Pubblicato il 02/04/2013, 09:31 | Scritto da La Redazione

IL DIRETTORE MARIO ORFEO: «SENZA PARTITI DI RIFERIMENTO IL TG1 LAVORA MEGLIO»

IL DIRETTORE MARIO ORFEO: «SENZA PARTITI DI RIFERIMENTO IL TG1 LAVORA MEGLIO»
L’intervista Il direttore del telegiornale della prima rete Rai che per la prima volta non ha un «editore di riferimento» politico, cioè un partito di maggioranza relativa al quale guardare: no a polemiche sul passato, in video arriveranno volti nuovi. Due telefonate da Berlusconi, zero da Bersani. E gli ascolti sono cresciuti. Rassegna Stampa: Correre […]


L’intervista Il direttore del telegiornale della prima rete Rai che per la prima volta non ha un «editore di riferimento» politico, cioè un partito di maggioranza relativa al quale guardare: no a polemiche sul passato, in video arriveranno volti nuovi. Due telefonate da Berlusconi, zero da Bersani. E gli ascolti sono cresciuti.

Rassegna Stampa: Correre della Sera, pagina 8, di Paolo Conti.

L’intervista Il direttore del telegiornale della prima rete Rai: no a polemiche sul passato, in video arriveranno volti nuovi.
«Senza partiti di riferimento il Tg1 lavora meglio»
Orfeo: due telefonate da Berlusconi, zero da Bersani. E gli ascolti sono cresciuti.

ROMA Mario Orfeo, lei dirige un Tg1 che per la prima volta non ha un «editore di riferimento» politico, cioè un partito di maggioranza relativa al quale guardare. Siete disorientati? «Al contrario: è una condizione ideale, forse irripetibile, di lavoro. Non ho avvertito la pressione dei partiti nemmeno durante la campagna elettorale. Ho sentito due volte Berlusconi per il Milan. Una volta Monti per l’ intervista su Benedetto XVI. Mai Bersani».
E Grillo? E il Movimento 5 Stelle? Che rapporto avete?
«Abbiamo chiesto con insistenza interviste a Grillo senza mai ottenere una risposta. Ma con Bruno Luverà e Federica Balestrieri abbiamo avuto efficaci scambi di battute davanti alla Cassazione, quando si depositavano le firme per le liste, e a Marina di Bibbona. Li abbiamo seguiti come meritano. Senza risparmiare critiche a certi atteggiamenti e all’uso spesso troppo colorito di talune dichiarazioni».
Lei ha ereditato un Tg1 in crisi da molti punti di vista. Ma non è stato votato all’unanimità: quattro consiglieri contro.
«Tra i miei impegni c’è stato anche quello di convincere i consiglieri che hanno votato no a ricredersi. Quando venni nominato al Tg2 ebbi l’unanimità, vorrei ricordarlo».
Quali erano gli altri suoi impegni, entrando al Tg1?
«Appunto, recuperare ascolti. E contribuire a ridare un’immagine di credibilità e di imparzialità al Tg1. Ho trovato l’edizione delle 20 al 21,66 di share, abbiamo chiuso marzo al 24,86, il 3% e un milione di telespettatori in più rispetto a un anno fa. L’edizione delle 13.30 guadagna l’ 1% e 400 mila telespettatori in più. A Pasqua 30,5% di share alle 13.30 e 25% alle 20. Numeri che parlano per entrambi gli impegni».
Sulla credibilità, qual è il suo giudizio sull’era Minzolini?
«Le vicende di quel periodo sono note. Ho però accettato di guidare il Tg1 proprio per guardare avanti e non indietro».
Minzolini spesso su Twitter la stuzzica sugli ascolti. E lei in riunione avrebbe detto: «Dopo aver portato il Tg1 dal 30 al 22%, Minzolini ha portato il Pdl in Liguria dal 37 al 19%…»
«Non commento. Ripeto: io lavoro e guardo avanti».

Augusto Minzolini ha detto che valuterà se chiedere il reintegro alla direzione del Tg1 dopo la sentenza di proscioglimento della magistratura.
«Questioni sue».

Il Tg1 è stato descritto per anni come un feudo Pdl. E ora?
«Ho trovato molti doppi incarichi, l’azienda ha sciolto il nodo con una chiara circolare. C’è stata piena e responsabile collaborazione dei colleghi: Francesco Giorgino ha lasciato la guida del servizio politico mantenendo la conduzione delle 20, Susanna Petruni resta vicedirettore e lascia la conduzione, Nicoletta Mansione resta capo degli Esteri ma lascia le 13.30. Tutto ciò non è accaduto per importanti doppi incarichi in altre testate. Ma non polemizzo…».

Dicono che il Pdl si senta sottodimensionato nell’equilibrio degli incarichi al Tg1. Si parla di mal di pancia, come si dice alla Rai.
«Ignoro questi mal di pancia. Sicuramente le sensibilità vicine al Pdl non sono sottovalutate, negli incarichi…».

In quanto al Pd?
«Nemmeno. Ora pensiamo a fare i giornalisti, non all’appartenenza».
Il Tg1 è stato colpito da un’altra tempesta: l’inchiesta sui pagamenti «drogati» di orari notturni e festivi in redazione.
«Ho saputo della vicenda arrivando, tutto riguarda il passato. C’è un’inchiesta della magistratura che deve appurare se ci sono state irregolarità o no. E una vicenda ancora tutta da dimostrare, quindi aspettiamo a tirare conclusioni affrettate. Naturalmente se qualcuno in passato ha sbagliato è giusto che paghi. Respingo con fermezza, però, i titoli apparsi su alcuni giornali: la redazione del Tg1, composta da 160 colleghi, non è composta da “furbetti”. L’accusa è falsa e assolutamente inaccettabile».
Il risultato di tutto questo è che da ieri, 1 aprile, l’azienda può rilevare elettronicamente, con i tesserini magnetici, gli orari di ingresso e di uscita di tutti i giornalisti Rai per capire chi davvero abbia diritto allo straordinario alba, notturno e festivo…
«Una decisione giusta, che ho condiviso con l’Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai».
Il duello col Tg5 e con il Tg de La7?
«Ho grande rispetto per il Tg5 e Clemente Mimun, per il Tg La7 ed Enrico Mentana. È stato importante, in questo periodo, recuperare un certo tipo di pubblico interessato alla politica e che aveva trovato l’offerta da Mentana».
Cosa cambierà nel Tg1 del futuro?
«Un approfondimento sull’Italia che cambia con la crisi, anche grazie agli speciali del Tg1 ben guidati da Maria Luisa Busi. E poi muteranno anche i volti. Ci sarà un ringiovanimento. Non faccio nomi, ma ci sarà un ricambio. I direttori vanno via, i vertici aziendali si avvicendano. Può capitare anche ai conduttori del Tg1, credo…».