Pubblicato il 04/08/2013, 12:31 | Scritto da La Redazione

PROCESSO MEDIASET: LA TV DIVORA SE STESSA MENTRE IL POPOLO È ASSENTE

PROCESSO MEDIASET: LA TV DIVORA SE STESSA MENTRE IL POPOLO È ASSENTE
Il critico televisivo de La Stampa, analizza “fenomeno” del processo Mediaset in tv Rassegna Stampa: La Stampa, pagina 31, di Walter Siti La finestra sul niente Processo Mediaset: la tv divora se stessa mentre il popolo è assente In questo agosto di repliche e mondiali di nuoto, il giudizio della Cassazione sul processo Mediaset non […]

Il critico televisivo de La Stampa, analizza “fenomeno” del processo Mediaset in tv

Rassegna Stampa: La Stampa, pagina 31, di Walter Siti

La finestra sul niente

Processo Mediaset: la tv divora se stessa mentre il popolo è assente

In questo agosto di repliche e mondiali di nuoto, il giudizio della Cassazione sul processo Mediaset non poteva non essere il clou della settimana televisiva; lo è stato in modo perfino esagerato, perché il «giorno del giudizio» si è esteso in realtà su tre giorni. Martedì si è capito ben presto che non sarebbe stato conclusivo, mercoledì sia Porro che Mentana si erano apprestati a un grande show: scontri volutamente scoppiettanti, tra Osvaldo Napoli e Travaglio da una parte, tra Ferrara e Gomez dall’altra e addirittura un’accoppiata femminile come la Michela Marzano e la Santanché. Anche In onda, nel suo piccolo, si era munita di Scanzi e Gasparri. Ma alla fine tutto è stato rimandato a giovedì, e lì la non stop di Mentana l’ha fatta da padrone nonostante l’impegno di RaiTre. Lanciato nella performance sportiva di otto ore di diretta, Mentana ha rischiato il mancamento quando si è diffusa la voce che la sentenza poteva slittare a venerdì mattina. Il racconto sembrava impaginato da uno sceneggiatore astutissimo: l’evento più importante dell’anno in piene ferie, un uomo caratterizzato dalla dismisura che invoca la normalità, la decapitazione del capo non mentre è al governo né mentre è al governo l’avversario, ma mentre eccezionalmente stanno al governo tutti e due. La cifra
stilistica era quella del paradosso: la condanna di un leader minaccia di mandare in frantumi il partito degli altri, la decisione di difendersi nei processi avviene nell’unico caso in cui la presenza dell’imputato non è prevista. Eppure c’era poca gente in piazza, il Paese sembrava disinteressato; la televisione ha creato le opposte tifoserie e non basterà un evento televisivo a smuoverle, ciascuno resterà del proprio parere. L’attesa si prolungava moltiplicando i bizantinismi, Mentana si prodigava in spiritosaggini e strapazzava i poveri inviati che arrostivano al sole, il tutto appariva sempre di più come un passatempo per giornalisti: le sette tribù del Pd e il fattore C, la sentenza «napolitana» tesa all’annullamento con rinvio, Coppi un uomo solo al comando, la sensazione che l’eccesso di prudenza avesse anestetizzato ogni finale forte e il finale impossibile è il segreto di ogni soap. La televisione che divora se stessa mentre il popolo è assente. Poi, mentre già serpeggiava la disperazione come quando al Palio di Siena non arriva la mossa valida, nell’aula del Palazzaccio si è fatto silenzio; la sentenza è stata letta nel suo italiano rituale e incomprensibile, tanto che l’esercito di Silvio è esploso in festeggiamenti fuori luogo. Lì qualcosa è accaduto, non si stava giocando più. A Palazzo Grazioli l’imputato ha appreso la sentenza anche lui dalla televisione e dopo lunghissimi momenti ha mandato un videomessaggio: che alludeva, anche linguisticamente, a quello della discesa in campo del 1994. Ma quelle mani senili in primo piano, quell’aria tragica: l’annuncio che sarà di nuovo Forza Italia, questa sì che è una replica ma  è Shakespeare, altro che soap.