Pubblicato il 21/09/2013, 13:31 | Scritto da La Redazione

SERENA BORTONE: «IL TALK SHOW POLITICO NON MORIRÀ MAI. È CONFRONTO, SALE DELLA DEMOCRAZIA»

SERENA BORTONE: «IL TALK SHOW POLITICO NON MORIRÀ MAI. È CONFRONTO, SALE DELLA DEMOCRAZIA»
Scommessa vinta. Non era scontato. Si è chiusa la prima stagione di Agorà Estate, con buoni risultati in termini di ascolto e considerazione del pubblico. Missione compiuta quindi per Serena Bortone – «dipendente Rai, ed orgogliosa di esserlo» – e Giovanni Anversameta name=”Serena Bortone, Rai3, Agorà, Giovanni Anversa” Scommessa vinta. Non era scontato. Si è chiusa la prima stagione […]
Scommessa vinta. Non era scontato. Si è chiusa la prima stagione di Agorà Estate, con buoni risultati in termini di ascolto e considerazione del pubblico. Missione compiuta quindi per Serena Bortone – «dipendente Rai, ed orgogliosa di esserlo» – e Giovanni Anversameta name=”Serena Bortone, Rai3, Agorà, Giovanni Anversa”
Scommessa vinta. Non era scontato. Si è chiusa la prima stagione di Agorà Estate, con buoni risultati in termini di ascolto e considerazione del pubblico. Missione compiuta quindi per Serena Bortone – «dipendente Rai, ed orgogliosa di esserlo» – e Giovanni Anversa, incaricati a giugno dal direttore di Rai3 Andrea Vianello di raccontare la politica agli italiani in bermuda ed infradito – e meno soldi in tasca.
Qual’è il bilancio personale alla prima conduzione del talk politico della mattina di Rai3?
“Lo ammetto: sono contenta. Quando ho iniziato questa avventura ho detto alla prima riunione della squadra di lavoro: «Non so come andrà, ma una cosa vi raccomando: divertitevi». Nel nostro mestiere se si riesce a mantenere entusiasmo, curiosità, attenzione ed onestà intellettuale si può star certi che alla fine i risultati arriveranno. È quello che ho cercato di fare insieme ad un gruppo di lavoro straordinario per competenza e passione. E poi ho avuto il privilegio di condividere questa esperienza con Giovanni Anversa, un amico oltre che un collega di grandissimo valore professionale e umano”.
I dati dell’audience sono stati quelli che vi aspettavate? 
“Abbiamo avuto una media del 7% con picchi che hanno superato il 12%. Un risultato superiore alle attese”.
È iniziata la nuova stagione tv con diversi nuovi talk politici e si è subito riparlato di format morto. Qual è la sua opinione? È una formula consumata e da rivedere?
“Sento ripetere il mantra della «morte del talk» da più di vent’anni. Il talk non morirà mai perché è la formula che garantisce il confronto, lo scambio di idee, talvolta aspro, acceso, persino urticante, ma pur sempre confronto. E il confronto è il sale della democrazia. Non ci rinunceranno i politici e non ci rinunceranno i cittadini telespettatori, che ascoltando i diversi pareri cercano di formarsi un’idea”.
Come spiega i dati di ascolto deboli?
“Se alcuni dati di ascolto ultimamente sono stati deludenti, forse dipende dall’eccesso di offerta, come spiega qualsiasi banale legge di mercato. Aggiungo che la situazione socio-politica attraversa un momento di passaggio, di stallo. Anche la crisi economica, oltre che quella politica è stata – giustamente – raccontata molto. In questo momento la sensazione è che tutto si sia già visto. Speriamo di raccontare presto una novità: la ripresa”.
In Germania, su ProSieben, stanno provando con successo il «competitive political talk show», il format che fonde il talk show politico con i meccanismi del talent, dando la possibilità al pubblico a casa di eliminare dal dibattito gli ospiti invitati. È pensabile qualcosa di simile in Italia?
“Spero che non arrivi mai. Amo il mio mestiere ma amo anche la politica. E questo format rischierebbe di selezionare una classe dirigente solo in virtù delle competenze televisive. Conosco ottimi parlamentari che non inviterei mai in trasmissione perché non sarebbero in grado di reggere la telecamera. Ciò non toglie che svolgano un lavoro prezioso negli ambiti di competenza. Ho troppa considerazione della democrazia per volerla ridurre a telecrazia”.
In questi 3 mesi di programma hai intervistato i politici della Prima Repubblica, quelli cresciuti con il Mattarellum, e l’ultima generazione,  quelli nati con il Porcellum.  A parte i dati anagrafici, cosa li distingue e caratterizza?
“I più giovani sono cresciuti a pane e televisione, sono più attenti al mezzo, ne imparano prima le tecniche. Ma la capacità di analisi politica della generazione della prima Repubblica non ha eguali”.
Lilli Gruber, Lucia Annunziata e poco altro. Le donne salde al comando di un talk show politico sono rare in Italia, soprattutto in prime time.  La politica, e quindi i talk show politici, rimangono un feudo maschile? 
“Penso che noi donne abbiamo una marcia in più rispetto agli uomini nell’interpretare la politica, che va letta anche con una certa sensibilità psicologica. Pertanto che ci siano poche donne a occuparsi di politica è un peccato sia per l’informazione che per la politica. La Gruber e l’Annunziata sono due giganti dell’informazione politica, sono di esempio per chiunque voglia intraprendere questo lavoro, maschio o femmina che sia”.
Se potessi scegliere, preferiresti condurre un talk stile ‘Piazza pulita’, stile ‘Otto e mezzo’ o altro? 
“Qualsiasi approfondimento dove poter raccontare la realtà senza pregiudizi, ascoltando le ragioni di tutti senza mai pretendere di possedere la verità. E poi, cogliere le spigolature del disordine contemporaneo, faticoso e stimolante. Spesso durante le dirette di Agorà estate mi piaceva sottolineare uno sguardo, un sorrisetto, un battito di ciglia dei miei ospiti. È dai dettagli che si comprende ciò che ci circonda. Questa per me è la televisione”. 
Quando la rivediamo sugli schermi?
“Sono una dipendente di Raitre, orgogliosa di esserlo. Farò quello che decideranno la mia azienda e il mio direttore. Con tutto il mio impegno, consapevole dell’onore e della responsabilità di appartenere al servizio pubblico”.
Alberto Solieri
(Nella foto, Serena Bortone)