Pubblicato il 30/03/2013, 13:33 | Scritto da La Redazione

RAI-GAY: COME LA TV DI STATO HA RAPPRESENTATO IL “DIVERSO”

RAI-GAY: COME LA TV DI STATO HA RAPPRESENTATO IL “DIVERSO”
Il nostro blogger-verificatore prende in esame il “diverso”, come viene trattato in tv. Leggere per credere. «L’Italia è un paese omofobo e razzista? A giudicare da quello che passa in tv, non si direbbe, ma se poi uno va a leggere le pagine di cronaca la risposta è senza dubbio affermativa». L’Italia è un paese […]

Il nostro blogger-verificatore prende in esame il “diverso”, come viene trattato in tv. Leggere per credere. «L’Italia è un paese omofobo e razzista? A giudicare da quello che passa in tv, non si direbbe, ma se poi uno va a leggere le pagine di cronaca la risposta è senza dubbio affermativa».

L’Italia è un paese omofobo e razzista? A giudicare da quello che passa in tv, non si direbbe, ma se poi uno va a leggere le pagine di cronaca la risposta è senza dubbio affermativa. Fare outing e coming out aiuta, ma sicuramente non è sufficiente a sensibilizzare le persone cosiddette “normali” nel rispettare i diritti di tutti, quei tutti che è già sbagliato linguisticamente confinare in minoranze politiche, culturali, sindacali, religiose ed etnico-linguistiche.

Con la riforma della Rai del 1975 a queste minoranze fu concesso per la prima volta uno spazio autogestito che cominciò ad andare in onda nel 1977 con il nome più noto di 10 minuti di programmi per l’accesso. All’inizio questo spazio aveva una collocazione in palinsesto di un certo rilievo: nella fascia preserale alle 18.50 e poi in seconda serata alle 22.30. Gli anni Ottanta costrinsero la Tv di Stato ad inseguire il modello dei network commerciali e questo tipo di programma, seppur obbligatorio per legge, venne confinato alle prime ore della mattina, perdendo per sempre i suoi connotati, come del resto la Rai tutta, di servizio pubblico aperto ai nuovi mutamenti sociali.

Se persino alcuni mezzibusti dei tg, come Alessandro Baracchini di Rai News e Stefano Campagna del Tg1, hanno fatto “coming out”, qualcosa però si è smosso negli ultimi anni. L’Italia rimane tuttavia un paese fortemente conservatore, classista e razzista dal punto di vista culturale. Donne, gay, persone di colore e tutte le altre minoranze non sono speciali in quanto tali ma lo sono perché hanno semplicemente una prospettiva più ampia: vivono per forza di cose in un mondo più complicato e incentrato sulla capacità umana di escludere, odiare e disprezzare. Molti saggi hanno affrontato questi temi negli ultimi anni, in particolare quelli dedicati all’immagine della donna in televisione. Lorella Zanardo è diventata nota per il suo libro-pamphlet e documentario Il corpo delle donne nei quali denuncia lo sfruttamento del corpo femminile ridotto a “mercato delle vacche” per motivi di audience. Il tema, a dire il vero, non è di quelli nuovi e resta da capire come mai all’inizio degli anni ’80, proprio in concomitanza della nascita delle tv commerciali, il movimento femminista si sgretolò ripiegando anch’esso nel riflusso e nell’edonismo “reaganiano” come si diceva allora.

La questione immigrazione è relativamente una cosa più recente. Nonostante ci siano in Italia più di cinque milioni di italiani di origine straniera, i loro diritti, a cominciare da quello di voto, non sono stati ancora pienamente raggiunti ed è curioso che, in questo percorso in salita per la loro conquista, una prima certificazione di esistenza sia venuta proprio dall’Auditel, che ha inserito l’anno scorso nel campione di telespettatori una quota di “nuovi italiani”.

Altrettanto lungo e complesso è il discorso su com’è stata rappresentata la minoranza LGBT (lesbica, gay, bisessuale, trans) dalla Tv di Stato. Può essere interessante fornire tuttavia qualche indicazione sugli snodi cruciali di questa particolare “storia nella storia”.

Negli anni Cinquanta le parole gay e omosessuale di fatto non esistono e se la parole quindi non vengono usate neanche dai mass media si può solo alludere, strizzare l’occhio, darsi di gomito e ironizzare su quelle persone che frequentano “certi ambienti”. Tollerata a teatro, in televisione l’omosessualità deve essere camuffata con il travestitismo in chiave comica oppure con il gusto per l’esotico di certi balletti. Non è un caso, quindi, che la prima omo-vittima della Rai targata DC sia stato un presentatore, Nunzio Filogamo, che appariva così com’era con il suo affettato “cari amici vicini e lontani”. Finché faceva radio, ai dirigenti Rai andava bene, ma con l’inizio delle trasmissioni televisive per Filogamo fu la fine: la sua voce gentile associata per la prima volta al volto conferivano quel senso di gaiezza ed effeminatezza che non poteva essere tollerata, nonostante il talento e le competenze professionali. Negli stessi anni un piccolo americano dal nome curioso conquistò le platee italiane: Don Lurio. Era gay ma per la Rai non fu un problema e solo negli ultimi anni prima della sua morte, avvenuta nel 2003, il coreografo e ballerino che non aveva mai voluto imparare bene la lingua italiana fece “coming out” (guarda il video).

Gli anni Sessanta sono ancora quelli della persecuzione e sarà la cronaca a informare gli italiani che esistono anche quelli indicati come “invertiti o capovolti”. Lo scandalo dei Balletti Verdi del 1960 fu la prima inchiesta di cui si occupò la stampa nazionale e che scoppiò in seguito alla pubblicazione di un breve trafiletto sul Giornale di Brescia e alcune righe su l’Unità che informarono di convegni a sfondo sessuale con minorenni. Il livello di isteria fu tale da coinvolgere personaggi celebri del tutto estranei alla vicenda, tra cui Mike Bongiorno, Dario Fo, Franca Rame, Gino Bramieri e i coreografi Rai Bud Thompson e Paul Steffen (guarda il video), interrogati dagli inquirenti e immediatamente scagionati. A questa inchiesta fa riferimento il divertente episodio del film I Complessi dal titolo Il complesso della Schiava Nubiana con Ugo Tognazzi nei panni di un bigotto ministro democristiano coinvolto per errore nell’orgia gay con protagonisti i cumenda della Brianza (guarda il video). Altri episodi emblematici furono il caso Braibanti e il delitto Lavorini, ma per la Rai il problema non esisteva e se c’era qualche artista un po’ troppo eccentrico, si trovava il modo di coprire la sua gaiezza per esigenze artistiche, come fu per Lucio Dalla, Elio Pandolfi, Alighiero Noschese e Paolo Poli (guarda il video), ma non per Umberto Bindi, che fu ghettizzato dall’industria discografica e televisiva (guarda il video).

Il ’68 e la rivoluzione sessuale portano una ventata di aria fresca anche in Rai, ma sarà ancora la cronaca nera a fare entrare per la prima volta nelle case degli italiani il termine omosessuale. L’occasione sarà la notizia dello sconvolgente omicidio del poeta e regista Pier Paolo Pasolini (guarda il video). Con l’entrata in vigore della riforma del 1976, la Rai comincia finalmente a esplorare il paese reale rappresentando le istanze di tutti gli altri orientamenti socio-politico-culturali, a cominciare da quelli socialista e comunista. Tuttavia, si tratta di una falsa rivoluzione perché il manovratore comprende subito che una maggiore libertà dei costumi sessuali può essere molto utile per distrarre l’opinione pubblica dalle questioni politiche più importanti. Una manipolazione raffinata di cui si rende perfettamente conto Mario Mieli, uno dei primi attivisti della scena gay italiana, che denunciò la cosa facendosi riprendere accanto agli operai dell’Alfa Romeo con tacchi a spillo e tuta da operaio nel programma Tabù Tabù di Raiuno del 1978 (guarda il video). Questo servizio, seppur censurato e mai andato in onda, rappresenta paradossalmente il culmine in fatto di libertà espressiva raggiunto dalla Rai, capace di coniugare in quegli anni informazione e intrattenimento di qualità per tutti i tipi di pubblico. Sono infatti gli anni di Renzo Arbore (L’Altra Domenica), Dario Fo (Mistero Buffo) e Carmelo Bene (Quattro modi di morire in versi), dei talk show di Maurizio Costanzo, delle inchieste di Giò Marrazzo e di un’ondata di “diversi”, da Renato Zero ad Amanda Lear, da Ivan Cattaneo alle Sorelle Bandiera (guarda il video) sino al primo comico che si spaccia ufficialmente per gay, pur non essendolo: Ernst Thole (guarda il video).

Negli anni Ottanta e Novanta lo sdoganamento dei gay in televisione è completo, ma sempre in funzione di macchietta o stereotipo per fare più ascolto. Celebri sono due episodi che resteranno nella storia del piccolo schermo: la cacciata di Leopoldo Mastelloni dalla Rai per aver bestemmiato in diretta durante una puntata di Blitz nel 1984 in seguito ad alcune domande del pubblico che insistevano sui suoi comportamenti sotto le lenzuola (guarda il video) e la lunga lite aizzata da Arnaldo Bagnasco tra gli scrittori Aldo Busi e Dario Bellezza nella puntata di Mixer Cultura del 1987 (guarda il video). Sono anni ancora schizofrenici, dove si passa dagli eccessi dei trans Eva Robin’s (guarda il video) e Maurizia Paradiso alla restaurazione del cliché gay con i comici en travesti Leo Gullotta e Maurizio Ferrini per arrivare, ma solo alla fine degli anni ’90, a personaggi televisivi che fanno i comici o i conduttori, come Fabio Canino e Dodi Conti, che sono gay nel privato; un particolare, questo, che finalmente comincia a essere considerato secondario (guarda il video). Certo la gara tra etero e gay di una becerissima puntata di Ciao Darwin del novembre del 1999 condotta dall’asessuato Paolo Bonolis non aiuta a migliorare le cose, forse perché anticipa quel peggio-che-non-ha-fine degli anni Duemila dominato dai reality, Grande Fratello su tutti, dove il gay recita ancora il personaggio del gay. Curiosamente è la fiction Rai invece a farsi carico di raccontare in chiave adulta e buonista i mutamenti sociali della nuova famiglia allargata e arcobaleno italiana, ancora fuorilegge in assenza di Pacs, Dico e Unioni civili. Dal commesso Romeo (l’attore Franco Castellano) all’anziano interpretato da Nino Manfredi, dalla figlia lesbica di Lino Banfi de Il padre delle spose al figlio poliziotto di Lando Buzzanca, è tutto un fiorin fiorello di gay liberi e belli, felici di dichiararsi in pubblico e al pubblico (televisivo) ma forse non altrettanto contenti di continuare a essere insultati e malmenati nel paese reale. A ricordare questi episodi ci pensano ogni tanto i politici Franco Grillini, Paola Concia, Nichi Vendola, Alfonso Pecoraro Scanio, Vladimir Luxuria che spaziano tra politica e spettacolo a volte dimenticando la prima in favore della seconda, e alcuni gay opinion leader in servizio permanente effettivo, quindi con qualcosa da dire oltre che da indossare, come Platinette (qui nei panni en travesti di Mina in un corto di Gianni Amelio del 1984), Alessandro Cecchi Paone e Cristiano Malgioglio, chiamati sempre a dire la loro sia che si parli di politici che vanno a trans (come Silvio Sircana e Piero Marrazzo) o di gay “oscenamente” riservati come Gianna Nannini e Lucio Dalla.

Luca Martera

(Nella foto, un immagine di un episodio di Un ciclone in convento che la Rai decise di non mandare in onda)