Pubblicato il 16/02/2013, 14:02 | Scritto da La Redazione

IL FESTIVAL DI FAZIO: COSÌ SEMPLICE, COSÌ SOFISTICATO

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Mario Maffucci, storica anima del Festival di Sanremo, analizza lo spettacolo di Fazio a tredici anni dall’edizione che avevano confezionato insieme. Evidenziando la crescita del conduttore.

Ci mettemmo tre mesi con Fabio Fazio per trovare il fil rouge che illuminò l’edizione del 1999: «Il Festival è di tutti» sembra banale, ma è così e non sapete invece quanto quella linea editoriale ci fu utile. Così invitammo Gorbaciov e la casalinga di Voghera ad attraversare nella nostra scenografia il portale simbolico del passaggio dal ‘900 al Terzo Millennio. Con loro una sequela di personaggi (dall’astronauta lunare Aldrin allo stilista delle scarpe Donato Giannino) che dette lo slancio a una delle edizioni più riuscite. La Rassegna del 2013 è la declinazione più matura e più disinvolta di quella filosofia: «Al Festival bisogna voler bene e viverlo con leggerezza».

A Fazio riesce bene, perché sono due sentimenti che gli appartengono. Su questa linea ha portato non tanto gli autori, che da sempre ha scelto per elezione, quanto Rai1 che, nel caso concreto, ha registrato un grande successo con una formula in controtendenza: un Festival completamente destrutturato nella sua liturgia istituzionale (Adriano Aragozzini che è il Grande Guardiano del Festival storico, ma immobile, è arrabbiatissimo); una conduzione semplice, informale, come quella che si potrebbe improvvisare nel salotto di casa durante un «Sanremo dinner»; ma con una forza musicale decisamente fuori del comune.

Se diamo uno sguardo agli ascolti, possiamo anche dire che la formula è in sintonia con i telespettatori. Gli esperti dicono che il target della Rete Ammiraglia si è «ringiovanito» ed è diventato più colto. La «rivelazione» è indubbiamente la Luciana Littizzetto, che è riuscita a trovare un profilo in commedia compatibile con il pubblico di Rai1: disinvolta e schietta, senza gli affondi troppo popolari, che l’hanno caratterizzata a Che tempo che fa. Certo, Fabio l’ha aiutata non poco (ricordo che, nello spettacolo, il ruolo della “spalla” è considerato una parte difficile che non riesce a tutti i conduttori). Fazio è per Luciana l’antagonista ideale: perbenista, borghese progressista, un po’ noioso, ma colto. Tanto da essere definito dal giovane filosofo Edoardo Camurri: «Il piantone della nostra coscienza». Un’etichetta per altro pensata non tanto per Fazio, ma che per lui è perfetta: lui fa la guardia ai nostri buoni sentimenti.

Un successo che costa il 10% in meno dei budget milionari degli scorsi anni: senza grandi ospiti. Si supera così di slancio un pericoloso luogo comune che vuole il consenso del pubblico legato soltanto a forti investimenti. Che cosa ha combinato Fabio? Si è impegnato di persona per la prima volta con un ottimo direttore musicale (Mauro Pagani) nel selezionare un cast di artisti capace di portare all’Ariston complessivamente buona musica. Ha scelto «punte di diamante», avendo il coraggio di dire che sono artisti «eccellenti» (Gualazzi, Silvestri, Molinari e Cincotti, Modà e Elio e le storie tese); ha creato un caso artistico-culturale (La canzone Mononota) e ha ingaggiato una pattuglia di artisti comunque interessanti (Malika Ayane, Annalisa, Cristicchi, Marta Nazionale, Almamegretta, Marta sui tubi, Max Gazzè). Marco Mengoni è primo nella classifica provvisoria, ma – secondo me – non reggerà al combinato disposto con la giuria di qualità. Il primo non sostenuto dal pubblico dei talent è Raphael Gualazzi e, perciò, sembra non bruciato dal televoto. La giuria potrebbe convergere su di lui. Ma la partita è indubbiamente ancora aperta.

Fazio ha recuperato, insomma, con la qualità delle canzoni la scarsa notorietà e popolarità di tanti concorrenti. Al clamore delle Guest Star ha sostituito i volti familiari della TV (le sorelle Parodi sono state tra le più applaudite) dello sport e del cinema. Questo esercito di piccoli personaggi ha punteggiato la scaletta della serata, scandendo il ritmo della comunicazione nel proclamare le canzoni che via via venivano selezionate. Piccole idee, ma intelligenti e alcune di grande impatto come il Và pensiero cantato dal coro dell’Arena di Verona e restituito a Vivaverdi per l’Unità d’ Italia (quindi scippato a Bossi); il Coro dell’Armata Rossa, partner di lusso per Toto Cutugno (oggi un divo nella Russia di Putin); il flash mob con 50 donne sul palcoscenico del teatro sanremese nello stesso giorno in cui avveniva nelle piazze di tutto il mondo (contro la violenza sulla donna); senza chiudere la porta alla realtà del nostro Paese infastidito dalla rissa quotidiana della Politica (…e allora vai, dai, Crozza, vai…).

Un Festival non disancorato dagli anni che viviamo e agganciato alle tendenze della contemporaneità. Io l’ho vissuto con particolare intensità come un “sequel” di un film che ha avuto successo per una storia cominciata nel 1998 (anno in cui fui bloccato dal dg Iseppi e dal direttore di Rete Tantillo, che non credettero alla mia proposta) rilanciata però con forza nel 1999 e vissuta nuovamente nel 2000 con un Luciano Pavarotti, illustre ma inutile notaio perché ostacolato da Nicoletta Mantovani a duettare con Nilla Pizzi in Grazie dei fior. Chissà che cosa avremmo potuto proporre quell’anno… ma tant’è… quella storia è finita, Luciano non c’è più e Nicoletta Mantovani fa parte della giuria di qualità. Quando si dice che Fazio è un uomo del nostro tempo… così semplice… così sofisticato.

 

Mario Maffucci

 

(Nella foto Fabio Fazio e Lucina Littizzetto)