Pubblicato il 16/11/2012, 17:41 | Scritto da La Redazione

I MILLE VOLTI DI FRANCESCO SALVI

I MILLE VOLTI DI FRANCESCO SALVI
  Faccia a faccia con l’attore lombardo: il successo clamoroso negli anni ’80 e ’90, i ruoli comici che lo hanno reso famoso, la svolta drammatica nei film d’autore, i libri, le fiction, l’attuale impegno televisivo con “Un passo dal cielo 2”, su Rai Uno e “Talent High School”, su Super!. Se devo parlare di Francesco Salvi, […]

 

Faccia a faccia con l’attore lombardo: il successo clamoroso negli anni ’80 e ’90, i ruoli comici che lo hanno reso famoso, la svolta drammatica nei film d’autore, i libri, le fiction, l’attuale impegno televisivo con “Un passo dal cielo 2”, su Rai Uno e “Talent High School”, su Super!.

Se devo parlare di Francesco Salvi, sono di parte. Salvi è Salvi. E basta! (cit.). Poliedrico, stralunato, travolgente, stravolgente, è entrato a gamba tesa nel mondo della televisione ridefinendo i canoni della comicità surreale, ne ha scardinato la porta a colpi di chitarra e pianoforte quando, oltre a Spostare una macchina, ha spostato il baricentro del successo diventando il personaggio più popolare delle hit discografiche. Si è reinventato più e più volte. Ha scritto libri (l’ultimo, in ordine di tempo è Zeitgeist, uscito con Rizzoli). Ha interpretato ruoli brillanti, ma anche seriosi (La rentree), al cinema e alla tv. È stato apprezzato da Fellini. Corteggiato da Mel Gibson. Vanta quattro edizioni di Sanremo alle spalle. Quest’anno lo vediamo impegnato ne Un Passo dal Cielo 2, su Rai Uno, e in Talent High School, sit com per ragazzi su Super!.
Il talento di Salvi “Non è Bachelite“, parafrasando una canzone che lui stesso ha composto per Mina. E’ adamantino. Cala la carta del paradosso con un’energia quasi incosciente, tiene banco e al contempo lo sbanca, poi svela il trucco, si toglie la maschera del grottesco mostrando una venatura di malinconia nascosta.

Francesco, in questo periodo la vediamo impegnato in tv con la seconda serie di Un passo dal Cielo, su Rai Uno e su Super! con Talent High School. Due progetti differenti ma complementari.
«Due sfide appassionanti. Un passo dal cielo è una sfida relativa, si tratta di un progetto consolidato, vincente, da subito destinato al successo presso il grande pubblico. Talent High School è una scommessa che ho accettato molto volentieri, perché è un ottimo prodotto destinato ai giovani. Partecipo sempre volentieri ai progetti per i ragazzi: hanno le orecchie sveglie, sono sempre sinceri, non sopportano la falsità e i programmi troppo bamboleggiati, inclini a vezzeggiarli. In ogni esperienza artistica da me fatta, ho sempre cercato il loro responso».
Proprio i giovani avevano decretato il successo del suo personaggio in Un Medico in Famiglia.
«La forza di Un Medico in Famiglia stava proprio nel veicolare messaggi anche importanti senza scordare l’approccio umoristico. Il divertimento era coniugato a un’indicazione valoriale. Per questo, secondo me, quando Lino Banfi, Ugo Dighero e io siamo usciti dal cast, la fiction ha perso un poco di consistenza narrativa. Per fortuna Banfi tornerà nella prossima stagione».
Dal 15 novembre la vedremo anche nelle sale cinematografiche assieme a Giobbe Covatta e Angela Finocchiaro con Il sole dentro, di Paolo Bianchini.
«Un progetto a cui tengo molto. È stato presentato e premiato al Giffoni Film Festival.Tutto è nato tre anni fa al Festival di Terni. Bianchini voleva lavorare a una pellicola basata su una storia vera: l’esperienza di Yaguine e Fodè, due adolescenti della Guinea che dopo aver scritto lettere su lettere alle “Eccellenze d’Europa” a nome di tutti i bambini africani, non ottenendo risposte hanno intrapreso un viaggio per recapitare di persona il loro messaggio. Si sono imbarcati nel vano del carrello di un aereo, dove sono stati trovati senza vita. A poco a poco, abbiamo ottenuto i fondi per la realizzazione da Unicef e Unesco. E la distribuzione di Medusa».
Questo è il suo tratto peculiare: l’incredibile poliedricità. E’ vero che ha scritto la canzone Bachelite per Mina?
«In realtà l’ho scritta per mia moglie. Poi è stata inserita da Mina in un suo album, in una versione riarrangiata. Ti racconto un aneddoto circa quel pezzo. Ai tempi in cui Alessandro Greco conduceva sulla Rai il programma Furore, fui invitato come ospite. Chiesero ai concorrenti di elencare le canzoni di Mina che iniziavano con la “B”. Io dissi: “Bachelite, l’ho scritta io”. Nessuno ci credette. Nemmeno il notaio. Risultato: la risposta non fu considerata valida».
La canzone è figlia del suo clamoroso successo musicale di fine anni ’80.
«In quel periodo ero il personaggio del momento. Ora devo aspettare un momento…per tentare di tornare a esserlo (ride, nda). Ho tanti bei ricordi legati ai miei dischi di successo, nati parallelamente al programma Megasalvishow, trasmesso su Italia Uno sul finire degli anni’80. Da lì andai anche sul palco dell’Ariston, a Sanremo».
Ieri era più facile proporre idee innovative rispetto a oggi?
«Sul piano dell’innovazione, le cose hanno iniziato a cambiare dopo il 1993. Tutto è diventato più standardizzato, per certi versi omologato. Un tempo, era sufficiente sviluppare una buona idea, incontrare i gusti di un produttore, per avere campo libero e svilupparla al meglio. Non è mai stata una questione di budget: MegaSalvishow, per esempio, fu un programma di notevole successo realizzato con un budget molto basso. Non avevo bisogno nemmeno dello studio».
MegaSalvishow era la sintesi di quella comicità che aveva iniziato a sperimentare col Drive In
«Approdai al Drive In alla terza edizione, nel 1987. Megasalvi partì nel 1988, dopo la puntata pilota iniziai a lavorarci duramente. Come ti dicevo, non c’era uno studio vero e proprio. Si diceva fosse realizzato nello studio 12 di Mediaset, che in realtà era poco più di un garage. Un’idea che si sposa benissimo con C’è da spostare una macchina. Le puntate duravano un quarto d’ora circa, tutto era molto frenetico e condensato».

Anni dopo arrivò Polo Ovest, un contenitore simile, con tempi di puntata più dilatati.
«La sua storia è travagliata. All’inizio fu pensato per essere trasmesso da un network di reti regionali, all’interno di un pacchetto di programmi (tra i quali uno era condotto da Gianfranco Funari e uno da Marina Suma) che al suo interno prevedeva già spazi pubblicitari di alto livello. In realtà, molte tv locali tolsero gli sponsor importanti per inserire i loro. Parte del progetto saltò e Polo Ovest fu trasmesso dalla sola Antenna 3, grazie al mio socio Carlo Nicolella. All’interno, continuai col filone di personaggi inventati col Megasalvi».
Dolan Dyg e Perry Naso, oltre alle rubriche surreali. Tutto era legato da un filo conduttore.
«Dolan Dyg, che ho montato io dall’inizio alla fine, era un personaggio nato dalla popolarità di Dylan Dog. Una serie di sketch in bianco e nero in cui ho inserito spezzoni di film horror storici come Nosferatu e il primo Frankenstein. Le rubriche nascevano da un’idea portante: in televisione esistono un sacco di rubriche di cui spesso si ricorda solo il titolo ad effetto, e al cui interno si racconta poco o niente. Viene quasi da pensare: “Bello il titolo della rubrica: ma dov’è la rubrica?”».
Lei è nato a Luino: il lago Maggiore ha visto crescere, oltre a lei, personaggi del calibro di Renato Pozzetto, Enzo Iacchetti, Massimo Boldi, gli scrittori  Piero Chiara e Vittorio Sereni…
«Sarà l’aria del lago. Ispira una tendenza a favoleggiare, a inventare. I miei territori da sempre hanno raccontato storie di suicidi e di contrabbandieri. Il Lago Maggiore era una terra di confine. Un’aria malinconica, introspettiva. Che ha ispirato Piero Chiara, il grande Vittorio Sereni. Anche Dario Fo. Però, come si dice, nemo propheta in patria. Nel senso che gli abitanti del luogo, con gli estranei magnificano le doti dei loro conterranei di successo, ma nei fatti li considerano come persone qualunque. Non li chiamano per eventi o per organizzare laboratori artistici. Sarà perché sono abituati a considerarli persone comuni, di famiglia».
Oltre ai progetti televisivi e cinematografici, ha scritto numerosi libri, molti umoristici, e il noir Zeitgeist (Rizzoli). Ci sono in cantiere altri testi?
«Mi piacerebbe tanto che venisse ripubblicata la mia Storia Umoristica della Letteratura: un itinerario comico e grottesco sui personaggi della letteratura di ogni tempo. Doveva uscire con Mondadori, poi venne sostituita la dirigenza e, come spesso accade, anche i progetti ad essi legata cambiarono. Ho anche tradotto diversi libri. Ora sto per terminare La bella Enea, una storia ambientata nella Luino della mia adolescenza. Al suo interno ci sarà spazio per personaggi teneri e lunari, che ho conosciuto quando ero piccolo. Un bambino veneto, denominato Scattolon, giunto a Luino e proveniente da un paese alluvionato. Poi il mio compagno di classe Amilcare Cazzoni».

Amilcare Cazzoni?
«Beh, non è colpa sua se si chiamava Amilcare».
Francesco Salvi rifarebbe tutto ciò che ha fatto nella sua lunga carriera?
«Non solo lo rifarei tornando indietro nel tempo, ma lo rifarei anche adesso, se ci fosse lo spazio per farlo».
Qualcosa le manca?
«Vorrei che vedesse la luce il progetto per un film da girare negli USA. Il finaziamento è tutto privato, ci sono stati dei problemi, ma ci sto lavorando. E poi vorrei fare più teatro. Ho in cantiere il progetto per un recital/musical in collaborazione col Teatro Nazionale di Milano. Sto mettendo in piedi anche una sorta di teatro racconto, che prevede la mia presenza sul palco a fianco di tre musicisti. Mi è sempre piaciuta l’idea di un palco vuoto, minimalista, valorizzato dal gioco di luci e dalla capacità degli attori di raccontare. Con la piccola, luminosa scritta “Vietato fumare” sullo sfondo».
È difficile fare teatro in Italia?
«C’è un meccanismo strano, nel teatro, in Italia: pochi oligarchi decidono chi deve lavorare e chi no».
È così anche per la televisione?
«Ricordo quando, a Roma, incontrai Mariella Nava: mi disse che, dopo aver fatto Sanremo, era scomparsa dalle scene. Nessuno la chiamava più. Non c’era una ragione precisa. In Rai può succedere che, di colpo, un personaggio non venga più contattato per lavorare, in base a criteri poco chiari. Parlando di un ente pubblico, questo non è accettabile. In passato era accaduto a Rita Pavone, a causa del suo matrimonio con Teddy Reno. Ma erano i tempi della Rai moralista di Bernabei».
L’ampliamento dei canali col DTT e l’avvento di internet potrebbero contribuire a migliorare la situazione?

«Su questo non sono ottimista. Il digitale terrestre consente un ampliamento dei canali e la rete garantisce esposizione a tutti. Ma, siamo sempre lì, le decisioni vengono prese comunque dai soliti noti. E il rischio è che anche i nuovi spazi vengano occupati dagli stessi. Anche le notizie su Twitter acquistano rilevanza solo se qualcuno dà loro spazio sui quotidiani, sia online, sia cartacei».
Francesco Salvi è un tipo tecnologico? E guarda la tv, oltre che farla?
«Tecnologico il giusto. Ho uno smartphone ma non ho un I-pad. Guardo poca tv, dipende dalle circostanze. A Roma e a Milano ho il televisore, apprezzo la programmazione di RaiMovie. A Luino, no. Ne approfitto per leggere e per lavorare».

P.S. Questo articolo è dedicato a tutti tranne che a “Illo”.

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto Francesco Salvi in Un passo dal cielo)