatto col quotidiano.

La sua partecipazione a Don Matteo 9 segna un suo ritorno sul set di una fiction.
«In realtà non ne sono stato mai lontanissimo, se includiamo la partecipazione alla serie televisiva Tutto davanti a noi per la TV polacca, girata tra Milano, Varsavia e Cracovia proprio tra le due stagioni di Centovetrine a cui ho preso parte. Per un attore l’essenziale è fare cose buone, non importa se in Italia o all’estero. Anzi, è un’esperienza che spero si ripeta presto, magari in Francia. Se ci riferiamo alla fiction italiana, la mia ultima presenza è stata ne Il Commissario Manara 2, nel 2011».
Ora è tornato nel cast di Don Matteo.
«Don Matteo 9 segna un mio ritorno in Rai. A Don Matteo sono particolarmente legato, vuoi per essere stato già nella quinta stagione, vuoi perché lavorare con Terence Hill ha sempre un significato particolare che va oltre il lavoro. Per il ruolo ti posso dire solo che questa volta non sarò un bastardo!».
Lei è un volto storico di Centovetrine. Ma ha anche partecipato a Un posto al sole d’estate e a La Squadra, altri due esempi di lunga serialità. Qual è il segreto per rendere al meglio con i ritmi frenetici di quel tipo di produzioni?
«Ero anche in Sotto Casa, una serie basata su un format tedesco andato in onda su RaiUno nel 2006. Le lunghe serialità sono una vera scuola per un attore. Si gira in condizioni di tempi strettissimi, con un numero di scene a volte impensabile da sostenere. Bisogna avere le idee chiare sul personaggio e mantenere la credibilità dello stesso sul lungo periodo. Una buona sceneggiatura è uno dei principali ingredienti. Chi snobba questo tipo di esperienza perde una grande opportunità di crescita professionale. Certo, se c’è il clima giusto tra tecnici, registi e attori, il lavoro è già fatto a metà. Bisogna lavorare per la squadra, non per sé stessi».
Il ricordo più bello legato al suo personaggio di Centovetrine.
«Ne ho prese tante, cazzotti, spinte, offese. I miei vestiti andavano tutti stirati alla fine di ogni scena.Il mio Zanasi è un ottimo incassatore con la faccia da schiaffi, quello che a volte serve per superare gli ostacoli della vita. Io poi, che ho la faccia da bravo ragazzo, (almeno, così dicono), ho avuto il privilegio di godere per le mie storie di bellissime ambientazioni scenografiche. Mi sono proprio divertito. Mi manca un po’!».
Quali sono i tratti distintivi che rendono Mauro Zanasi un cattivo affascinante?
«Mauro Zanasi è un cinico affabulante e affabulatore. Uomo di loschi affari, elegante nei modi, che alla fine si imbatte sempre in donne affascinanti e intelligenti. Da qui nasce il suo desiderio di sfida. Tirar fuori dalle sue vittime un lato oscuro in continua contrapposizione con il bene. Inizia a tessere le sue trame da questi presupposti.
Non è il solito “cattivo”, è il bastardo raffinato che molte donne almeno per una volta vorrebbero possedere. Coerente col suo stile, finisce per mettere in evidenza la fragilità dell’essere umano. Alla fine è sempre costretto a scappare, ma porta con sé pezzi delle sue vittime. In senso figurato, chiaramente».

C’è qualche cosa di lui che le appartiente?
«In comune con me? Poco o niente, direi! Solo la sua coerenza, anche se in ambiti di vita completamente diversi. La capacità di non abbattersi e di rialzarsi più forte di prima dopo una caduta. Sì, questo, di Zanasi, mi appartiene».
C’è stato un momento in cui ha deciso che avrebbe fatto l’attore?
«Avevo 9 anni e guardavo il Pinocchio di Comencini. Quel Pinocchio, ha mosso in me qualcosa di importante. Ero solo un ragazzino. A scuola interpretavo, nei saggi di recitazione, più personaggi rispetto ai miei compagni. Il maestro si era accorto che forse con me le cose gli venivano più facili. Poi mi sono ritrovato a fare la comparsa, a 18 anni, in Amici miei atto II nella indimenticabile sequenza della Torre di Pisa che sta per cadere. Ho respirato l’aria di quel cinema, ho sentito il maestro Monicelli dirigere con forza i vari Tognazzi, Celi, Moschin… mostri sacri di quel tempo».
Da lì ha acquisito consapevolezza?
«Una cosa è certa, io ho preso consapevolezza di tutto ciò con il tempo, facendo una lunga gavetta nelle piazze della mia toscana, in giro per teatri con la mia compagnia di allora. Ecco, consapevolezza di essere e non di fare, l’attore».
Tornando indietro, rifarebbe tutte le scelte di carriera fatte fino a oggi?
«Certo, anche perché la mia scelta di essere attore è stata condizionata da un aspetto del mio carattere che mi vuole sì sognatore, ma concreto. La scommessa è stata quella di intraprendere un percorso artistico senza perdere di vista la concretezza di una laurea in chimica farmaceutica e una successiva specializzazione in medicina naturale. Da sempre coltivo entrambe, ma questa è storia conosciuta al mio pubblico. Ognuno ha il suo percorso. Il mio è stato quello dell’esperienza, scalino dopo scalino. Sono cresciuto, sto crescendo e, se mi guardo indietro, sono fiero di me».
Un auspicio per il futuro. Bacchetta magica alla mano, quale ruolo le piacerebbe interpretare, tra cinema, tivù e teatro?
«Non c’è un personaggio specifico, sicuramente storie belle. A teatro lo sto facendo, portando in scena la vita di uno degli inventori più grandi del 900, Corradino d’Ascanio. Dalla sua matita è nata la Vespa e non solo. Sto lavorando per portare questa storia all’estero sulle tracce di quell’inossidabile mito italiano che è la Vespa. Ci riuscirò! Al cinema sto aspettando l’uscita nelle sale del film L’aquilone di Claudio sul tema della atassia, una malattia neuro genetica considerata “rara”, una storia “d’amore” con un bellissimo cast. Ma spero anche di mostrare la mia vena brillante magari in una riscoperta commedia all’italiana con la “C” maiuscola. Quanto alla televisione…un bel poliziesco tutto azione!».

 

Gabriele Gambini

(Nella foto Renato Raimo)