Pubblicato il 27/01/2013, 12:30 | Scritto da La Redazione

PERCHÉ BISOGNA EVITARE A OGNI COSTO LA SVENDITA DI LA7

PERCHÉ BISOGNA EVITARE A OGNI COSTO LA SVENDITA DI LA7
Massimo Mucchetti, su “Il Messaggero”, evidenzia come la vendita della rete di Telecom Italia Media sia un errore, dal punto di vista economico, politico e sociale. Rassegna stampa: Il Messaggero, pagina 14, di Massimo Mucchetti. Perché bisogna evitare a ogni costo la svendita di La7 Caro direttore, nella disattenzione generale, il Gotha del capitalismo nostrano […]

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Massimo Mucchetti, su “Il Messaggero”, evidenzia come la vendita della rete di Telecom Italia Media sia un errore, dal punto di vista economico, politico e sociale.

Rassegna stampa: Il Messaggero, pagina 14, di Massimo Mucchetti.

Perché bisogna evitare a ogni costo la svendita di La7

Caro direttore, nella disattenzione generale, il Gotha del capitalismo nostrano si prepara a spegnere La7, edita da TiMedia. Incuranti dell’ora (siamo alla vigilia delle elezioni) e del ruolo di questa tv (terzo incomodo tra Rai e Mediaset), Mediobanca, Generali e Intesa Sanpaolo intendono consegnare La7 probabilmente a Urbano Cairo (l’altro pretendente, il fondo Clessidra, pare sfavorito). Antico segretario di Silvio Berlusconi, abile manager del settore pubblicitario e poi editore in proprio, Cairo è un imprenditore brillante e risparmioso. Il silenzio con cui ha fin qui accompagnato la sua scalata a La7, favorita da un contratto capestro per la pubblicità che TiMedia ha sottoscritto con lui, fa pensare a una tv che, in futuro, cercherà il profitto riducendo i costi più del fatturato, anche al prezzo di perdere la battaglia degli ascolti.

Niente di male, per l’imprenditore Cairo. Ma dal punto di vista di Telecom Italia, padrona di TiMedia? E dal punto di vista del Paese? Ora, i principali azionisti di Telecom Italia non hanno mai mostrato un rigore altrettanto radicale in altri mass media di cui hanno il controllo, per esempio in Rcs Mediagroup. C’è qualcosa che stride. Quando rilevarono il pacchetto Telecom dalla Pirelli, costoro accettarono di pagare un sovrapprezzo enorme. E adesso, novelli Quintino Sella, scoprono la politica della lesina su un affare che, dal punto di vista economico, è del tutto irrilevante nel contesto gigantesco del gruppo Telecom. L’Ebitda de La7 è oggi negativo per 34 milioni (meno del costo annuale della security degli scandali dei tempi di Tavaroli), mentre l’Ebitda di Telecom Italia positivo per 12 miliardi. Eppure, «cediamo la tv al più presto, se necessario anche con una dote per l’acquirente», è stata la reazione del cda dopo la lettura del piano industriale che pure prevede il pareggio operativo di TiMedia nel 2015, certo con una tv ancora in rosso. Un piano, si badi, fatto da un ceo fresco di nomina.

IL PROBLEMA TELECOM Questi grandi azionisti non avevano battuto ciglio un anno fa quando vennero respinte le profferte di un editore dalle spalle ben più larghe ancorché cauto negli esborsi, dicendo che TiMedia valeva 1 miliardo. Ma allora perché accade tutto questo, e che cosa si può fare di meglio? Temo ci sia un po’ di piccola bottega. Provocare, a questo punto, la svendita de La7 verrebbe letto come un colpo all’amministratore delegato di Telecom Italia, Franco Bernabè, che fin qui l’ha difesa riscuotendo i consensi di star come Enrico Mentana e Gad Lerner. L’editore è libero di giudicare come meglio crede l’orientamento politico-culturale della rete ed eventualmente cambiarlo, se crede. Ed è anche libero di vendere. Ma c’è modo e modo. I conti dicono che, per Telecom Italia, il problema non è La 7 ma Telecom Italia stessa: un’azienda che soffre in Borsa e fatica a investire perché oppressa da un debito tuttora ingente, ma non riesce ad aprirsi a nuovi soci. Il passato tiene in pugno il futuro e non sarà la cessione de La7 a liberare Telecom Italia. Colpa di un management che non propone brillanti progetti d’investimento e di alleanza o di soci eccellenti i quali subordinano qualsiasi nuovo ingresso nel capitale al pagamento di un pedaggio che li salvi dal loro antico errore?

Forse, un modo di procedere più ordinato, che affronti i problemi a seconda della loro importanza, ricollocherebbe la questione de La7 al posto suo e darebbe il tempo, passate le elezioni, di considerare il futuro del terzo polo (piccolo ma dall’audience promettente) nel nuovo quadro normativo che si avrà sul Sistema integrato delle comunicazioni e sui conflitti d’interesse. La legge Gasparri, nata già vecchia, è divenuta rapidamente vecchissima per l’effetto combinato della crescente strapotenza di Google (ormai terza concessionaria italiana, che paga, si fa per dire, le tasse in Irlanda e non è nemmeno censita) e della crisi strutturale dell’editoria e della tv aggravata dalla recessione. Le norme sui conflitti d’interesse, almeno per quanto riguarda i concessionari dello Stato, potranno essere approfondite con qualche conseguenza negli assetti del settore televisivo. E allora, chissà, ci potrebbe essere un rimescolamento delle carte potenzialmente interessante anche per La7. Mentre la casa madre Telecom Italia potrà ripensare il proprio futuro azionario, manageriale e industriale, senza nascondersi dietro piccoli alibi.