Pubblicato il 11/12/2013, 16:32 | Scritto da La Redazione

“MISSION”: IN ATTESA DELLA SECONDA PUNTATA ECCO L’ANALISI DI MARIO MAFFUCCI

Il nostro editorialista, prima dell’emissione della seconda puntata su Rai1 domani sera alle 21, fa un’analisi attenta sui difetti editoriali della trasmissione. E domani la seconda puntata da non perdere, su come Rai1 avrebbe dovuto supportare il programma.

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Il direttore di Rai1, Giancarlo Leone, fa bene a difendere, non tanto i due milioni di spettatori che hanno seguito Mission, quanto la scelta editoriale: far luce su un mondo, quello degli aiuti umanitari, che l’opinione pubblica internazionale (ma anche quella italiana) vorrebbe che fosse invisibile, cioè amerebbe in sostanza dimenticare. Alle Nazioni Unite è stato dato il compito di prestare un servizio d’assistenza, praticamente impossibile (per la dimensione planetaria che dovrebbe avere), ma utile per mettere in sordina il senso di colpa e l’ipocrisia delle Grandi Potenze, che hanno una responsabilità in più nel reggere gli equilibri del mondo; per rispondere anche alle drammatiche follie tribali che incendiano 65 aree del nostro pianeta, dove fanno affari d’oro i fabbricanti e i mercanti d’armi.

Decisione insolita quella di Leone, quasi innaturale per una rete che, per vocazione, è orientata in prima serata verso la fiction, l’intrattenimento e lo spettacolo e non certo verso l’approfondimento di temi cruciali del nostro tempo. Ciò nonostante, di fronte a una scelta contro corrente, la critica televisiva, qualche osservatore politico e l’arcipelago di Ong, hanno grossomodo commentato che «Mission è un marchettone natalizio, che usa strumentalmente il campo profughi come sfondo scenografico e come contenitore dal quale estrarre con troppa facilità storie a forte intensità drammatica».

Personalmente ho seguito il programma con interesse; Mission ha toccato sicuramente alcune mie sensibilità, ma nello stesso tempo mi ha permesso di intuire quelli che reputo i limiti di comunicazione e le ambiguità della proposta. C’è una prima questione di fondo, che non è se il risultato d’ascolto di 2 milioni di spettatori è o non è un obiettivo raggiunto, o se il costo del prodotto di 700 mila euro a puntata (per 2 puntate), sia più o meno congruo, ma prima di tutto questo c’è da rispondere alla domanda se Rai1 è oggi credibile quando propone un programma come Mission, che vira completamente dall’abituale rotta di programmazione, orientata a mantenere la leadership nell’ascolto del sistema televisivo generalista. Si vuol sostenere che Mission è fuori posto nell’offerta di Rai1? Sicuramente sì, ma ciò non toglie che possa anche occasionalmente farne parte.

Si è del parere in questo caso che un cambiamento di linea, a dir poco traumatico, vada preparato nell’aspettativa del pubblico, a cominciare dal meccanismo di partecipazione attraverso il telefono, che non può essere acceso nello stesso periodo nel quale è in primo piano sulle tre reti la raccolta fondi per Telethon e Papa Francesco lancia il grande progetto di Caritas («C’è un miliardo di poveri ai quali bisogna dare una risposta…»). Mission come proposta tv ha un primo problema da risolvere, proporsi come straordinario evento diverso da tutti gli altri. Quali sono le sue caratteristiche? Quindi o si fa vedere la brutalità drammatica delle guerre locali (che azzera e violenta il diritto a vivere una vita normale di bambini, donne, uomini e vecchi); o si spiegano sulla pelle dei derelitti gli scandalosi affari d’oro delle industrie e dei mercanti delle armi e le spietate logiche di potere delle élite che governano i Paesi in conflitto, oppure i personaggi del campo profughi possono sembrare gli sfocati sopravvissuti di una catastrofe naturale. Non è così: la tragedia ha dimensioni vaste, le responsabilità sono tremende, il dolore e la sofferenza sono senza speranza. Questi temi (diritti umani ed etica, geopolitica, macroeconomia e politica internazionale) esigono testimoni in video molto diversi da quelli che abbiamo visto, capaci di consegnare «pillole» di conoscenza a un pubblico sprovveduto.

Diciamolo chiaramente: il tema piomba sul pubblico di Rai1 a freddo e purtroppo con un linguaggio stereotipato da parte dei conduttori. Abbiamo visto il Sud Africa vivere il più grande lutto della sua e della nostra storia, cantando e ballando. Tradizioni culturali diverse, è vero, ma per dire che il nostro conduttore può attrarre l’interesse degli spettatori su un tema nobile e drammatico con più naturalezza e spontaneità, con la capacità di essere tranquillo e sereno di fronte a un tema impegnativo. Invece abbiamo visto facce stereotipate da «argomento serio», che è quanto di più scostante si possa proporre nel tentativo di coinvolgere il pubblico in un’informazione che ignora completamente. Ha saputo poco di Afghanistan e Iraq. Della Siria non ne sa nulla, figuriamoci della guerra in Mali. Domani, dopo la visione della seconda puntata, analizzeremo un altro aspetto deficitario in Mission: la sinergia di rete a un evento televisivo così fuori dagli schemi.

 

TITOLO

MISSION

REGIA

CELESTE LAUDISIO

CAST

ALBANO INSIEME ALLE FIGLIE CRISTEL E ROMINA JR., FRANCESCO PANNOFINO E LA GIORNALISTA CANDIDA MORVILLO – EMANUELE FILIBERTO E PAOLA BARALE, CESARE BOCCI E LORENA BIANCHETTI, MICHELE CUCUZZA E BARBARA DE ROSSI

AUTORI

ANTONIO AZZALINI E TULLIO CAMIGLIERI SCRITTO DA CELESTE LAUDISIO, ENRICA MARCHESI, MARIO AUDINO, EMILIANO SACCHETTI, DAVIDE CORALLO, RICCARDO MAZZON.

SCENOGRAFIE

MARCO CALZAVARA

CASA DI PRODUZIONE

RAI1 CON DINAMO ITALIA

UFFICIO STAMPA

RAI

MESSA IN ONDA

4 E 12 DICEMBRE 20.50

 

 

Mario Maffucci

 

(Nella foto Michele Cucuzza e Rula Jebrehal, conduttori di Mission)