Pubblicato il 08/05/2013, 17:33 | Scritto da La Redazione

“LA CASA NELLA PRATERIA”: GENTE TOSTA DI CAMPAGNA, PERSEGUITATA DALLA SFIGA. NON COME QUELLA VIZIATA DI “VIOLETTA”

“LA CASA NELLA PRATERIA”: GENTE TOSTA DI CAMPAGNA, PERSEGUITATA DALLA SFIGA. NON COME QUELLA VIZIATA DI “VIOLETTA”
La casa nella prateria, telefilm americano arrivato in Italia nel 1985, raccontava la vita di campagna della famiglia Ingalls, composta da padre, madre e due figlie. Oggi nessuna Violetta sarebbe in grado di fare quel tipo di vita. L’estate si avvicina. Fox Retro è già pronta. Probabilmente anche Rai3 o qualche altra rete generalista. Il ritorno […]

La casa nella prateria, telefilm americano arrivato in Italia nel 1985, raccontava la vita di campagna della famiglia Ingalls, composta da padre, madre e due figlie. Oggi nessuna Violetta sarebbe in grado di fare quel tipo di vita.

L’estate si avvicina. Fox Retro è già pronta. Probabilmente anche Rai3 o qualche altra rete generalista. Il ritorno della Casa nella prateria è proprio lì, dietro l’angolo. I pargoli moderni non sapranno mai di cosa si tratta. Ma per quelli che sono stati pargoli circa quarant’anni fa la famiglia Ingalls ha un solo sinonimo: la sfiga. Figli dei fiori in versione made in Usa, vestitoni di cotone a fiori, trecce arrotolate intorno alla testa, mamma-bella-buona, papà-capellone-severo, figlie Laura -e- Mary-ci vogliamo tanto bene, casa di legno in mezzo a immensi campi di fiori. In apparenza la famiglia più felice del mondo, in realtà la più sfigata, perché in sequenza, almeno nei vaghi ricordi rimasti, gli è andata a fuoco la casa, una figlia è diventata cieca, il padre ha perso il lavoro. Senza scordare le continue angherie di tale Nellie, l’infame di turno, quella messa apposta per fare il diavolo in mezzo a tanta acqua santa. Perché nonostante tutte le peripezie che avrebbero messo a terra anche il Papa, sia quello nuovo che quello vecchio, gli Ingalls riescono a trovare il modo per sfornare figli, sposarsi trasferirsi in città, tornare in campagna, adottare altri bambini, continuare a riprodursi. D’altronde la campagna concilia.

Quel che mi chiedo è quale mix esplosivo potrebbe scatenarsi se una bambina di oggi, made in Violetta, si imbattesse in Laura Ingalls. Probabilmente le darebbe già della vecchia. Sarà per questo che noi cresciute tra le Ingalls e Candy Candy, che quanto a sfighe non ha mai avuto nulla da invidiare a nessuno, nemmeno a quel poveraccio del Dolce Remì, mal digeriamo la vita facile delle Violette moderne.

E non c’è solo lei, ma anche Jessie, Patty, Teddy, una varietà di ragazzette, generalmente ben sistemate, sia fisicamente che economicamente, che nella casa nella prateria ci manderebbero le loro babysitter. Nessuna delle protagoniste dei telefilm moderni è mai cresciuta senza una nanny, un maggiordomo, o una tutor, e occhio a chiamarle donne di servizio, perché «scusa mamma, ma non è “polite”». Perché invece sbriciolare le patatine sul divano, lasciare in giro le scarpe, pulirsi le mani di nutella sulla gonna e lanciare i calzini per vederli atterrare nell’universo mondo è davvero “polite”. In un anno di inglese, giusto “polite” hanno imparato. Lo spagnolo, grazie a Violetta, lo sanno tutto. E anche gratis. Lasciamo stare. E torniamo agli Ingalls e alla loro vita rupestre.

Non sarebbe male mandare un esercito di Violette per una settimana nella casa nella prateria, giusto per capire come si vive in mezzo ai campi, senza Ipod, Ipad, Itutto.

Solo che poi il rischio è che gli si rovina lo smalto.

 

Tiziana Leone

 

(Nella foto gli interpreti della Casa nella prateria)