Pubblicato il 16/10/2013, 13:04 | Scritto da La Redazione

ANTONIO RICCI: «LA TV SERVE A VENDERE, MA NEL PAESE DELL’IPOCRISIA LE CHIEDONO DI INSEGNARE»

ANTONIO RICCI: «LA TV SERVE A VENDERE, MA NEL PAESE DELL’IPOCRISIA LE CHIEDONO DI INSEGNARE»
L’Italia, dice il padre di “Striscia la notizia”, «è il Paese delle ipocrisie, dei luoghi comuni, di quanti chiedono alla tv di fare cultura, lasciando, però, la scuola nello stato in cui è». L’occasione è il premio dei “Senza testa” che la città di Osimo assegna a chi con la testa ha fatto successo. Ricci […]


L’Italia, dice il padre di “Striscia la notizia”, «è il Paese delle ipocrisie, dei luoghi comuni, di quanti chiedono alla tv di fare cultura, lasciando, però, la scuola nello stato in cui è». L’occasione è il premio dei “Senza testa” che la città di Osimo assegna a chi con la testa ha fatto successo. Ricci ci scherza su, ma il profilo calza a pennello: programmi di successo, ascolti record e critiche spietate.meta name=”Ricci, Tv, Striscia la Notizia, Mediaset, Drive In”

Rassegna Stampa: Il Giornale, pagina 10, di Paolo Festuccia.

Ricci: «La Tv serve a vendere ma nel Paese dell’ipocrisia le chiedono di insegnare»

L’Italia, dice Antonio Ricci, «è il Paese delle ipocrisie, dei luoghi comuni, di quanti chiedono alla Tv di fare cultura, lasciando, però, la scuola nello stato in cui è». E chi, come lui, si è messo in testa di combattere l’ipocrisia sa che è una guerra persa, «ma la goduria è nel provarci. Pensi che nel mio vecchio “Drive in” di 30 anni fa c’era già tutto dell’Italia di oggi». L’occasione è il premio dei “Senza testa” che la città di Osimo assegna a chi con la testa ha fatto successo. Ricci ci scherza su, ma il profilo calza a pennello: programmi di successo, ascolti record e critiche spietate.
Drive in, per i suoi nemici, è la radice di ogni male. È così?
«Fosse vero, andrei in giro a pavoneggiarmi. I nemici sono necessari per la dialettica, per tenerti in vita. Per anni mi hanno accusato di comicità demenziale, mentre mi sono sempre sentito un figlio dei lumi. La mia televisione era un manifesto iperrealista Anni 80. Ci lavorava il meglio dell’intellighenzia satirica, da Elle Kappa a Staino a Stefano Disegni. All’epoca Angelo Guglielmi dichiarò che non se ne lasciava sfuggire nemmeno una puntata, e lo scelse come modello».

L’Italia è così, accusa e si ricrede. Poi riabilita tutti: dalla politica
alla televisione…

«Il nostro è un Paese cattolico e mafioso che vive di ipocrisie. Tutti si indignano in maniera strumentale, salvo poi ricredersi. Se le cose vanno male, non è sempre colpa del ventennio o di quello che ha il cane Dudù o del nipote di Letta, democristiano nel Dna. E che se non si guarda in faccia alla realtà i problemi non si risolvono».
E qual è, allora, il ruolo della Tv?
«La televisione è fatta per provocare e per vendere, non per discutere o scoprire la verità. Non interagisce con il pubblico e soprattutto non insegna niente, e quando lo fa va contro natura perché è il più grande Postalmarket del mondo. Con la Tv non si ragiona perché è rappresentazione. Lo dimostrano i programmi di cucina: non si riesce a capire una ricetta, è lo spettacolo che domina. Un apprendimento che vada oltre l’uovo sodo è impossibile. Lo stesso accade nei talk show».
Non le piacciono proprio…
«Mi piacciono perché ho un gusto sado-maso. Noto però che sono fatti da conduttori psicopatici con caratteristi ben vestiti, truccati da casa, che non vogliono essere pagati. Anzi, sarebbero disposti a pagare. Nei Talk non c’è necessità di esprimere opinioni complesse, conta esserci per fare parte della commedia dell’arte. Tutto è costruito sullo scontro, per lo spettacolo della politica. Sono i figli del processo di Biscardi: i “peggio” che sono anche i “meglio” vanno lì. Del resto, dove troveresti una Santanché se non nei Talk?»
Ma anche a Striscia lo scontro non manca…
«Fa parte dell’aspetto parodistico. Ho pensato Striscia quando la Tv era ancora in bianco e nero. Anzi, più nero che bianco. Vespa al Tg1 sentenziava che la strage di piazza Fontana era riconducibile a un anarchico, e di fronte a un’affermazione così categorica, detta da quel sacerdote dell’informazione, ho pensato che si potesse offrire una versione diversa da quella monolitica che ci dava la Tv E così, dopo anni, quel progetto ha visto la luce, inizialmente su Italia 1».

Perché alla Rai non avrebbe trovato spazio…
«In Rai era tutto complicato. C’era un controllo politico troppo forte. I funzionari erano messi h dai loro referenti per rendicontare su tutto. Con Grillo mistificavo per abbindolarli: leggevo battute messe lì per fargliele togliere, ne biascicavo altre che all’ultimo Beppe sparava in diretta. Divertente ma complicato».
Nelle reti di Berlusconi invece si è sentito libero…
«Senz’altro con le mie trasmissioni ho contribuito ad alzare il tasso di libertà di satira su tutta la tv, privata e pubblica. La libertà non te la concede nessuno. Te la devi conquistare giorno per giorno. Striscia regge da 26 anni perché ha audience. Il successo in una tv commerciale è più tutelato: fin quando ci sono pubblico e sponsor è problematico toccarti. Gli ascolti sono la vera tutela, al punto che il vero datore di lavoro non è l’azienda, ma il pubblico. È solo al pubblico che devi rispetto. Certo, una volta hanno provato a sostituirci con una versione light di Striscia, gli è andata male. Da allora sappiamo che la nostra è la strada giusta. Striscia ha un contratto che si rinnova di anno in anno: ogni stagione potrebbe essere l’ultima».
Cosa avrebbe voluto realizzare, a Mediaset?
«Negli Anni 80, mi ero messo in testa di fare Raitre (ancora non c’era Guglielmi) sulla nascente Italia 1 di Berlusconi, a sua insaputa. “Drive in”, “Lupo solitario”, “L’Araba Fenice”, “Striscia la notizia”… Sarebbe stata una genialata. Se lui avesse dato una delle tre reti alla sinistra sarebbe stato salvo. Se invece di essere uno e trino si fosse accontentato di essere bino».
Siamo davvero all’ultima stagione politica di Berlusconi?
«La fine di Berlusconi è una questione soprattutto anagrafica. Arriva il momento che si devono fare i conti con l’età. E diventa più dura per chi ha impostato la sua politica in una certa maniera».
È tipico dei leader carismatici?
«È la nota dolente del partito carismatico. il leader deve essere eterno, non può essere inficiato dall’età. Per questo i leader carismatici si imbalsamano in vita: Mao, Lenin, Franco, Stalin, il Gabibbo. Non ho mai creduto agli uomini e ai pupazzi della Provvidenza».
Lei ha lavorato con Grillo che ora è un leader politico…
«Mai avrei sospettato che Grillo potesse fare il politico. Fino all’ultimo negava, ma alla fine c’è andato e non andato, mezzo dentro mezzo fuori… Cosa farà? Lo scopriremo solo vivendo. Mi ha impressionato la domenica delle elezioni, quando mi ha anticipato il suo risultato con una precisione incredibile».