Pubblicato il 10/12/2012, 12:31 | Scritto da La Redazione

SILVIO TORNA, MEDIASET CADE. LA SVOLTA “PAY” NON PAGA

SILVIO TORNA, MEDIASET CADE. LA SVOLTA “PAY” NON PAGA
Mediaset riguadagna quasi il 10% in una settimana a Piazza Affari e poi riperde tutto in un giorno. Mancano strategie e neanche l’ ennesimo ritorno del Cavaliere sarà una soluzione. I mercati lo sanno e infatti il giorno dopo il giovedì nero della politica italiana il titolo del Biscione perde il triplo del Mib. Rassegna […]


Mediaset riguadagna quasi il 10% in una settimana a Piazza Affari e poi riperde tutto in un giorno. Mancano strategie e neanche l’ ennesimo ritorno del Cavaliere sarà una soluzione. I mercati lo sanno e infatti il giorno dopo il giovedì nero della politica italiana il titolo del Biscione perde il triplo del Mib.

Rassegna Stampa: Affari & Finanza, pagina 1/3, di Stefano Carli.

Silvio torna, Mediaset cade. La svolta “pay” non paga
Mediaset riguadagna quasi il 10% in una settimana a Piazza Affari e poi riperde tutto in un giorno. La fiammata aveva illuso ma era stato solo un fuoco di paglia. Mancano strategie e stavolta neanche l’ ennesimo ritorno del Cavaliere sarà una soluzione. I mercati lo sanno e infatti il giorno dopo il giovedì nero della politica italiana, tra spread che si impenna e destini del governo Monti in discesa libera, il titolo del Biscione perde il triplo del Mib.

A Mediaset serve insomma una cura vera e scelte decise, in particolare su quello che è il nodo centrale del business del Biscione in questo momento: la pay tv. Finora a Cologno hanno rincorso Sky. Prima lanciando i loro canali a pagamento sul terrestre per contrastare quelli di Murdoch, poi invertendo le strategie e passando dalla pay-perview (in cui si compra ogni singolo contenuto) all’abbonamento, poi ancora imitando di nuovo le scelte dello Squalo sull’offerta di programmi via Internet: un “plus” senza costi aggiuntivi per gli utenti per rendere più appetibili gli abbonamenti. Oggi il Biscione può contare su circa 3 milioni di utenti pay: ma solo 2 milioni sono abbonati sui quali poter costruire un’ offerta e calcolare budget per acquisire diritti, l’ultimo milione sono le residue carte prepagate che andranno a scomparire. Ma ancora oggi la pay produce perdite. Una strategia di recupero di sostenibilità dell’asset c’è ed è in corso, ma il problema è che non si sa se e quando darà risultati. E’ una corsa contro il tempo perché il resto del mercato non sta fermo e soprattutto si profila l’invasione dei big della rete. Mercoledì scorso Netflix ha siglato un’intesa con Disney per la distribuzione dei suoi contenuti. E si intensificano le voci che vogliono entro la prima metà del prossimo anno lo sbarco anche in Italia di una Amazon Tv, anche se da Amazon Italia non trapela nulla. Se i giganti della rete iniziano a fare incetta di diritti di film e serie tv da distribuire via banda larga la partita si fa dura.
Intanto Mediaset deve seguire la via crucis dei tagli. Nelle scorse settimane ha ridiscusso con due delle grandi major, Universal e Warner, i contratti in essere. In sostanza il Biscione avrebbe rinunciato all’esclusiva della distribuzione in Italia di un buon numero di contenuti di pregio in cambio di una riduzione della quota di diritti da versare. E già prima era stata siglata una tregua bilaterale con il nemico Sky con la scambio reciproco di partite delle coppe europee di calcio. Così i costi di gestione di Premium scendono ma scende anche l’ appeal dell’offerta. Lo scenario è ulteriormente complicato dal fatto che il mercato sta attraversando una fase estremamente “liquida”, non ci sono certezze. I numeri sono spietati: sta calando la pubblicità, ma cala anche la stessa pay tv. «Il 2012 si sta rivelando un anno davvero nero spiega Augusto Preta, direttore di It Media Consulting, che ha appena concluso il suo ultimo report sul Mercato Televisivo in Italia, con le previsioni fino a 2014 Mediaset e Rai assieme hanno perso in un anno 450 milioni di ricavi. Ma anche Sky è arretrata, seppure di 25 milioni. E anche questo dato nasconde a sua volta l’azione di fattori contrastanti: la pay di Sky è infatti arretrata di oltre 40 milioni in termini di ricavi, più per effetto del calo dei prezzi (minore Arpu) che della perdita di utenti. Ma una metà di quella perdita è stata compensata dalla pubblicità». Insomma, Mediaset e Rai perdono spot mentre il resto del mercato invece cresce. Sarà pure una crescita lenta, con numeri ancora relativamente piccoli, ma il lavoro ai fianchi del vecchio duopolio procede incessante e guadagna terreno. Continua a crescere La7, anche se più lentamente. E crescono soprattutto i nuovi canali digitali: è dunque una crisi selettiva. E’ in questa situazione di incertezza che i protagonisti del mercato stanno cercando nuove soluzioni. Anche in questo caso è Sky a manifestare le scelte più innovative. E proprio in tema di distribuzione via Web. In casa Murdoch si sta iniziando a mettere in soffitta il comandamento che voleva Internet solo come complemento dell’offerta maggiore, via satellite. Per ora solo in Gran Bretagna, nel laboratorio BSkyB si possono adesso comprare i programmi di Sky via Internet, per vederli su tavolette, smartphone e pc anche se non si ha un abbonamento tradizionale. Una formula a cui Sky Italia smentisce di pensare («Business model troppo diversi rispetto all’Inghilterra»). Ma anche in questo caso “mai dire mai”. Seguendo le cifre dell’analisi di It Media la novità emerge con chiarezza. «Al 2014 l’ andamento del mercato della pay tv in Italia mostra tendenze apparentemente contrastanti  – spiega ancora Preta – I ricavi da pay su satellite, quindi Sky, saranno in calo di quasi 50 milioni; quelli della pay terrestre, ossia Mediaset Premium, saranno cresciuti di 100 milioni, che in questo caso valgono relativamente molto di più perché rappresentano un incremento del 20%. Ma i numeri vanno letti. E se i 50 milioni in meno di Sky sono poca cosa rispetto a una base di 2,4 miliardi (peraltro compensati da altri ricavi), i 100 in più di Mediaset rappresentano l’arrivo a regime di un Arpu più vicino all’attuale livello base dell’abbonamento di 24 euro al mese al netto di ogni tipo di promozioni e sconti. Incrociando i dati, questo vuol dire che le prospettive di qui a due anni prevedono che Sky dovrebbe riuscire a mantenere la sua redditività media mensile per abbonato attorno ai 40 euro, e quindi continuare a navigare in acque relativamente tranquille. Mediaset, una volta portato l’Arpu attorno ai 20 euro, potrebbe iniziare a coprire i costi. Ma il ritorno degli investimenti è ancora lontano».
Di crescere dunque non se ne parla. Almeno sul livello alto del mercato. Ma possono esserci altre strade. C’è chi è fermamente convinto che ci sia spazio, anche in Italia, per un’offerta di contenuti video tra gli 8 e i 12 euro al mese: niente eventi, niente dirette, una programmazione ragionata tra un palinsesto on demand e la coda lunga di un catalogo da distribuire in pay-perview, grazie alla banda larga, alle tv connesse e, in misura decrescente, ai decoder. Secondo le stime di It Media è un mercato che si svilupperà a partire dalla fine del prossimo anno e che quasi triplicherà il suo volume in dodici mesi, arrivando a fine 2014 attorno ai 200 milioni. E’ su questo mercato che puntano già oggi la Cubovision di Telecom e la Chili Tv di Stefano Parisi. Ma è su questo stesso mercato che arriverà Amazon Tv e, quando deciderà di scendere dall’Inghilterra al sud Europa, la stessa Netflix. La sfida di Mediaset è capire in quale parte del mercato vuole collocarsi. E deve farlo in fretta per evitare la marginalizzazione. Certo è significativo che una buona parte della conferenza stampa di mercoledì scorso a Milano, curiosamente organizzata per presentare l’acquisizione di una tv egiziana ceduta da Naguib Sawiris, sia stata dedicata da Tarak Ben Ammar a smentire di essere interessato a comprare La7 di Telecom e la pay tv di Mediaset. In effetti all’annuncio della conferenza stampa di Ben Ammar, lunedì scorso, complice anche la scelta di non anticipare nulla circa la novità che sarebbe stata presentata, il titolo di Mediaset aveva preso a salire. Ma dev’essere stata una coincidenza: registrato il no di Ben Ammar il titolo del Biscione non si è infatti fermato ma ha continuato a salire fino a tutto giovedì. Miglioramenti nelle prospettive pubblicitarie e degli ascolti? Niente. Arrivo di soci in vista? Nemmeno. E allora? secondo gli analisti finanziari tutto molto più banale: il mercato ha apprezzato i tagli ai costi e nulla più. E poi, ormai, è un titolo così “sottile” dicono che anche i pochi movimenti dei day trader lo influenzano. E infatti i volumi scambiati sono stati bassissimi. E non ha contato nemmeno la ridiscesa in campo di Silvio Berlusconi. Anzi: l’idea che gira a Piazza Affari è che se avesse dovuto avere davvero un effetto, sarebbe stato quello di mandare il titolo giù a precipizio. E il venerdì è esattamente quel che è successo.