Pubblicato il 21/12/2012, 15:37 | Scritto da La Redazione

FEDERICO TADDIA, TRA I MAYA E FIORELLO

L’autore e conduttore è al timone di “Big Bang!”, programma di divulgazione scientifica per ragazzi in onda ogni venerdì su DeaKids (canale 601 Sky): in un’intervista a TVZOOM ha raccontato la genesi del programma, oltre che il suo rapporto con Fiorello e col team di Ballarò.

Spiegare i grandi misteri della Storia ai più piccoli. In modo divertente, leggero, senza trascurare il rigore scientifico. È questo l’obiettivo della terza edizione di Big Bang!, ogni venerdì alle 21.00 su DeaKids. Al timone, due traghettatori la cui competenza non è affatto un mistero:  a Federico Taddia, conduttore televisivo e radiofonico, autore della squadra di Fiorello, di Ballarò, e di Topolino, il compito di interagire in studio con il “detective del paranormale”, divulgatore scientifico e cofondatore del CICAP, Massimo Polidoro.
 «In studio, ci suddividiamo i compiti: io fingo di essere quello disinformato sui misteri che andiamo a trattare, chiedo aiuto a Polidoro che, con le sue spiegazioni, svela i segreti a me e ai ragazzi».
Federico, qual è il segreto per avvicinare i più piccoli alla divulgazione scientifica?
«Il segreto è proprio mantenere il rigore scientifico nelle spiegazioni. Mostrare cose anche complicate utilizzando un linguaggio semplice, fatto magari di metafore, aggiungendovi la leggerezza di qualche battuta o esempi surreali. Facendo però informazione seria».
Oltre alla sviscerata questione sui Maya, a quali altri misteri vi approccerete, nel corso delle puntate?
«Parleremo di Stonehenge, del Triangolo delle Bermuda, dell’isola di Pasqua, del Diluvio Universale. Ci addentreremo nei misteri delle Piramidi, della loro fisicità. Ogni racconto sarà intrigante per qualche ragione specifica. Passo dopo passo, sfateremo miti e leggende attorno a questi argomenti, raccontando ai ragazzi la verità scientifica, l’unica attendibile».
A proposito di verità scientifica e televisione: c’è spazio, a oggi, per una corretta divulgazione, facendo del mezzo tv anche uno strumento davvero pedagogico?
«Io sono un sostenitore della “made education”. Che significa dare a ciascuno i mezzi per padroneggiare al meglio uno strumento, e la capacità di utilizzarlo secondo coscienza e secondo le proprie esigenze. La tv non è esclusa da questo. Certo, in assenza di filtri può essere una bomba a senso unico, farti credere che tutto sia vero o tutto sia finto. Per non perdere la propria capacità di analisi, è fondamentale avere sempre una fruizione attiva del mezzo tv».
Lei è anche autore di Topolino, alfiere della razionalità nei fumetti. Un Topolino nell’epoca contemporanea, che mestiere farebbe?
«Bella domanda! Secondo me, potrebbe fare il taxista: Topolino ha una spiccata attitudine a comunicare con le persone, a conoscere una varietà eterogenea di individui, stando a contatto con la gente».
A proposito di contatto con la gente: tra le sue collaborazioni, c’è anche quella autorale con Fiorello. Come è entrato nella sua squadra di autori?
«Ci sono entrato in un modo che, a raccontarlo, sembra quasi favolistico. Sono sempre stato un fan di Fiorello, l’ho sempre ascoltato in radio e visto in tv. Così ho iniziato a pensare a qualche testo che potesse andare bene per lui e ho iniziato a mandarglielo. Ironia della sorte, lui in quel periodo aveva bisogno di trovare nuovi collaboratori, ha letto i miei testi e mi ha contattato. Dopo un periodo di rodaggio, di studio reciproco, siamo entrati in sintonia professionale».
Sembra davvero un racconto irreale! Lavorando a stretto contatto con lui, quali sono i tratti distintivi del suo modo di lavorare? Come nasce un’idea per un suo monologo?
«Partiamo da un presupposto: lui è un talento pazzesco. La sua forza sta nella velocità intuitiva, nella capacità di cogliere al volo un dettaglio e, da lì, costruirci un argomento. La rapidità mentale è la sua arma in più. Per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro, ogni autore ha una sua sfera di influenza specifica. Io mi occupo di satira e attualità. Spulcio tra gli avvenimenti importanti del quotidiano e inizio a buttar giù delle idee per i testi. Fiorello li valuta, alcune volte li accetta, altre li boccia, altre ancora li utilizza come base su cui costruire parte dei suoi spettacoli».

In questo periodo, lei sta contribuendo al successo di share di Ballarò. Qual è il segreto della trasmissione di Floris? Quale direzione stanno intraprendendo i talk show politici, in termini di linguaggio e di meccanismi televisivi?
«Credo che il successo di Ballarò sia legato al far tornare al centro del dibattito un contenuto politico chiaro e riconoscibile. Niente risse, niente televisione urlata. La gente è stufa di quegli aspetti della politica. Vuole un contenuto visibile, nuovo, all’interno però di un cerimoniale di presentazione ben conosciuto. Questa è la forza di un talk show di successo: uno spettatore è tranquillizzato dal sapere già come si svolgerà la serata e, nel contempo, catturato dalla solidità dell’argomento trattato. Un po’ come in una partita di calcio: conosci già le regole, ma resti sorpreso dagli schemi attuati in campo».
Oltre a Ballarò, quale altro talk show l’ha sorpresa positivamente?
«Non mi dispiace il lavoro svolto da Lerner, specie per il coraggio nella scelta degli ospiti. Per ritmo e sguardo sulla società, scelgo Formigli».
A quali altri progetti sta lavorando Federico Taddia?
«Sono contento di essere tornato a RaiScuola con Nautilus. Fa parte di un servizio pubblico di nicchia, ma consente molta sperimentazione. E poi, mi piace tornare nelle scuole. Sono a mio agio anche a Radio 24, con L’altra Europa, una finestra con tanti spazi tematici. A me piace raccontare la provincia, la sua vita quotidiana, le sue storie, i suoi riferimenti. Quello è il tipo di narrazione che mi affascina di più».

Ha parlato di servizio pubblico. Quello della Rai, è svolto al meglio delle sue potenzialità?
«In Rai per troppo tempo si è pensato più allo share che al servizio. A volte si dovrebbe avere il coraggio di sperimentare maggiormente, anche a costo di perdere ascolti sul breve periodo. Spesso, inoltre, la parola “servizio pubblico” va a braccetto con la noia, nell’immaginario collettivo. Invece si può fare una bella televisione anche di servizio».
Specie oggi, nell’era della crossmedialità.
«L’essenziale è sapere sfruttare appieno la potenzialità della crossmedialità. Creando una propositiva contaminazione dei mezzi di comunicazione. Limitarsi ad avere Twitter in trasmissione, per dirne una, è riduttivo e serve solo ad assecondare una moda corrente».

Gabriele Gambini

 

(Nella foto Federico Taddia)