Pubblicato il 17/10/2013, 18:00 | Scritto da La Redazione

LUCA ZINGARETTI: «IL MIO ADRIANO OLIVETTI, SOGNATORE A CUI NON È STATO PERDONATO IL TENTATIVO DI RINNOVARE LA SOCIETÀ E IL MODO DI INTENDERE IL LAVORO»

LUCA ZINGARETTI: «IL MIO ADRIANO OLIVETTI, SOGNATORE A CUI NON È STATO PERDONATO IL TENTATIVO DI RINNOVARE LA SOCIETÀ E IL MODO DI INTENDERE IL LAVORO»
Si chiama “Adriano Olivetti, la forza di un sogno”, la fiction che racconta la parabola umana e professionale dell’inventore della celebre “Lettera 22”, in onda su Rai 1 il 28 e il 29 ottobre. Ecco le dichiarazioni del protagonista.   meta name=”news_keywords” content=”adriano olivetti, luca zingaretti, rai“ Sognatore, innovatore al limite dell’utopia. Teorico del lavoro […]

Si chiama “Adriano Olivetti, la forza di un sogno”, la fiction che racconta la parabola umana e professionale dell’inventore della celebre “Lettera 22”, in onda su Rai 1 il 28 e il 29 ottobre. Ecco le dichiarazioni del protagonista.

 

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Sognatore, innovatore al limite dell’utopia. Teorico del lavoro come forma di riscatto, non di costrizione. Appassionato e geniale, inventore della famosa Lettera 22, che ha rivoluzionato la scrittura in Italia e nel mondo. Spinto da lucida follia creativa quando il motto “Siate affamati, siate folli” era solo una proiezione ideale che sarebbe germogliata nella mente di Steve Jobs decenni dopo. L’Adriano Olivetti romanzato, portato sullo schermo da Luca Zingaretti, su Rai 1 il 28 e il 29 ottobre in Adriano Olivetti, la forza di un sogno, coproduzione Rai Fiction, Telecom e Casanova Multimedia è un eroe quasi manicheo, animato da lucida energia creativa abbinata a slancio benevolo nei confronti delle condizioni di lavoro degli operai. Una mosca bianca nell’Italia di allora e in quella di oggi, costellata di pecore nere.

«Adriano Olivetti non era, semplicisticamente, “un buono”. Era un imprenditore che ha pensato a un nuovo modo di intendere il rapporto coi lavoratori, che con l’invenzione della mitica “Lettera 22” e del primo calcolatore elettronico ha sognato il rilancio economico e sociale di un’Italia in crisi, non molto diversa dall’Italia di oggi. Per questo, nella sua vita, i nemici sono stati più numerosi degli amici», dice Zingaretti.
Una frase di Olivetti, pronunciata nella fiction, è emblematica: «Una fabbrica che funziona in un Paese che non funziona, è inutile». Raccontare la storia di Olivetti significa raccontare l’utopia di un sognatore.

«Lui sosteneva addirittura che un lavoratore, per rendere al meglio, dovesse lavorare dinanzi a un bel paesaggio. Teorizzava l’idea di bellezza, di cultura, di socialità forte come base per il rilancio della condizione dei dipendenti e, di conseguenza, della produttività in Italia. Il suo successo cozzava con l’idea estrema di capitalismo dedito solo alla ricerca del profitto. Raccontare la sua vita significa raccontare la sua grande avventura umana, sentimentale e imprenditoriale».
Non c’è il rischio di scadere nella retorica?
«Mi ha colpito una lettera inviatami in questi giorni dalla nipote di un lavoratore della Olivetti. Descrive l’immensa soddisfazione di suo nonno nell’essere alle dipendenze di Adriano Olivetti. E fa un parallelismo con le condizioni di lavoro da lei vissute ai giorni nostri, dove può capitare che l’azienda in cui si è impiegati sia ceduta dall’oggi al domani e che i dipendenti perdano il lavoro senza sapere il motivo».
La storia di Olivetti rappresentava e rappresenta un’eccezione nel panorama italiano.
«Il capitalismo selvaggio di oggi non funziona, le risorse sfruttate si esauriscono e l’aspetto umano del lavoro non viene protetto e rispettato. Persone come Adriano andrebbero incoraggiate, ascoltate e prese ad esempio. Invece spesso sono osteggiate».
Olivetti si trovò isolato da buona parte del mondo imprenditoriale tradizionale della sua epoca e osteggiato dagli americani, sospettosi di fronte a una deriva quasi socialista della sua azienda e dai successi ottenuti.
«Si dice che in Italia ti venga perdonato tutto, tranne il successo. Vale anche per l’intelligenza. C’è una tendenza costante a livellare ogni cosa, a isolare la persona che vede più lungo degli altri, che rischia in prima persona per innovare».
Può venire in mente un parallelismo con altri eroi borghesi da lei portati sullo schermo, come il giudice Borsellino.
«È vero. Anche le vittime della mafia, del terrorismo, sono state dapprima isolate, poi colpite. Olivetti morì di morte naturale, ma non ha vissuto momenti facili».
Nella fiction si racconta anche la sua parabola umana e sentimentale.
«Il rapporto con i figli. Con le donne. Era un uomo che metteva grande passione in tutto quel che faceva».
Una sfida interpretativa molto diversa rispetto alle indagini appassionate del commissario Montalbano.
«I giornalisti mi identificano troppo spesso con il commissario Montalbano. Io, in realtà, sono Montalbano soltanto per tre mesi ogni due anni. Il mio lavoro di attore mi impone di cimentarmi con ruoli sempre diversi. E il mio punto di vista su ogni ruolo può essere capito al meglio soltanto guardando l’interpretazione sullo schermo».

 

Gabriele Gambini

(Nella foto Luca Zingaretti nei panni di Olivetti)