Pubblicato il 25/10/2012, 13:32 | Scritto da La Redazione

EMANUELE FILIBERTO DI SAVOIA: «NON PRESENTEREI MAI SANREMO, FORSE MI VEDRETE IN AMERICA ALLA FINE DEL 2013»

Torna in prima serata su Rai2 l’appuntamento con “Pechino Express”, e per l’occasione l’erede di Casa Savoia ha raccontato a TVZOOM le sue impressioni sul format, non trascurando qualche anticipazione sul suo futuro.

Pechino Express somiglia a un treno che è partito lentamente, quasi fosse un locale e poi, sospinto dall’energia cinetica di un consenso crescente, si è trasformato in un rapido. Stazione dopo stazione, i passeggeri, leggasi gli spettatori, hanno alimentato la sua corsa trasformando in evidenza inconfutabile quelle prospettive di share agli esordi solo velleitarie. «Merito della sua formula, un mix di entertainment, avventura e informazione documentaristica accattivante», dice un soddisfatto principe Emanuele Filiberto di Savoia, ormai così a suo agio nel mondo della televisione da non volersi fermare: la sua prossima, personale tappa potrebbe essere addirittura l’America. Oltre, si mormora, a una nuova edizione del reality on the road di Rai Due targato Magnolia.
Principe, parlando di Pechino Express
«So già che cosa mi vuol chiedere: chi sarà il vincitore?».
Ah, perfetto. Glielo chiedo subito. Chi sarà il vincitore?
«Eh, guardiamo tutti assieme le puntate rimanenti e, alla decima, lo sapremo. Del resto, abbiamo consolidato una buona fetta di pubblico».
Non era facile consolidarla, specie dopo un esordio piuttosto in sordina.
«Siamo partiti in sordina anche perché la messa in onda è stata anticipata. Poi, puntata dopo puntata, il bambino è cresciuto e ha iniziato a camminare con le sue gambe. Ma non sono tanto i numeri a darmi soddisfazione, quanto i giudizi ricevuti. Leggere commenti positivi da parte di critici come Aldo Grasso rafforza il morale e l’idea di aver lavorato a un format qualitativo».
Qualche ostacolo potrebbe presentarsi già da questo giovedì: l’offerta dei palinsesti è ricchissima, da Terence Hill a  X Factor, non scordando Santoro.
«Possiamo pure dirlo, il giovedì sera televisivo è super affollato. In onda c’è il mondo e anche di più. Saremmo potuti crescere ancora, e non è escluso che ciò accada. Intanto, andiamo avanti con soddisfazione».
Tra i programmi concorrenti, ce n’è qualcuno in particolare che potrebbe insidiare il vostro target di spettatori?
«Fermo restando che la cosa è valida anche al viceversa, forse il target a noi più affine è il pubblico di X Factor. E, in parte, quello di Un passo dal cielo. Da un recente sondaggio, abbiamo rilevato che lo spettatore tipo di Pechino Express è di sesso femminile, con un’età compresa tra i 30 e i 45 anni».
Aveva delle aspettative precise, circa la sua esperienza di Pechino Express? Se sì, quali hanno trovato conferma strada facendo?
«Ero un fan dell’edizione francese del format, ormai giunto al nono capitolo. Mi ha colpito l’idea di lavorare a un reality in cui l’avventura, l’amalgama tra le coppie in gara, lo spirito d’iniziativa dei protagonisti, la facessero da padroni. E poi, particolare non trascurabile, mi piace il suo aspetto educativo, didattico. Penso alla scoperta di località e culture nuove, spesso sconosciute ai più. Una ragazza mi ha riferito che, grazie a una puntata di Pechino Express, è riuscita a prepararsi meglio per un’interrogazione al liceo sui Paesi extraeuropei. Però non mi ero reso conto di quanto fosse così faticoso da condurre…».
In che senso faticoso?
«Nel senso di impegnativo. E’ un format in cui non c’è uno studio con cui interagire, si è sempre on the road. Non puoi affidarti a un gobbo. Devi comportarti sempre come se fossi in una diretta, a prescindere dalla situazione in cui ti trovi, che può essere, per esempio, una località dell’India con 45 gradi di temperatura e il 90% di umidità. E’ necessario anche un gran lavoro successivo di voice over, per accompagnare le progressive scoperte dei concorrenti e alimentare il racconto della puntata».
Qualche coppia di concorrenti l’ha incuriosita o impressionata più delle altre?
«La coppia madre/figlio, quella di Simona Izzo per intenderci, mi ha impressionato per la sua resistenza, per la capacità di mettersi in gioco. Oppure Costantino della Gherardesca e Barù: molto divertenti, veri, capaci di trasmettere grande voglia di vincere. Anche le veline hanno mostrato qualità che vanno oltre il ruolo tv con cui siamo abituati a vederle. La prerogativa stimolante è la capacità di adattamento in località sempre diverse. Dalla sesta puntata in poi si entrerà nel vivo: da realtà rurali come quelle dell’India o del Nepal ci si addentrerà nelle metropoli ultramoderne della Cina. Una mondo molto diverso, per certi versi più chiuso e penetrabile solo all’apparenza».
Insomma, tutto concorre a far ipotizzare una seconda serie del programma già in cantiere…
«Quello lo dite voi e l’ho letto anch’io in giro. Non so ancora nulla, ma se mi proponessero di condurre una seconda serie, accetterei molto volentieri».
E’ vero quel che si dice circa il suo compenso? Se lo è ridotto, passando da 50.000 euro a puntata a 10.000 euro?
«Lo confermo. Dinanzi a una proposta di lavoro interessante e stimolante, non ho problemi a ridurre il mio cachet per venire incontro alle esigenze di rete in una situazione di crisi come quella odierna. Le buone idee televisive sono alla base di tutto. In generale, una tv low cost non necessariamente deve essere low quality. Oggi il pubblico vuole una tv dinamica, cerca l’immediatezza, premia gli spunti creativi».
A proposito di tv di oggi: ha ripensato ai suoi esordi televisivi? Come è cambiata la considerazione degli italiani nei suoi confronti, specie rispetto ai pregiudizi e alle critiche iniziali?
«Il mio debutto in tv ha coinciso con il mio ritorno in Italia. Un tempo, c’erano spettatori a cui piacevo, altri che non mi sopportavano, forse alimentati da pregiudizi verso le mie origini. Oggi in tanti si sono ricreduti, rendendosi conto che intendo portare avanti seriamente il mio cammino professionale. Non voglio indossare maschere, voglio essere me stesso. Ricevo ancora delle critiche, ma mi interessano solo se sono costruttive».
Tornando indietro con la macchina del tempo, che cosa non rifarebbe?
«Rifarei tutte le scelte che ho fatto. Forse, col senno di poi, c’è stato un periodo di eccessiva esposizione della coppia Emanuele Filiberto-Pupo. Ecco, magari la seconda stagione de I raccomandati o Ciak si canta non erano del tutto fondamentali. Ma ho rispettato il contratto e sono contento così».
Tornerebbe a Sanremo, magari sotto altre vesti?
«C’è chi mi ha chiesto se ci tornerei come presentatore. Ma non mi interessa granché. Ho capito che la mia indole non è legata ai grandi eventi, agli show momumentali. Mi rispecchio in progetti magari più di nicchia, ma nei quali mi possa riconoscere e che possa controllare per intero, dall’inizio alla fine. Detto questo, Sanremo è un grande evento, Fazio sarà capace di conferirgli la forza che aveva quindici, venti anni fa».
Con Il principiante, ha inaugurato un filone su Sky che annovera personaggi conosciuti e di rilievo: dopo di lei, vi sono approdati Simona Ventura, Flavio Briatore, format come X Factor. Si considera un apripista? Ha guardato i programmi Sky?
«Sky mi piace perché è una realtà fertile, capace di osare. Ho guardato The  Apprentice, mi è piaciuto molto, soprattutto il montaggio. Complimenti anche a Flavio. Non mi perdo Masterchef, ne sono un grande fan. Non ho visto X Factor perché al giovedì mi guardo Pechino Express: in fondo, lo guardo alla tv per la prima volta anch’io».
Si vocifera che lei coltivi anche ambizioni americane: lo conferma?
«Sono reduce da Los Angeles, con alcuni autori stiamo lavorando ad alcune idee da proporre negli USA. Una potrebbe essere un reality on the road, un’altra uno show sulla famiglia come istituzione. Non posso al momento dire di più. Però, chissà, se tutto va bene, uno di questi progetti potrebbe andare in porto per la fine del 2013».

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto Emanuele Filiberto di Savoia)