Pubblicato il 19/09/2013, 13:03 | Scritto da La Redazione

MARIO CORDOVA: «AVEVO PENSATO DI MOLLARE, MA LA PASSIONE PER LA RECITAZIONE È TORNATA A TROVARMI»

MARIO CORDOVA: «AVEVO PENSATO DI MOLLARE, MA LA PASSIONE PER LA RECITAZIONE È TORNATA A TROVARMI»
Faccia a faccia con l’attore che dà corpo e anima ad Amedeo Torre, enigmatico personaggio della seconda stagione de “Le tre rose di Eva”: gli esordi, le fiction anni ’80, il ruolo di doppiatore e un rilancio di carriera arrivato nel nuovo millennio.meta name=”news_keywords” content=”<mario cordova, amedeo torre, le tre rose di eva>” Attore, doppiatore, […]

Faccia a faccia con l’attore che dà corpo e anima ad Amedeo Torre, enigmatico personaggio della seconda stagione de “Le tre rose di Eva”: gli esordi, le fiction anni ’80, il ruolo di doppiatore e un rilancio di carriera arrivato nel nuovo millennio.meta name=”news_keywords” content=”<mario cordova, amedeo torre, le tre rose di eva>”

Attore, doppiatore, dialoghista e direttore del doppiaggio. Ha doppiato colossi hollywoodiani come il testosteronico Schwarzy in Conan il Barbaro, Richard Gere, Jeremy Irons, William Defoe. Ha attraversato i decenni della fiction italiana partendo dagli anni ’80 (Storia di Anna, Piccolo mondo antico), arrivando fino ai nostri giorni (Il segreto dell’acqua, L’onore e il rispetto, Squadra Antimafia).
Oggi Mario Cordova veste i panni del controverso Amedeo Torre nella seconda stagione de Le Tre Rose di Eva, le cui note di nero gotico contribuiscono ad alimentare il mistero sul destino dei protagonisti. Per lui la recitazione è passione, passione vera, gioia e dolore, croce e delizia. Soprattutto delizia.
Amedeo Torre è uno dei personaggi più sfaccettati della serie. Che ruolo avrà nell’intreccio?
«È personaggio splendido, avvolto nel mistero. Chi è costui? Cosa si cela dietro la sua persona? Perché conosce tutte queste cose della famiglia? Ne farà parte anche lui? Una storia che affascina, che resta sempre tesa e ricca di misteri. Che sarà svelata fino in fondo solo nell’ultima puntata».
Quanto le somiglia nella realtà il suo personaggio?
«Non poco, direi. Il mio personaggio è solare, coraggioso, sempre aperto. Qualità, senza voler peccare di presunzione, che mi appartengono senza dubbio».
Quest’anno, Le Tre Rose di Eva ha assunto tine noir, quasi gotiche. Sono caratteristiche che possono garantire il ripetersi del successo della prima edizione?
«Penso all’entusiasmo con cui ho letto la sceneggiatura. Raramente mi capita di leggerne qualcuna e di rimanere col fiato sospeso per sapere come la storia prosegue, come va a finire. Ecco, credo che la storia fosse particolarmente affascinante e poi, con quel meraviglioso cast!».
Le Tre Rose di Eva ha riportato la lunga serialità in prima serata, riuscendo anche a contenere i costi di produzione. E’ quello il futuro per rivitalizzare la fiction italiana?
«Se i risultati sono questi, perché no, mi pare che nonostante un aumento della produttività il risultato sia alto. È stata dura lavorare con questi ritmi, ma grazie anche alla bravura di tutta la troupe, direi che va bene così. Se questo poi consente di essere competitivi con costi minori, ben venga. La qualità non dipende dai tempi di produzione».
Serie tv negli anni ’80 e serie tv attuali. Che cosa è cambiato nel girarle, basandosi sulla sua esperienza personale?
«E’ cambiata la produttività. Io ho girato quattro puntate nel 1980 di uno sceneggiato, Storia di Anna, per la RAI, che ha avuto un successo pazzesco, 22 milioni di telespettatori in prima serata. Iniziai a girarlo l’8 maggio e finii a settembre inoltrato. Cinque mesi di lavorazione per fare 4 puntate da un’ora e mezza. Se pensate che questo è stato il tempo impiegato per fare le 12 puntate de Le tre rose di Eva capite come il tempo si sia non dimezzato, ma trimezzato. Allora c’era una tranquillità completamente diversa. Ma la troupe de Le tre rose di Eva è stata straordinaria».
Qual è stato il momento in cui ha capito che recitare poteva diventare un mestiere? Viceversa, c’è stato un momento in cui ha pensato di mollare tutto?
«Ho sempre pensato di voler fare l’attore. Ho cominciato molto presto, con la scuola allo Stabile di Genova a 15 anni. A 18 anni già guadagnavo, e sono partito per una tournee. Non ho avuto neanche il tempo di pormi domande. Però il mio impatto con il mondo di allora, professionistico, mi aveva deluso. Ho anche pensato di lasciare, credevo che il teatro potesse cambiare il mondo, quando ho fatto i conti con la realtà, e con aspetti che non sono il massimo, ho mollato per 2 o 3 anni».
Che cosa ha fatto, in quel periodo?
«Ho venduto biscotti, grissini, pentole, ho fatto il militare. Poi ho deciso di riprendere. Ma nell’ 85-86 ho detto basta, ho fatto solo il doppiatore per vent’anni, non mi andava di essere in balia degli eventi. Cercavo una vita normale, una famiglia. Finché questo mestiere non mi ha richiamato. Causalmente, è successo che Raffaella Izzo mi abbia chiesto di fare un personaggio, per tre pose. Quando è andato in onda, Mediaset mi ha chiamato e da lì ho ricominciato con Centovetrine».

Che cosa le manca, facendo un bilancio di carriera?
«Io ho veramente fatto qualunque cosa, persino un’opera lirica. Ho lavorato per le scuole, ho fatto il mimo, la maschera, musical, cinema, televisione, doppiaggio ad alti livelli, teatro per ragazzi, le marionette, non c’è nulla che non abbia fatto. Siccome ho vissuto sempre un rapporto travagliato con questo mestiere, non mi dispiacerebbe vivere qualche anno con grande serenità. La passione non manca, sono sempre ipercritico su ciò che faccio. Mi regalerei qualche anno di lavoro senza ansie».
Il mestiere del doppiatore. Oscuro, a volte di nicchia, ma fondamentale, in cui è importante fare un lavoro su sé stessi e sul personaggio rappresentato. Quale hollywoodiano l’ha divertita di più, nel doppiaggio? E quale, tra gli attori doppiati, potrebbe rappresentare un modello di carriera?
«Ho doppiato grandi attori, come Richard Gere, straordinari come Jeremy Irons, particolari come Bruce Willis. Sono legato a Rowan Atkinson (Mister Bean), perché l’ho fatto in Quattro matrimoni e un funerale: un prete buffissimo, e per uno che ha una vocalità così classica come la mia, ricordato per aver una voce calda, romantica, aver avuto la fortuna di poter fare una cosa così lontana da me, mi ha divertito particolarmente. Di Richard Gere mi piace la fama che ha raggiunto, una persona così impregnata di cultura buddhista, mi piace questo mix che connota la sua vita, anche se io mi sento più Jeremy Irons».

 

Gabriele Gambini

(Nella foto Mario Cordova)