Pubblicato il 19/12/2012, 17:02 | Scritto da La Redazione

MAX LAUDADIO: «ERO UN CALCIATORE, MA VOLEVO FARE TV. TRA I MIEI SOGNI C’È CANTARE A SANREMO»

Faccia a faccia con uno dei più famosi inviati di “Striscia la notizia”, che ha raccontato a TVZOOM i momenti più eclatanti delle sue inchieste, le sue ambizioni professionali, i suoi progetti per il futuro.

Una cosa che non sapete di Max Laudadio: è un collezionista di galline. Immagini, statuette. Ne ha di tante forme e colori, provenienti da ogni parte del mondo.

«Una mia mania, retaggio forse dell’infanzia». Sarà che gallina vecchia fa buon brodo. Ma nel suo caso è un brodo di giuggiole, considerata la sua carriera televisiva di inviato a Striscia. «Momenti di paura come inviato? Ce ne sono stati, ma non mi è mai capitata una situazione in cui ho temuto davvero il peggio», mi dice con quella sua aria, a metà tra il serafico e lo spregiudicato, che fa di lui uno dei più implacabili smascheratori di truffe.
Laudadio è uno di quelli che non mollano mai. Uno che non lascia, caso mai raddoppia. Forte di un cognome accostabile alle alte sfere celesti, è diventato addirittura ubiquo, creandosi l’alter ego del Cicalotto, supereroe che non le manda a dire, ronzando attorno agli imbroglioni. Una vocazione? Forse. Specie perché «Fino ai diciassette anni sono stato calciatore professionista. Mi si prospettava un futuro da atleta, ma il mio sogno era di fare televisione. Così, da un giorno all’altro, ho stracciato il mio cartellino di giocatore e, tra lo sconcerto dei miei familiari, ho scelto di diventare attore».
Sarà per questo che i suoi servizi vanno in gol.
A dicembre è uscito per RTI Fivestore il Manuale Anti Furbi, vademecum contro le truffe ispirato alle inchieste di Striscia.
«Ho letto il libro e ne sono compiaciuto. Non è una pubblicazione ufficiale legata a Striscia, ma racconta casi eclatanti prendendo spunto dalle nostre inchieste. È un libro importante, fornisce riferimenti essenziali documentati per non cadere nelle trappole tese dai professionisti dell’imbroglio».
All’interno del libro, c’è qualche inchiesta particolarmente eclatante che la riguarda?
«Ce ne sono molte. Tra le tante, mi viene in mente il caso clamoroso legato a un giro di vendite online di falsi orologi di una griffe prestigiosa. Abbiamo documentato l’episodio con ben quattro servizi. L’autrice della truffa era una personalità davvero spregiudicata. Dapprima abbiamo scoperto che, una volta effettuato il pagamento online, anziché la merce ordinata venivano recapitate delle buste contenenti del sale (curioso, il sale è una costante dai tempi di Wanna Marchi, nda). Ma non finisce qui. La signora in questione era riuscita a costruirsi una vera e propria vita parallela, ostentando una sua presunta relazione con un popolare divo di Hollywood, documentata in rete con foto e notizie riprese anche da qualche sito ufficiale di gossip. Andai a intervistare il famoso attore, che dichiarò di non conoscerla neppure. Lei tuttavia non si curava di questo. Anzi. Dichiarò candidamente che con il denaro ricavato dagli imbrogli si era rifatta il naso, migliorata i capelli, etc. Una grande esaltazione della truffa all’italiana».
Più volte si è trovato di fronte a reazioni violente dei personaggi colti in flagrante. Non ha mai temuto il peggio?
«Ho rischiato tante volte di prendere botte. In qualche caso le ho anche prese. Ma non mi sono mai trovato dinanzi a situazioni di paura estrema, ho sempre avuto la sensazione di mantenere il controllo. Tranne forse una volta, circa dieci anni fa, con un caldaista. Lo chiamammo per verificare le condizioni di una caldaia nuova di pacca. Lui disse che andava sostituita. Io saltai fuori dall’interno di un armadio con microfono e telecamera per chiedergli conto della sua valutazione, lui tirò fuori un cacciavite, me lo puntò alla gola e mi disse: “Non mi interessa chi sei e per chi lavori, se mandi in onda il servizio ti ammazzo”. Ecco, in quel caso, un po’ di paura c’è stata, l’individuo aveva modi davvero persuasivi».
Croce e delizia di stare alle calcagna dei truffatori?
«In realtà, alcuni miei colleghi rischiano molto di più. Penso a Edoardo Stoppa e alle sue inchieste sugli animali maltrattati. In genere, chi maltratta gli animali non si fa problemi a essere violento anche con gli uomini. Oppure penso a Luca Abete, che si muove in territori difficili, dove spesso la criminalità non le manda certo a dire».
Da qualche tempo, Max Laudadio si trasforma anche nel Cicalotto, alter ego ormai entrato nell’immaginario collettivo.
«Ah, quella è stata un’idea di Antonio Ricci! Io coltivavo il desiderio di fare qualcosa che mi affrancasse dal cliché del classico inviato. Ho un background di teatro, recitazione, non volevo essere inquadrato in un unico stereotipo. Da tempo Ricci continuava a dirmi: “Max, tu sei uno che cicaleggia, se fossi un animale saresti una cicala”. Mi propose di calarmi nel personaggio. Sulle prime, rifiutai, preda dell’imbarazzo. Poi ho capito il paradosso, l’idea divertente di fare l’inviato e nel contempo la parodia dell’inviato stesso. Risultato: dopo tre anni di dubbi, ho accettato. Ora la gente mi riconosce per strada sia per il mio essere Max, sia per il mio essere  Cicalotto. Soprattutto i bambini, impazziscono per il personaggio».
Da che cosa dipende la scelta di effettuare un’incursione nelle vesti di Max o in quelle di Cicalotto?
«Al Cicalotto riserviamo i servizi più leggeri, quelli meno impegnativi. Il Laudadio ufficiale si occupa delle inchieste serie».
Come definirebbe Antonio Ricci?
«Senza correre il rischio di cadere nella retorica, userei un solo aggettivo: geniale. Lui è uno dei numi tutelari della tv contemporanea, ha inventato il giornalismo d’inchiesta applicato alla satira. Ha il controllo di ogni situazione. Arriva in redazione alle 8 di mattina e se ne va alle 21. Il suo esempio spinge tutti noi a dare il massimo».
Prima di fare Striscia, lei è stato inviato de Le Iene.
«Ho iniziato la mia gavetta a Matchmusic. Poi è arrivato DisneyChannel, di cui sono stato autore. Poi ho fatto per tre anni l’inviato de Le Iene. Durante una partita della nazionale calcio tv, ho conosciuto Lorenzo Beccati, braccio destro di Ricci. Gli chiesi di lavorare con loro. La difficoltà era legata proprio al mio impegno con Le Iene. Ne parlai con Davide Parenti, che intuì la mia sincera vocazione e mi lasciò andare».
La differenza principale tra le inchieste de Le Iene e quelle di Striscia?
«Sono programmi sostanzialmente diversi. La loro diversità nasce dalla fascia oraria di messa in onda. La tipologia di racconto de Le Iene è molto più estesa, un loro servizio dura a lungo, senza la preoccupazione di essere trasmesso in fascia protetta. A Striscia, la durata massima di un servizio è sette minuti, calibrati per un pubblico fatto anche di bambini, dunque depurati da scene troppo forti».
Fino ai diciassette/diciotto anni d’età, il suo futuro era legato al calcio. Poi che cosa è successo?
«È successo che non era la mia vocazione. Mi sono mantenuto col calcio fino a quell’età. Ho militato nella Lucchese di mister Orrico, il mio ruolo era quello di stopper, ero specializzato in entrate anche dure, il classico mastino della difesa. Da un giorno all’altro, ho strappato il cartellino e non ci ho pensato più. “Voglio fare televisione, affermarmi nello spettacolo”, dissi, con grande costernazione di mio padre».
I sogni son desideri?
«Cerco di insegnarlo sempre a mia figlia. Mai smettere di rincorrere i propri sogni, mai essere sordi al richiamo delle proprie urgenze interiori. Io sono un sognatore e, anche se sono soddisfatto di quanto fatto fino a oggi, non smetto mai di sognare».
Che cosa sogna, professionalmente parlando?
«Tantissime cose. Faccio radio, e mi accorgo che il responso del pubblico è incoraggiante.  Mi piacerebbe fare un musical da protagonista. Poi un grande film, sempre da protagonista. E poi, perché no, andare a Sanremo con una canzone scritta da me, assieme ai musicisti con cui mi capita già di suonare. Non voglio fare il cantante, nella vita, beninteso. Vorrei un’esperienza, una sola, sul palco dell’Ariston. Il mondo dello spettacolo deve essere vissuto, sviscerato a 360 gradi. Un vero artista deve ricalcare il modello della tv americana: lì non esistono stereotipi, compartimenti stagni. Lì, l’unica discriminante è il talento, la bravura dell’invididuo. E il conseguente responso del pubblico. In Italia, siamo indietro rispetto a questo modo di intendere lo spettacolo».
Alla fine, suo padre sarà stato contento della sua scelta.
«Ricordo quando ho debuttato con la Nazionale di calcio tv. Era il giorno della “Festa del papà”. In quella partita, mi capitò di segnar un gol. Mi tolsi la maglia durante l’esultanza, perché sotto ne indossavo un’altra con scritto: “Abbiamo realizzato due sogni: il mio, di fare l’artista, il tuo, di vedermi giocare in una squadra nazionale”».
Progetti all’orizzonte per il 2013?
«Uscirà un mio libro. Si intitolerà Pappalandia. Ho utilizzato l’espediente narrativo del romanzo, per raccontare la mia carriera da inviato. Il protagonista sarà un mio alter ego, al quale ho prestato la mia vita, i miei ricordi, racconterà come si costruisce un servizio inchiesta, dall’inizio alla fine. Una particolarità: si tratta di un pappagallo che si muove in un mondo di animali antropomorfi, di tutti i generi, in cui gli uomini sono gli animali domestici degli animali protagonisti. Scrivere il classico libro autobiografico sarebbe stato presuntuoso e pretenzioso. Così ho scelto una forma surreale e divertente per raccontare la mia realtà. Poi, a fine marzo, a Barcellona, avrà luogo la mia prima mostra fotografica. Si intitola Quattr’occhi sul mondo. Una selezione di 64 fotografie, tutte scattate con degli occhiali davanti all’obiettivo della macchina fotografica. Un tentativo inusuale di vedere le cose. Sperando che alla gente piaccia!».

 

Gabriele Gambini

(Nella foto Max Laudadio)